il problema con i voti alti

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Non sono un critico musicale attendibile. Ai dischi che non mi piacciono darei sempre come minimo due, o anzi non li ascolterei nemmeno, li lascerei alla recensione di qualcun altro. Ai dischi che mi piacciono darei otto, nove e dieci con il risultato però che a furia di promuovere a pieni voti gruppi e artisti si perde in credibilità. Poter parlare bene di ciò che reputiamo di valore è un vantaggio che non ha eguali e se riusciamo a farlo senza nessun problema di riconoscere quando una cosa è fatta bene, accantonando la presunzione e il pelonelluovismo, possiamo dirci di categoria superiore. Tutto questo per introdurvi il mio impallo del momento che si chiama Protomartyr e che sono un gruppo di Detroit cupissimo e davvero fuori da ogni canone giunto al quarto album, il primo pubblicato per la Domino. Il genere è un post-punk a tratti garage sovrastato da voce cavernosa e biascicata. Il cantante sembra un geometra uscito in pausa pranzo dall’ufficio del catasto e sono agli antipodi dell’iconografia del genere, quella degli Interpol, per intenderci. Da una decina di giorni ascolto il loro nuovo disco “Relatives In Descent” ossessivamente proprio come piace fare a me, abusandone senza motivo con gli auricolari ficcati nelle orecchie e a tutto volume quando in casa non c’è nessuno e non corro il rischio di essere rimproverato per un comportamento da ragazzino, arrivando all’ultima traccia per poi ripartire dalla prima e tutto questo ripetuto all’infinito. Non capisco cosa ci sia di male. Comunque c’è qualcuno che la pensa come me e che ha dato lo stesso voto che darei io a questo disco, ovverosia 9/10, e che quasi grida al miracolo. Mi riferisco alla recensione di “Relatives In Descent” appena pubblicata su Loudd.it che non lesina in toni entusiastici. E, guarda caso, l’autore si chiama proprio come me. Che combinazione.

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