sound check

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Ivano lavorava di più con la bella stagione e mi chiedeva di accompagnarlo se pensava che le iniziative potessero interessarmi. Non voleva mai che lo aiutassi. Tutt’al più, una volta montato tutto, mi incoraggiava a muovermi lungo le file di sedie o sulle gradinate. Metteva della musica e voleva il mio parere. «Si sente bene e uguale da tutte le parti?», mi chiedeva quando rientravo sotto il gazebo dove manovrava il mixer, non appena la vicinanza ci permetteva di dialogare. Il tecnico del suono era lui, e lo accontentavo in tutte le occasioni in cui cercava di coinvolgermi in qualche modo perché pensava che mi annoiassi a stare lì, senza far niente. Era la fine di maggio e, quella sera, c’era uno spettacolo teatrale, un attore con un passato da cantante che leggeva cose di altri. Sembrava tutto a posto, i primi spettatori stavano già porgendo i biglietti all’ingresso e avevo preso due birre fresche al chiosco mobile da bere insieme quando lo vidi varcare il cancello del teatro all’aperto. «Ivo», dissi al mio compagno. «Che c’è?», mi chiese porgendomi l’accendino dopo aver acceso la sua, di sigaretta. «Guarda. Quello lì.» Gli feci un cenno soffiando il fumo della prima boccata nella direzione da seguire con lo sguardo. «È Walter. Il mio collega. Quello di cui ti parlo sempre.»

Walter non mi riconobbe subito, come succede quando ci capita di incontrare qualcuno al di fuori dell’ambiente che si frequenta insieme. All’aperitivo con le altre del corso di pilates mi ci vuole sempre un po’ prima di capire con chi sto parlando, abituata a vederle in tuta. Walter, con il suo passo dinoccolato, procedeva lentamente verso la platea scambiando qualche commento sul contesto con una donna alta quasi quanto lui, che gli stava quasi aggrappata al braccio. Walter indossava la t-shirt di un gruppo musicale, lei aveva un vestito corto e dei sandali. Mi colpì il fatto che fosse esageratamente bella e fuori luogo per lui, e che sembrasse anche molto più giovane. Di certo, ciò che vedevo non corrispondeva all’idea che mi ero fatta della vita privata di Walter, da come la raccontava a me e alle altre colleghe. Sposato, con una figlia all’università. Piuttosto dimesso nell’abbigliamento, ma a scuola conviene venire vestiti comodi. Alla primaria, gli insegnanti più giovani mettono addirittura la tuta da ginnastica, del resto a stare in classe o in mensa non c’è così tanta differenza con la palestra e le ore di motoria. Si avvicinò per nulla sorpreso di incontrarci in quella situazione così anomala. Avevo pochissime informazioni sullo spettacolo a cui stavo per assistere. Walter, al contrario, aveva acquistato il biglietto diverse settimane prima e mi confidò la passione che lo aveva condotto lì. Vera – così si presentò la donna con cui si accompagnava senza aggiungere dettagli sul loro legame – invece si dimostrò entusiasta sullo spazio in cui la serata era stata organizzata e sul quartiere, aggiungendo diversi consigli sulle altre iniziative contenute nella stessa rassegna. Mi lasciò un programma ma non andammo oltre. Si precipitarono a prendere posto, l’affluenza stava aumentando e restando lì a chiacchierare con noi avrebbero compromesso il vantaggio dell’anticipo con cui erano arrivati per assicurarsi due sedie in prossimità del piccolo palco. Si sedettero, e poco dopo notai Walter avvicinarsi al punto in cui era posizionato il microfono per fotografare la scenografia – scarna ma decisamente caratterizzante – di contorno, da postare su un social network spinto da un irresistibile desiderio di testimoniare la sua presenza all’iniziativa di quella sera.

Lo spettacolo fu più breve del solito. Rientrammo presto, faceva già molto caldo. Ivano ed io ne approfittammo per rifare il letto e mettere le lenzuola nuove che avevamo comprato la mattina stessa al mercato. «Sono lenzuola magiche», così l’uomo della bancarella aveva convinto Ivano, un tunisino che la sapeva lunga su come prendere i mariti delle coppie che curiosavano tra i suoi articoli. Spalancammo la finestra, ci coricammo, spensi la luce e, chiudendo gli occhi, ripensai proprio a questo. A come noi insegnanti siamo diversi nella vita privata. Provai una sensazione di freschezza muovendo i piedi sul tessuto. Feci un sospiro. «Tutto bene?», mi chiese Ivano, voltandosi dalla parte opposta. Fu proprio in quel momento che la camera, la casa e probabilmente tutto il palazzo si inclinarono di novanta gradi. Le nuove lenzuola erano molto lisce, così scivolai lungo il letto facendo in tempo a posizionarmi con i piedi verso il basso ma continuando a tenere per mano Ivano che già russava. Provai a chiedergli se non si fosse accorto anche lui dei trattini azzurri che si vedevano sul soffitto come lucine colorate accendersi nel buio. Provai anche a dirgli che avrei voluto tornare ancora una volta in campeggio insieme, a dormire sotto la tenda cullati dal respiro del vento, magari proprio quell’estate stessa, ma non mi uscì alcun suono dalla gola.

Riuscii appena in tempo a scorrere a memoria, con la mano che mi era rimasta libera, il freddo stelo in acciaio della lampada sul comodino e a premere il pulsante della luce. Il palazzo, la camera e di conseguenza il letto invertirono la rotazione, tornando lentamente nella posizione di partenza. Il rumore delle fronde scosse dal maestrale cessò e, con esso, svanì la tenda in cui avevo immaginato di trovarmi. I trattini azzurri si precipitarono verso la finestra, rimasero in volo qualche istante per spegnersi di lì a poco, inghiottiti dall’alone dei lampioni della via di sotto e dal rumore dell’ultimo tram. Ivano non sembrò accorgersi di nulla. Pensai a Walter e a Vera e alla soddisfazione con cui li avevo visti applaudire insieme, durante lo spettacolo. Decisi comunque di lasciare, per sicurezza, l’abat-jour accesa.

Un pensiero su “sound check

  1. Anonimo

    Mi piace molto il tuo modo di raccontare lo straordinario celato nell’ ordinario. Grazie per farlo sempre con ottima qualità

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