il parco della musica

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Quella di suonare in strada, nelle piazze e nelle stazioni della metropolitana è un’arte che i musicisti italiani da sempre invidiano ai musicisti delle grandi città all’estero perché, fondamentalmente, da noi è una pratica ostacolata e preclusa come in nessun altro posto al mondo. Pensate alla compresenza di alcuni fattori quali un corpo di polizia preposto alla tutela del decoro cittadino come quello dei vigili urbani unito all’esistenza della SIAE che, con la sua rete capillare di rigida burocratizzazione applicata acriticamente, non distingue procedure di gestione tra un concerto di Vasco Rossi a San Siro rispetto al tizio che canta “La canzone del sole” chitarra e voce al parchetto per rimediare due spiccioli e farsi una birra. Si tratta di un controsenso vecchio quanto la nostra povertà culturale: siamo rigidi in campi come l’arte in cui si dovrebbe lasciare libertà d’espressione e ammettiamo allo stesso tempo il caos interpretativo in campi come il fisco in cui, invece, occorrerebbe esercitare un controllo adeguatamente serrato.

Se, per dire, il Parco Sempione fosse un teatro di spettacoli e concerti improvvisati come quelli che si tengono al Mauerpark di Berlino, e non sto parlando di quelli che si cannano nemmeno fossimo a Trenchtown e ci danno dentro fuori tempo con i bonghi, probabilmente arriverebbero nel giro di qualche minuto le teste di cuoio armate di borderò. Nelle nostre città ci dobbiamo accontentare di qualche orchestrina d’archi gitana e dei flautini indiani che coverizzano con arrangiamenti aleatori il peggio del pop mondiale. Ed è un peccato, perché per strada si manifesta il massimo dell’incontro tra domanda e offerta. Oggi, inoltre, la tecnologia consente a singoli e band di non rinunciare alla loro componente elettrica ed elettronica per rendere al meglio la loro proposta e, almeno all’estero, ai busker con strumenti acustici tradizionali si alternano loop station, postazioni da djset e impianti audio di una certa portata. Questo non significa che ogni punto di una delle nostre città d’arte debba essere necessariamente teatro per esibizioni pubbliche. Però avere spazi come quelli di Berlino in cui la gente va apposta per godersi le proposte dei musicisti di strada mi sembra un modo intelligente per favorire l’arte estemporanea che va oltre gli uomini-statua, premesso che ho molti amici uomini-statua.