Festival di Sanremo 2023, le pagelle della terza serata

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Se bazzicate i palasport dove giocano le partite della massima serie di volley femminile non vi sarà sfuggito il sottofondo musicale a corollario del meraviglioso spettacolo agonistico. Si sentono svariate hit e tormentoni – che capiscono solo gli appassionati della pallavolo – durante il riscaldamento e nei momenti di fermo del gioco. A ridosso del campo è facile scorgere una sorta di MC che mette canzoni e stacchetti, più o meno sempre la stessa roba in ogni partita e indipendentemente dalle squadre che giocano. Servono per scaldare il pubblico e per dare quel valore aggiunto che la musica conferisce a ogni cosa. La playlist delle partite di volley comprende quasi obbligatoriamente la sigla del celebre cartone “Mila e Shiro – Due cuori nella pallavolo”, come se non bastassero già i cori degli ultras a ridurre i gradi di separazione tra il Festival di Sanremo e la Lega Volley Femminile. Nel corso del suo monologo, Paola Egonu ha citato proprio quell’anime come punto di partenza della sua carriera. Ecco, se stasera ho deciso di fare ancora le ore piccole davanti al Festival è solo per lei. Ne approfitto così per dare un secondo ascolto alle canzoni, potrei confermare o ribaltare con il mio voto il risultato. L’importante è crederci.

Durante la sigla iniziale Morandi accenna un passo di drum’n’bass, vi giuro che l’ho colto in flagrante. Da solo, sul palco, snocciola un po’ di facts and figures su Amadeus che, a onor del vero, se li merita tutti. Però, cari lettori, con voi voglio essere onesto. La canzone di Tananai l’ho ascoltata più volte, oggi. Ieri sera mi sono addormentato proprio a ridosso della sua esibizione ma mia moglie mi aveva assicurato che non fosse male. Ho visto il video e sono giunto alla conclusione che, in effetti, è davvero la migliore e spero che Tananai vinca. Ben mi sta. La prossima volta imparo ad addormentarmi sul più bello. Confronterò poi i giudizi di oggi con quelli delle precedenti serate per vedere se, come dicono in giro, sono davvero un cialtrone. Così, per darmi un tono, vi faccio notare che la scenografia, dall’alto, sembra un po’ il Guggenheim di NYC. Aggiungo – non lo avevo ancora detto – che ho una passione smodata anche per Ema Stokholma – un paio di volte fa capolino – che parte dalla voce e si dirama per tutto il resto.

Paola e Chiara: chi ben comincia è a metà dell’opera. Ma la canzone mi si conferma nella sua bruttezza, e solo ora mi arriva il link con gli anni 90 e con la trasmissione Furore di Alessandro Greco. Potrebbe davvero essere sul serio la sigla di un programma trash. Prendono un paio di stecche e, verso la fine, mi viene in mente che lavoravo in un ufficio ubicato a fianco di una palestra (nei pressi di Piazza della Repubblica) in cui, dicevano, ci fosse la possibilità di incontrarle. Io non le ho ma incontrate, forse perché in quella palestra non ci ho mai messo piede.

Mara Sattei, che poi è la sorella di Tha Supreme, quando canta noi boomer non capiamo una mazza. Probabilmente sono quelle frequenze che colgono solo i più giovani. O forse basterebbe fare un corso di dizione e aumentare di una tacca il microfono. Il pezzo tuttto sommato non è male.

Rosa Chemical: il fratello minore di Achille Lauro stasera indossa un completo geisha con braccia finte alla Elio e le storie tese e un dolcevita in vinile rigido rosa confetto. Quando il mondo si tatua le sopracciglia, lui si tatua le basette. In quota a quelli che fanno le rime equivoche con cose del tipo “Sono un bravo cristiano/ma non sono cristiano” (vedi sotto alla voce Tananai).

Gianluca Grignani: stasera sembra ancora di più un mix tra Califano e quell’attore che faceva quei film tipo “Sapore di mare” di cui mi sfugge il nome ma stateci. Morandi mi conferma che è un brano dedicato a suo padre. Canta come se non dovesse finire la canzone ma dimenticarsi prima le parole o scoppiare in lacrime in anticipo sulla fine. E infatti si blocca ma è per un problema tecnico e deve ricominciare. Un abbattimento ignorante della quarta parete, uno dei miei peggiori incubi.

Poi scende la divina Paola, che da giorni me la immagino indossare una stola con scritto “Pensati opposto”. È bellissima e bravissima, ma non riesco a essere oggettivo con lei.

Levante: dopo il sogno eretico di Caparezza ecco il suo sogno erotico. Confermo la difficoltà di decifrarne i segnali. Vuole troppo essere Florence Welch (quella di Florence and The Machine). La canzone non è brutta, le scarpe che indossa sono molto peggio.

Tananai. Come ho detto prima, canta la canzone la più bella di questa edizione. Dice “eravamo da me abbiamo messo i Police era bello finché ha bussato la police”. Questo modo sfacciato di usare le rime equivoche senza vergogna dei giovani d’oggi ha dell’incredibile. Io spero che vinca lui.

Lazza: vestito malissimo, peccato. Al secondo ascolto mi piace di più di prima. “Primo in classifica ma a me non importa, mi sento l’ultimo come persona”, è un inno all’autodistruzione. Cenere siamo e cenere sanremo, che è un po’ la versione millenial de “La fenice” di Santandrea, ma scommetto che non se la ricorda nessuno. I fiori alla mamma gli valgono il primo posto nella vita.

LDA: non può pagare il fatto di essere il figlio di Gigi D’Alessio, però un po’ sì dài. Lo sarà per sempre, c’è poco da fare. Il suo sangue ricadrà su di loro. dicevano. C’è poco da fare, la canzone è comunque pessima.

Rage against the Maneskin: ricordo solo che Pitchfork gli ha dato due. Che sfortunato, Tom Morello.

Madame: Ama fa una sinossi della canzone e mi accorgo di non aver capito un cazzo. Ci riprova con gli stivaloni e il taglio alla Alice di Per Elisa ma, ormai, ci siamo abituati. Me la ricordavo più bella, la canzone. Ora ho Tananai nella testa e non sono più oggettivo.

Sangiovanni Morandi: “Fatti mandare dalla mamma” è così vecchia che ora si intitola “Fatti mandare dalla nonna”. Forse il momento più nazionlapopolare della storia della tv italiana. In confronto, le magliette militari di Zelensky sono genuine. Per fortuna è una canzone pensata con tempi di radio edit risicatissimi, quindi dura il minimo necessario.

Annalisa: un’altra come Giorgia. Voce pazzesca prestata a canzonette indegne. Ma non è in gara.

Ultimo: non vorrei ripetermi ma purtroppo, al momento, non è ultimo in classifica. Riesce a farmi addormentare ma non si ripeterà l’effetto Tananai.

Nel frattempo sono le undici e non siamo nemmeno a metà gara.

Elodie: non si capisce perché arriva sudata sul palco anche senza aver ancora mosso nemmeno un dito. L’inizio sembra “C’est la ouate” che, al netto della storia narrata dal testo, suona come un aut aut.

Mr. Rain: torna Jim Carrey con i suoi pinguini che però sono bambini. La bambina che era scoppiata in lacrime alla prima serata, alla seconda tiene botta. Vivo con il terrore che qualche collega, a scuola, un domani lo proponga come canto per qualche giornata della pace o dei calzini sbagliati. Ci vuole poco a travisarne l’intento. Vi prego, fatelo per me, non votatelo.

Oh no, tocca di nuovo a Giorgia. Ci sono poche canzoni così sgradevoli e cominciano tutte con il piano finto del DX7. Provate ad ascoltarla con attenzione. Fa la veterana – può permetterselo – ma preferisco la freschezza dei debuttanti.

Colla Zio. Acc, li avevo rimossi. Mi fanno venire voglia di ballare anche se non capisco perché siano così in tanti per una canzone che ne basterebbe uno. Sicuramente i peggio vestiti.

Ed ecco il predestinato. Marco Mengoni ancora più Village People di martedì scorso. Proprio senza ritegno, ma la canzone mi piace di meno. Peccato, avrei potuto salire sul carro del vincitore.

Gue Pechegno: ho messo il mute per non sentirlo tanto lo disprezzo, e ho scritto apposta male il suo nome d’arte. Il silenzio mi ricorda però che perderò la serata finale: ignaro delle date del Festival, ho accettato l’invito a una cena per i sessant’anni di un caro amico e non posso tirare il pacco.

Colapesce e Di Martino: sublimi ma solo per non sentire il peso delle aspettative. Saranno primi e l’ho già detto di altre due canzoni. Vedremo. Ah ma lo splash è quello che ha fatto Salmo? Mica avevo capito.

Monologo di Paola Egonu: boh, io la amo.

Coma underscore Cose: pare che si sposino e di questo ne sono felice. Perché allora cantano l’addio? Anche questo ha l’aria di un brano di cui sentiremo parlare fino allo sfinimento. Piace anche a me, pensa un po’. Quello che mi disturba della loro musica è che fanno ‘ste melodie elementari su ‘sti giri di accordi elementari. A furia di semplificare il pop, che cosa resta?

Restano ancora undici canzoni, ed è mezzanotte. Non so se ce la faccio, anche perché da qui in poi c’è poca roba che mi interessi.

Leo Gassman in canottiera: ma puoi? Sarà anche manzo, ma che razza di tamarro. Non ricordo cosa ne avessi scritto, so solo che la canzone mi piace meno di prima. Però colgo lo zampino dei pinguini-cosi-là perché la metrica ricorda il pezzo su Ringo Starr.

Cugini di campagna: cantano la ventiduesima lettera, così dicono, mentre io credevo c’entrasse la macchina da scrivere. Sono contrario agli anziani sul palco, sono patetici e non sopporto che si tolga spazio ai giovani. Per fortuna la mano artistica della “Rappresentante di lista” rende superfluo l’interprete. Lì, avvolti in quei costumi glitterati, potrebbe esserci chiunque. Il fatto è che non mi ci vedo ad ascoltare gli autori di “Anima Mia” nel 2023.

Olly: chi era, più? Vestito da gangster ai tempi del proibizionismo, mi colpisce perché ho completamente rimosso la sua canzone. Poi parte ed ecco l’autotune che individuo come la causa che me lo ha reso inviso. Fa quel genere che fa Blanco e fanno tutti, per accontentare il mercato. Come biasimarli. Ha il codice 20. Dai che ci siamo quasi.

Anna Oxa torna sul palco con un altro look post-apocalisse, uno di quei costumi che usano nei film catastrofistici americani quando in un futuro distopico il mondo è bello che finito e i sopravvissuti vagano per trovare di che sopravvivere. Tenete conto che tutto sarà contaminato, quindi bisogna andarci piano e eh? Come dite? Ah, Anna Oxa. Una merda. Il pubblico però va in delirio.

Articolo 31 in rosso: provate a cantarci sopra una dei numerosi tentativi di tormentone a tavolino dell’estate di J-Ax, avrete delle sorprese.

Per Ariete provo a leggere il labiale. Peccato il microfono davanti alla bocca. Canzone da biennio delle superiori, non oltre.

Sethu: ho capito: è David Zed con il costume da cantante di Amici in pausa pranzo.

Shari: non ce la faccio più, la promuovo, magari così finisce velocemente. Eppure ha un suo perché. Non ricordo in che posizione sia, qualunque sia merita di più. Dai che ne mancano tre.

Gianmaria De Filippi: la somiglianza con la madrina della tv spazzatura è inquietante e mostruosa, giusto per richiamare il titolo del suo brano. Lo trovo un artista interessante sin dai tempi di xFactor, ma chissà se penserei la stessa cosa se non avesse coverizzato i CCCP.

Modà: no, vi prego, a quest’ora non credo di riuscire a sopportarli. Cambio canale ma vi prometto che torno su RaiUno per l’ultimo concorrente che non mi ricordo assolutamente chi sia. I Negramaro dei poveri, ma devo averlo già detto. C’è il rischio a qualcuno piaccia.

Will: ultimo ma non quanto Ultimo. E canta “Stupido”, ma non quanto ultimo. Codice 28, per chi volesse votarlo. Ah no, non potete, ormai è tutto chiuso. Ha un’escalation nel pre-ritornello in linea con l’aggressività tipica della sua età. Inutile al cazzo.

Giunti alla fine, con fatica, un vero critico musicale o un giornalista dovrebbe attendere la classifica provvisoria. Ma io non sono una testata di quelle serie così spengo tutto, tanto la leggerò tra poche ore, a colazione.

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