dove si balla

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Mio cugino Piero e io – avremmo avuto dieci o undici anni – avevamo allestito il campo del Subbuteo sul tappeto nell’ingresso della casa dei nonni e ci stavamo dando dentro con le rispettive squadre. Io le acquistavo scegliendole non certo per il prestigio sportivo quanto per la maglietta. Per questo avevo schierato la nazionale del Perù, avrei dato qualunque cosa per poter indossare quella elegante casacca bianca con la banda rossa diagonale. Quella domenica pomeriggio, però, non sapevo di aver condannato i miei mini-calciatori al sacrificio estremo. La vista di nonno Pietro, in quanto a efficienza, era scesa ai livelli del resto della sua testa. Cercando di raggiungere frettolosamente il bagno si era reso protagonista di un’invasione di campo vera e propria e buona parte delle compagini della partita si erano disintegrate sotto la suola delle sue pantofole da casa.

Ho ripensato a quel gigante e alla sua strage involontaria degna di una storiella di Jonathan Swift proprio ieri. Ero in quella che io chiamo aula di musica (un’aula normalissima ma ubicata al secondo piano con tutte le altre aule vuote in cui porto la mia classe quando c’è da fare caciara), seduto come un prof dell’Attimo Fuggente su un banco sotto la LIM, con il pc al mio fianco a mettere su Youtube i brani che i miei bambini a turno sceglievano per ballare. Non avevo notato due flaconi con nebulizzatore di disinfettante sul banco a fianco e, quando inavvertitamente li ho fatti cadere nel cestino della spazzatura sottostante, mi sono spaventato per il rumore inaspettato. I miei alunni si sono messi a ridere, vedendomi così sbigottito e quasi sgomento nel cercare di capire la dinamica di quanto successo. Sono stati loro a spiegarmi l’accaduto e non l’ho presa bene. Com’è possibile che non avessi notato i flaconi dietro di me? Eppure  è così. Invecchiare significa perdere pezzi. La mia sicurezza quando guido, mentre cammino e in svariate altre attività banali e quotidiana vacilla, per non parlare del divario tra l’elasticità e la velocità di pensiero e di intuito dei miei alunni rispetto alla mia. Mi sento pieno di dubbi e capita spesso che chieda a loro di dire e fare le cose di cui non ho certezza durante le lezioni, con la scusa di farli partecipare attivamente.

L’unica cosa che continuo a sapere di sicuro è che hanno gusti musicali davvero di merda anche quando si tratta di compilare insieme una playlist per fare quattro salti a scuola. Sto mettendo in pratica un programma che copra varie dimensioni del rapporto con il suono: dopo la musica nella testa e le emozioni che ci fa provare in relazione a quanto abbiamo intorno (un cavallo di battaglia della didattica della musica alla primaria, che poi, a conti fatti, lascia il tempo che trova); dopo la musica nelle mani con quattro sessioni di drum circle in cui ci siamo spellati palmi e dita come forsennati su tamburi anche se, così piccoli, ottenere anche un singolo istante tutti a tempo è impossibile, terminate le vacanze di Natale sono passato alla musica nella pancia e come ci fa muovere, il cui senso era – come direbbe quel trapper con gli occhiali scuri – “fottitene e balla”. Questo perché li vedo, i miei bambini, mentre ascoltiamo la loro musica di merda seduti al banco che smaniano per scatenarsi muovendo le braccia a ritmo o imitando qualche gesto dei loro beniamini.

Detto fatto. Su diciannove c’erano solo due irriducibili a far da tappezzeria, mentre tutti gli altri – maschi e femmine indistintamente – si dimenavano scomposti e forsennati ciascuno con il proprio approccio: chi voleva far ridere gli amici, chi voleva mettere a frutto il corso di hip hop, chi voleva far colpo su qualcun altro, chi si è lasciato prendere dal giusto spirito e si è lasciato andare. Io sorteggiavo il dj che, di volta in volta, proponeva una canzone. Malgrado alcune fossero assolutamente imballabili, la prima lezione non è stata per niente male. Il problema è che i bambini di oggi, lo saprete meglio di me, sono cresciuti dai genitori con la bulimia da sorpresa continua, decontestualizzata e ingiustificata. Per questo, già alla seconda lezione l’esito non è stato dei migliori. L’attenzione si è dispersa già al terzo brano, si sono formati gruppetti di alunni che parlavano o tentavano mosse per i fatti loro, è aumentato il numero di chi non se la sentiva di lanciarsi in pista, con l’aggravante che la scaletta è stata vergognosa.

Non mi ero preparato a questo colpo di scena, visto l’esito della lezione precedente, ma a scuola l’imprevedibilità è all’ordine del giorno e, se fossi un insegnante con più esperienza, dovrei saperlo bene. Così, quando la ruota del sorteggio è capitata su di me, per recuperare l’attenzione e ristabilire le good vibe dell’ambiente ho pensato di mettere qualcosa di coinvolgente, toppando miseramente. Ho scelto un bel pezzo tamarro di David Guetta e Sia di qualche anno fa, dimenticando che “di qualche anno fa”, per gente di nove e dieci anni, significa prima che nascessero e che il tasso di obsolescenza della EDM è elevatissimo. Come se non bastasse, ho confuso il pezzo. Volevo mettere “She Wolf (Falling to Pieces)” ma, nella fretta, ho messo “Titan” che è altrettanto carino ma ha molto meno pathos. Il feeling si è rotto immediatamente e, per tornare a nonno Pietro, mi sono sentito come lui quando ci metteva i suoi 45 giri di liscio nel mangiadischi per farci divertire ignorando che, dopo l’esibizione di Anna Oxa a Sanremo, niente sarebbe stato più come prima.

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