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Cercavo un modo per capire quando i bambini terminano una di quelle attività che chiedo di svolgere individualmente e che poi correggiamo insieme alla lim. Dicevo “quando avete finito alzate la mano” ma è un sistema che fa acqua da tutte le parti. Il solito Francesco ci mette trenta secondi, seguito di poco da Lucia, Laura e Davide, a ruota gli altri con scarti che variano a seconda dell’esercizio nei minuti successivi, con il risultato che in molti sono costretti a restare con il braccio sollevato per un quarto d’ora nell’attesa degli altri, e praticamente tutti devono aspettare Martina che non sai mai su che pianeta viva, quando rientri sulla Terra, e una volta tra noi prenda la penna o la matita dall’astuccio, trovi la pagina sul libro, chieda una seconda spiegazione e infine si metta al lavoro che, nove volte su dieci, non sa come svolgere.

Così mi sono inventato il prontometro. Ho preso una striscia di cartoncino di buona grammatura, l’ho piegata per il lato lungo a formare un cavaliere da tavolo. Poi ho fatto preparare a ogni bambino due scritte su un foglio. La prima dice “Ready!” e ho chiesto di farla a pennarello in doppietto colorato di verde. La seconda dice “Loading…” ed è rossa come le spie dei dispositivi in stand-by. I bambini le hanno incollate sui due lati e il funzionamento è stato chiaro sin dall’inizio. Mentre lavorano rivolgono la faccia “Loading…” verso di me. Non appena hanno finito ruotano il prontometro e così, quando su ogni banco si accende il verde, capisco che posso andare avanti.

Il prontometro è stato accolto con entusiasmo perché risparmia ai bambini la fatica di stare con la mano alzata ma, come è facile immaginare, non ha risolto il problema più grosso. Quello di Martina segna sempre rosso e mi ricorda involontariamente gli aggiornamenti Windows o la visione dei video su Youtube a scuola, con la rete divisa tra venti classi che la utilizzano simultaneamente. Fa sorridere perché il suo è un “Loading…” vero ma di quelli con il server spento, Internet scollegata, l’hard disk surriscaldato, la ventola impazzita, il sistema operativo bloccato, il software crashato.

Le scorciatoie per riavviare sono diverse. Le propongo di svolgere l’attività insieme perché so che, se la seguo passo passo, anzi meno, bit dopo bit, da qualche parte riusciamo a muovere la situazione di stallo. Questa è la scuola inclusiva. Ma gli altri? Allora, altre volte le do ancora del tempo ma poi so che la classe si spazientisce e non voglio che diventi lo zimbello e, comunque, se non ci è riuscita prima anche nei tempi supplementari non cava un ragno dal buco. È così dalla prima ma adesso sono grandi e i compagni hanno capito che c’è qualcosa che non va. Allora taglio corto, come quando spegni il pc tenendo premuto a lungo il pulsante di on/off e poi smonti persino la memoria dallo slot sul retro. Le dico di girare il prontometro sul verde e di copiare la soluzione dalla lavagna.

Il suo è un “loading…” perenne, una rotellina che si impalla e gira senza sosta. Il fatto è che al momento non è certificata e, senza sostegno, non si va da nessuna parte. A volte mi chiedo Martina e tutti quelli come lei, quelli nel limbo che confina con DSA e DVA, dove devono stare. In un gruppo ristretto di martine, con un insegnante che le segue sino allo sfinimento, non sarebbe più proficuo?

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