ti sblocco un ricordo

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Ogni tanto scatto uno screenshot del mio collega di sostegno durante i GLO del mio ACD (anche la scuola in quanto ad acronimi non scherza) su Meet e lo mando alla sua responsabile del comprensivo in cui insegno per farci due risate. Le scrivo sempre la stessa didascalia, “ti sblocco un ricordo” perché io sono uno dei tanti maschi etero bianchi della terza età che fanno sempre le stesse battute perché, in primis, fanno ridere me e per questo non ho intenzione di desistere. Ma la Franci, la responsabile si chiama così, credo che apprezzi il mio senso dell’umorismo da sad dad, come direbbero i The National, e quindi continuo imperterrito sul medesimo registro. Le espressioni che il mio collega di sostegno fa sono un compendio delle macchiette della commedia scollacciata all’italiana e meritano di essere immortalate. Peccato non possa sbloccare un ricordo anche a voi.

Per farvi capire, quando facevo il copy, nella mia agenzia avevo un web developer nemmeno tanto giovane che faceva così tardi a giocare ai videogiochi durante la notte che poi, di giorno in ufficio, seduto alla scrivania di fronte alla mia, si addormentava in continuazione. Io gli scattavo delle foto di nascosto durante le sue reiterate pennichelle al computer e poi le mandavo alla sua responsabile che lavorava in remoto ma non a scopo delatorio, ci mancherebbe. Il punto è che bisogna imparare a stare al mondo e certe cose te le puoi permettere solo se fai le scuole medie. Era una gag consolidata, io le inviavo alla sua capa e ci facevamo grasse risate su whatsapp, e ho continuato a farlo (avevo messo su una collezione così ampia che, se non avessi rischiato querele e chissà cos’altro, mi sarei potuto poporre per una mostra fotografica o per lo meno andare on line con un blog tematico sul fannullonismo) perché so che lei apprezzava proprio come la Franci quando le mando gli screenshot del mio collega di sostegno.

Quest’anno l’hanno affibbiato a me con la scusa che sono vicepreside ma anche perché sanno che ho un temperamento paziente. Ce lo siamo passati un po’ tutti, poi a fine anno scolastico i malcapitati di turno – l’ho appena fatto anch’io, qualche settimana fa – vanno dal dirigente a implorarlo di lasciare qualcun altro con il il cerino in mano, al prossimo giro. Potrei dirvi tante cose su di lui. Parla solo in dialetto o al massimo in un idioma italo-calabro, pur essendo laureato e anche molto più giovane di me. Entra in classe, accende il suo computer e si mette a guardare chissà che cosa ma forse è meglio così, perché ogni tanto si sveglia dai suoi 10 mesi di vacanza e interviene a cazzo nelle lezioni e i miei alunni – che in quanto a ciarlatani, dopo anni di mie spiegazioni, se ne intendono – lo osservano sbigottiti. Riprende pure la specialista madrelingua inglese, e io mi imbarazzo per lui. La mia collega di team gli ha chiesto di fare una fotocopia ed è rientrato in classe dopo un’ora abbondante. Ogni tanto si assenta per qualche riunione sindacale ed è allora che tiriamo un sospiro di sollievo.

Ho pensato a lui leggendo della docente che si è imboscata per 20 anni su 24 – vi riporto solo il titolo da clickbait perché ben me ne guardo dal soddisfare la mia morbosa curiosità fasciogrillista latente andando a fondo nella notizia – e il pensiero è poi subito rimbalzato verso la bidella pendolare quotidiana della tratta Napoli Milano in alta velocità a botte di centinaia di euro la settimana. La narrazione della scuola estiva purtroppo è questa, e io mi adeguo. Sogno un futuro in cui potrò lavorare, come tutti voi, fino al 31 luglio.

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