Risulta evidente la mancanza di un gruppo di supporto per genitori che hanno adottato cuccioli di animali domestici quando avevano figli piccoli lasciando a loro la decisione di come chiamarli (pratica famigliare di uso piuttosto comune, non c’è da preoccuparsi) e successivamente, con figli più che adolescenti e animali ormai vecchi, si ritrovano a rincorrere per gli ambienti di casa cani e gatti (altrettanto comune che gli animali perdano appeal su ragazzi che, cresciuti, hanno ben altro per la testa e che quindi la gestione e la cura degli animali ricada ancora sulle spalle dei genitori) per somministrare loro medicinali per terapie più o meno aggressive richiamando l’attenzione delle suddette bestie con nomi che, al di fuori dell’ambiente domestico, sarebbero in grado di suscitare ilarità a occhi di terzi.
Ma questo è niente rispetto al colpo emotivo inferto dai nomi stessi, appellativi riconducibili a cartoni animati o al semplice lessico famigliare di un nucleo ora completamente diverso da quello di quando gli animali erano cuccioli in quanto a dinamiche, convenzioni e consuetudini, nomi che ogni volta pronunciati rimandano a un’epoca oramai tramontata risuonando nel vuoto generato dalla mancanza di tutto quel frastuono che l’avere uno o più bimbi in età prescolare in casa comporta: i colori sgargianti degli Aristogatti trasmessi a ripetizione sullo sfondo, certe canzoncine profuse come feedback positivo da giocattoli intelligenti, dialoghi surreali con personaggi invisibili in idiomi assolutamente inesistenti al di fuori di quegli spazi e quei momenti.
Arriva quindi il momento in cui ci si ritrova così nella sala di attesa di un veterinario a scambiare pareri con altre coppie dalle storie analoghe alla propria, ciascuno con un trasportino contenente un gatto cagionevole o un anziano cane al guinzaglio dei quali ci si vergogna poi un po’, al momento di compilare la scheda al cospetto del medico, a dichiarare le generalità.
Ma sono convinto che i dottori degli animali sono abituati a trascrivere nei loro schedari i nomi di protagonisti dei cartoni Disney oppure di entità antropomorfe inventate da bimbetti che a malapena si reggono in piedi e anzi, se fossi uno che cura le bestie, terrei un archivio o un diario o, perché no, un blog in cui tramandare ai futuri genitori che stanno per regalare ai propri figli piccoli la gioia di avere un animale, l’esperienza di altre famiglie che, comunque, se tornassero indietro chiamerebbero gli animali domestici allo stesso modo e consentirebbero ai bambini quell’identico errore che si reitera nel tempo e che si tramanda di generazione in generazione proprio perché è bello così.