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Qualcosa sta cambiando: nel giro di tre giorni mia moglie mi ha dato ragione, mia figlia ha accettato un mio consiglio e una vicina di casa mi ha fermato per dirmi che concordava con me su una cosa che ho scritto su Facebook. Comincio da quest’ultima, che è poco meno che una facezia. Sostenevo che il vero punto di rottura con le nuove generazioni non sia tanto il corsivo quanto il borsello. Borselli e marsupi spopolano tra i ragazzi, e se pensate che fino a vent’anni fa era un accessorio oggetto di scherno (ci hanno fatto persino una canzone su) il cerchio si chiude. Qualche sera fa al LOVEMI, il concerto di beneficenza organizzato da Fedez in piazza del Duomo, un trapper dei sobborghi si è lanciato sul palco sfoggiando un vistosissimo modello di Gucci, mentre il resto della crew indossava marsupi ascellari e non da poliziotto in borghese. Che poi non ho ben capito il senso di portarsi gli amici sul palco. Da quello che ho capito, il senso di branco è fortissimo negli ambienti del rap. Si sta tutti uniti in strada, chi tradisce il gruppo è un infame, si lotta e si soffre per la comunità e quando qualcuno sale di livello e ha successo grazie alla sua musica non si dimentica degli amici che l’hanno sostenuto nei momenti più difficili. Peccato che a tutti questi sforzi ripagati in miliardi di euro da clic e ascolti corrisponda, nella maggioranza dei casi, musica meno che di merda. Eppure piazza del Duomo era gremita di ragazzini. Sui social era tutto in gridare al miracolo, ispirati dalla retorica della riconquista della libertà da parte degli adolescenti dopo due anni di clausura, anche se poi basta leggere tra le righe che a settembre, se il trend dei contagi è ancora questo, saremo punto e a capo. Il fatto è che sono tantissimi gli adulti entusiasti dell’universo parallelo in cui i nostri figli hanno preso la residenza, un posto dove si sta in presenza a vedere un concerto nel display di uno smartphone, dove chi canta dice cose che, quando si capiscono, trasmettono tutta la deprivazione di chi le canta ma la moda impone agli ascoltatori di mettere da parte il talento e l’acume per appiattirsi su questa periferia culturale. Genitori e docenti sono entusiasti perché il fenomeno in corso restituisce l’idea di una cosa finalmente fatta tutta da loro e non mediata dagli adulti di riferimento. Io guardo i ragazzi e penso che potrà capitare, quando avrò settanta o ottant’anni, di trovarmi uno di questi tutti tatuati che ascoltano gente del calibro degli ospiti di LOVEMI e saltano a ritmo di “Shakerando” pronto a operarmi in sala operatoria, oppure in uno studio legale a cui sarò costretto a rivolgermi, o, peggio, ingegnere progettista di un ponte della ferrovia su cui dovrò passare in treno per recarmi nel posto in cui sperperare la pensione. Tra questi ragazzi c’è anche mia figlia? Lei ascolta di tutto ma non ama molto la pop trap di oggi. A suo modo, malgrado la giovanissima età, appartiene alla old school della Dark Polo Gang e della trap di quegli anni lì, a suo avviso decisamente più iconica. Pochi anni di vita ed ecco già l’indole a guardarsi indietro, aspetto tipico della famiglia da cui deriva. Nonostante ciò, è tutt’altro che accondiscendente con suo padre. Poi, come dicevo prima, qualche giorno fa, in un guizzo di buon senso, si è comportata proprio come le avevo suggerito. L’adolescenza oramai è agli sgoccioli e, come scrivono sui libri di psicologia dell’età evolutiva, lentamente rientra all’ovile, dopo aver sviluppato il suo senso critico che le consentirà di prendere ciò che le sembra giusto. Sul terzo episodio, quello di mia moglie che mi ha dato ragione, è andata proprio così e c’è poco da aggiungere.

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