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Nel quinto e sesto episodio di Romulus si sono lasciati prendere troppo dal fantasy storico. Peccato. I Ruminales, la tribù messa peggio di tutte quelle viste sin’ora – quelli mascherati da carnevale nuragico che catturano e graziano dalla morte il protagonista insieme al suo sospettosamente fido Wiros, che nel doppiaggio pronunciano Virus con sommo sbigottimento del pubblico ai tempi del Covid-19 – negli outfit e nelle capigliature ricalca il modo di conciarsi dei ravers anni 90/primi duemila tendenti ai techno-punkabbestia. Un po’ Sigue Sigue Sputnik e un po’ Prodigy con influenze industrial alla Cmqmartina, per farvi capire. Si vedono creste e rasature a pelle laterali che chissà gli antichi come facevano a farsele con le lame forgiate dai sacerdoti di Marte, e piercing e anelli al naso da centro sociale bolognese ai tempi della drum’n’bass. Quindi davvero il mondo occidentale nei secoli è stato conquistato da gente che, se fosse contemporanea, fino a pochi anni fa avrebbe vissuto stravaccata nei centri storici con i dread sparsi nella monnezza a chiedere spicci ai turisti? Comunque tranquilli. Non voglio spoilerare, ma ad appiccare l’incendio alla foresta per stanare le zecche dell’antichità non sono i seguaci del dio Keithus Flintus, bensì quei piromani attaccabrighe dei soldati di Velia. Diversi, quindi, i temi che collegano l’Italia pre-romanica ai giorni nostri: le orge alla Suburra, i giovani alle prese con le droghe sintetiche, la criminalità organizzata che dà fuoco al territorio per fare i soldi con l’edilizia, abusiva e non. Veniamo proprio da lì.

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