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Sono in molti a chiedermi cosa si prova alla conclusione di un ciclo. Io rispondo che non lo so, questa è la prima volta che accompagno una classe fino alla quinta, e che ne riparleremo a giugno. Anzi, non rispondo proprio perché ho il sentore che sarà complicato. Se rivolgete la stessa domanda alla mia collega, che invece è una veterana, lei ha la mia età ma fa questo lavoro da quando aveva diciannove anni (io a diciannove anni mi conciavo come Robert Smith e volevo fare il musicista new wave) vi sentirete rispondere che è un aspetto del nostro lavoro, che siamo di passaggio nella vita dei bambini, che poi si riprende con un’altra prima e i nostri ex alunni, tempo qualche mese, non si ricorderanno più chi siamo e così via. Se lavori con le persone, le persone nella vita vanno e vengono e affezionarsi non è tanto che non bisogna farlo quanto che è controproducente, un po’ come per i dottori, gli psicologi, gli allenatori sportivi. E, a pensarci bene, gli insegnanti sono un po’ tutte queste figure insieme ma anche di più. C’è qualche volta in cui non vedo l’ora di lasciarli perché, ora che sono grandi, non li sopporto più. Ma è un po’ come le dinamiche in famiglia: la sovraesposizione alle persone genera mostri relazionali. Abbandonereste mai il vostro partner, i vostri figli, i vostri gatti solo perché qualche volta vi fanno arrabbiare? Ecco, anche tra maestri e alunni funziona allo stesso modo. Sanno essere adorabili e insopportabili, a volte anche simultaneamente. La cosa che ho imparato è che si possono fare delle sfuriate e mettere tutte le note sul diario del mondo ma la mattina dopo, suonata la campanella, i bambini non se lo ricordano più e sono pronti a ripartire da zero, senza risentimento alcuno. A parte qualche eccezione, la mia classe andrà alla secondaria dello stesso istituto comprensivo. Si trova dall’altra parte del giardino e condividiamo la stessa palestra. Ogni tanto li vedo passare, di ritorno dall’ultima ora di motoria, o mentre giocano nel campo di basket in cui ci mettiamo noi nell’intervallo lungo perché il docente è assente e l’insegnante di sostegno li porta a pascolare fuori. Li osservo comportarsi da adolescenti e mi chiedo che cosa c’entrino con il materiale umano che mi trovo sottomano. Non ce li vedo, i miei alunni, in quei corpi sviluppati, i maschi con la peluria sul viso, le femmine con il seno. Un paio di notti fa ho sognato il mio ACD cinese che mi parlava nel modo in cui si rivolge a me dalla prima, con le sue frasi senza senso in un italiano da linguaggio macchina. Nel sogno pensavo che non sarebbe stato poi così male non essere più importunato dalle sue domande sgrammaticate e sparate a raffica, sentirmi libero dall’essere il suo unico punto di riferimento e il primo a cui dire che ha mangiato al Burger King o che suo fratellino lo ha svegliato alle sei e trentotto. Nel sogno eravamo in giardino, lui mi stava accozzato come ha fatto ogni giorno, sin dalla prima a oggi,  a disturbarmi in quella mezz’oretta di relax, mentre tutti gli altri giocavano a calcio nel campetto da basket, e poi, non chiedetemi il perché, ma nel sogno pensavo a lui come farà il prossimo anno e mi mettevo a piangere e singhiozzare proprio come fanno loro, maledetti ingrati che andranno alle medie senza di me.

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