nel mio piccolo

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Da bambino pensavo che i giornalai vivessero nelle edicole e che i confessionali fossero una sorta di monolocale abitato dal prete. Disegnarne le piantine e confrontarle con quelle dell’appartamento che occupavamo in affitto era uno dei miei passatempi preferiti. Osservavo il piano del palazzo in cui la nostra casa era ubicata da fuori. Mi sinceravo che le stanze adiacenti fossero realmente separate solamente da una parete e che, tra una e l’altra, non ci fosse invece una camera nascosta. Il nostro appartamento occupava un angolo del voluminoso edificio corrispondente a un intero isolato del centro, e la camera da letto dei miei genitori era l’unica ad avere finestre sui due lati. Invidiavo però il mio vicino. Il suo, di appartamento, aveva una conformazione più originale. In più aveva ricavato una specie di dépendance nel vano che lo separava da casa nostra, in cui aveva ricavato un’unità abitativa indipendente con tanto di servizi, cucina a vista, un soppalco per il letto e una porta a sé sul pianerottolo che dava in affitto. La sua parte era quella nobile dell’edificio, e dava sulla via in cui risultava l’unico accesso. La mia, e quella degli appartamenti sotto di noi, a parte la stanza sull’angolo si sviluppava in una strada secondaria perpendicolare. Gli ambienti ampi di fine ottocento e i soffitti elevati mi sembravano però troppo dispersivi. Per questo amavo sbirciare l’interno dell’edicola di cui la mia famiglia si serviva in modo a dir poco ossessivo. Mi piacerebbe avere una stima di quanti soldi abbiamo scialacquato lì nel corso dei venticinque anni in cui ho vissuto con i miei, considerando i membri di tre generazioni. Prima che prendesse piede la formula degli allegati, mia nonna acquistava con continuità due o tre settimanali di quello che oggi definiremmo gossip, tra cui mi colpiva la rivista “Stop” e la sua copertina a tre colori. In casa poi giravano due copie alla volta della “Settimana Enigmistica”, di cui entrambi i miei genitori erano ferventi compilatori. Si sfidavano sulle stesse prove, per questo ciascuno doveva avere il proprio numero. Si compravano poi due quotidiani con la cronaca locale al giorno, a cui poi si sono aggiunti i giornali di opinione quando noi figli abbiamo maturato una coscienza politica divergente da quella di mamma e papà. Il lunedì era anche il giorno per i quotidiano economico che leggeva mio padre. Prima, dopo e contemporaneamente ci sono stati anche fumetti, svariate riviste musicali e stampa per bambini e ragazzi, per non parlare delle pubblicazioni a fascicoli di qualunque argomento, di cui si faceva un uso smodato. Completavano il quadro opuscoli, libri, raccolte di figurine e uscite speciali. L’anziana coppia che gestiva l’edicola con cui avrei fatto volentieri cambio ci conosceva molto bene e, per fidelizzarci al massimo, ci metteva da parte gli articoli che richiedevamo con maggior regolarità. In inverno tenevano una stufetta elettrica accesa. Consideravo il calore che fuoriusciva quando scorrevano lo sportello trasparente che li separava dai clienti, unito all’aroma di caffè e all’odore di corpi umani al chiuso che ne usciva, la prova che lì dentro ci vivessero sul serio. E poi che bello: potevano leggere qualunque cosa gratis. Mentre si voltavano per servirmi – cercavo più che potessi di farmi incaricare per gli acquisti quotidiani – mi impegnavo a scorgere altri segni a conferma che la loro edicola fosse una casa a tutti gli effetti. Forse era provvista di un bunker sotterraneo oppure, chiusi i battenti al termine dell’orario di apertura, quel cubicolo era dotato di un sistema automatico per aumentare la superficie con moduli aggiuntivi. Per il confessionale, invece, la cosa invece era più facile da spiegare. Costruito in legno contro un muro perimetrale della chiesa, era provvisto sicuramente di un passaggio interno per un ambiente sul retro, di cui la parte visibile costituiva una veranda con gli accessi per i fedeli.

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