il male

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Quando ero ragazzino il mondo era popolato da coetanei di una cattiveria inaudita le cui gesta fanno ancora oggi tremare i sopravvissuti di paura. Esseri riconducibili al regno animale appartenenti a una sorta di sottogenere umano protagonista di un’evoluzione destinata a procurare traumi al resto del mondo. Rampolli di dinastie con cognomi coniati intorno a un destino da fuorilegge, palese retaggio di imprese malvagie compiute nella notte dei tempi e condotte a danno di inermi popolazioni. Famiglie d’indole criminale ipocritamente arrese a uno stato dai chiari intenti sociali e costrette in quartieri ultra-popolari di città dal destino industriale segnato ma, comunque, ancora fonte di miraggio di facili ricchezze per invasori provenienti da aree più povere della stessa nazione. Intere batterie di delinquenti ciascuno pronto a correre in aiuto del membro della famiglia immediatamente successivo nella scala anagrafica. Alcuni di questi terribili soggetti sono passati alla storia in tempi di molto precedenti all’usanza a stelle e strisce di portare armi a scuola e dare sfogo alle frustrazioni falciando fatalmente studenti a caso. C’era quello che, a dodici anni, girava con coltello a serramanico e catena da lanciare contro gli assembramenti di piccioni per lasciare il numero maggiore possibile di volatili morti a terra. C’era quello che aveva riempito di botte il compagno di classe costringendolo, come estrema umiliazione, a leccare i camperos con la pelle ingrassata. C’erano i cinque fratelli vessatori di altrettante generazioni. C’era quello con il cognome con due zeta e i capelli lunghi neri come usavano i cattivi belli di allora che, insieme al suo inseparabile compagno di razzie biondo, mettevano in scena una sorta di Starsky & Hutch della crudeltà. C’era quello che, in palestra, ti lanciava la coriacea palla da pallamano in faccia con tutta la potenza che aveva nelle braccia e che, senza che gli avessi fatto o detto nulla, attraversava la strada per assestarti un cazzotto sul naso. Dicono che poi l’intero sottogenere umano in cui questi piccoli campioni di ferocia sono cresciuti – in un periodo fiaccato dalle tensioni sociali e politiche ma, a suo modo, ricco di umanità – sia stato costretto a una migrazione di massa verso una periferia così distante dal centro da indurre una sorta di eliminazione reciproca i cui membri sopravvissuti verranno annientati, di lì a poco, dall’eroina. Non restano vestigia di questa atroce civiltà se non nei racconti e nei ricordi dei testimoni di una crudezza gratuita che, in tempi di ignorante empietà dettata da ben altri istinti, sembra frutto di pura invenzione.

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