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Esiste una speciale classifica delle domande che irritano maggiormente gli insegnanti. Mi riferisco a quella pratica per cui gli alunni alzano la mano e pongono questioni che non c’entrano con quello di cui si sta parlando perché, sostanzialmente, sono indice del fatto che chi vuole chiedere quella cosa non sta seguendo adeguatamente e sta pensando ad altro. I bambini più piccoli sono campioni mondiali di questa disciplina, perché qualunque argomento discusso in classe genera una sequenza di link concatenati che portano all’irrefrenabile desiderio di condividere un’esperienza quasi sempre personale distante almeno dieci gradi di separazione dallo spunto che l’ha indotta. Poi ci sono però le domande legate a esigenze di più basso livello, a partire dal chiedere di andare in bagno che concentra in sé l’intero spettro delle necessità relative al voler fare un break contro la noia del docente che spiega.

La top ten delle richieste che mettono a rischio la pazienza dell’insegnante vede domande tipo “maestro che cosa facciamo dopo?”. Parole ingenue, proferite da piccoli teneri esseri viventi, che nascondono però un non detto che suona tipo “maestro mi sto facendo due coglioni così, se non sei in grado di trasferirmi il tuo entusiasmo e la tua passione nella materia faresti meglio a cambiare mestiere”.

Una domanda che è seconda solo al classico dei classici: “che ora è?”. Il guaio è che il settore della didattica manca completamente di best practice sul modo in cui rispondere ai bambini che chiedono l’ora nel bel mezzo della lezione senza mandarli affanculo. La tentazione di pungerli sul vivo facendo loro notare che, così grandi, non essere in grado di leggere l’ora all’orologio appeso al muro è grave è molto forte. Il fatto è che se l’orologio in questione ha le lancette potrebbe trattarsi di un’osservazione boomerang. Qualche genitore potrebbe infatti ricorrere al TAR perché siamo nel 2021 e nelle case ci sono solo orologi digitali. O, meglio, l’ora si guarda sullo smartphone o la si chiede ad Alexia.

Ma si sa, in classe dobbiamo portare solo il lato migliore di noi e lasciare ciò che ci rende frustrati e irritabili nell’armadietto (che esiste solo nei film sulle scuole americane) in sala insegnanti. Quando uno dei miei alunni – che poi è sempre lo stesso e si chiama Marco – mi chiede l’ora, conto fino a dieci e poi rispondo con cose cordiali tipo “resisti che tra poco si fa merenda” oppure rilancio con una domanda: “perché, sei già stanco?”. Quando sono di buon umore dico l’ora come se niente fosse e cerco di dissimulare la voglia di fargliela scrivere cento volte sul diario.

In realtà Marco ha la faccia troppo simpatica per attirarsi il disappunto di un adulto. Sorride senza soluzione di continuità e lo si capisce anche se ha la mascherina. Qualche giorno dopo il mio compleanno è stata la volta del suo e si è presentato a scuola con un vistoso orologio da polso, tutto nero e grande quanto il suo pugno. Anche il cinturino è evidentemente sproporzionato per la sua età, e quando lo indossa ne avanza una parte lunghissima oltre il buco della sua misura. Mi chiede spesso aiuto nel toglierlo e metterlo, per esempio quando siamo in giardino. Credo che abbia paura di romperlo giocando. L’orologio nuovo ha il quadrante digitale ed è subacqueo. Me lo ha fatto notare mentre lo aspettavo fuori dal bagno con lo scottex in mano. Ha messo l’orologio sotto l’acqua corrente e mi ha chiamato per mostrarmi il prodigio. Potete immaginare come mi sono sentito. Io non mi fido della tecnologia che viene spacciata come idrorepellente. Non avete idea di quanti auricolari classificati come resistenti al sudore ho già cambiato per la corsa. Asciutto o bagnato, l’orologio ha avuto comunque un effetto positivo perché i “maestro che ore sono?” in effetti nelle ultime settimane sono crollati, sostituiti da continui bip bip bip di Marco che sperimenta le funzioni dell’orologio nuovo durante l’orario scolastico. 

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