6 modi originali per mandare in vacca momenti potenzialmente indimenticabili

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Ho visto ieri sera  “Emotivi anonimi”, uno di quei deliziosi film francesi che solo i francesi riescono a fare, e ho pensato così di fare il punto su tutto quello che l’emotività può causare, nel senso che se non hai la fortuna di trovarti di fronte uno che si emoziona come te come i due protagonisti che nel film di Jean-Pierre Améris si innamorano, sublimando così il loro essere emotivamente reciproci, il contatto forzato con il mondo dei disinvolti amplifica gli effetti del proprio emozionarsi. Per esempio quando:

  1. ti viene a trovare una coppia di amici da Genova che passeranno la notte da te e nell’allestire la tavola per la cena, tagliando una lista del chilogrammo di focaccia che ti hanno portato, obnubilato dalla contentezza ti affetti un dito in un modo sufficientemente grave da doverti sottoporre a una ricucitura da personale specializzato presso il Pronto Soccorso
  2. nella foga di concludere un acquisto importante a cui anelavi da tempo, il più possibile ossequioso verso la cassiera quasi incarnasse il brand multinazionale che ti ha spillato dai tuoi risparmi almeno quattro volte il valore dell’oggetto comprato, te ne vai in fretta per liberare la fila che si è formata dietro tenendo in mano portafogli, oggetto comprato, sciarpa, sacchetto della spesa ed è un attimo a lasciare cadere la carta di credito che non hai messo subito via tutto preso dall’emozione
  3. alla sera del primo giorno della tua esperienza di leva, dovendo – in sequenza – riporre vestiti e effetti personali nell’armadietto in dotazione, serrare l’armadietto con il lucchetto, nascondere la chiave del lucchetto in un punto facilmente accessibile, per l’emozione ma anche un po’ di stanchezza nascondi la chiave del lucchetto nei pantaloni della divisa che riponi nell’armadietto e te ne ricordi solo dopo aver chiuso il lucchetto ed esserti coricato, felice di aver raggiunto il meritato riposo senza troppe complessità, almeno fino al momento in cui ti rendi conto della tragedia che si appena consumata a tuo danno
  4. hai una graziosa ragazza sul sedile del passeggero che ti chiede di darle un bacio e, sporgendoti verso di lei preso dalla naturale eccitazione che è po’ più dell’emozione ma è della stessa pasta, causi lo sbandamento dell’automobile in corsa lungo una strada provinciale a traffico elevato correndo il rischio di finire contro un muretto e, nel tentativo di raddrizzare il veicolo, contro un autobus di linea che proviene in senso contrario
  5. nell’ufficio di un prestigioso cliente del tuo cliente, quindi pervaso da quell’emozione che ti viene nelle occasioni speciali che accadono durante l’orario di lavoro, nel tentativo di spostare un tavolo per liberare lo spazio utile per dare sufficiente profondità alle riprese video di un’intervista, uno spuntone di ferro la cui presenza era impossibile da prevedere sotto una delle gambe del tavolo causa un solco in perfetta diagonale lungo il parquet in legno scuro nel centro della stanza
  6. hai invitato due amici conosciuti da poco a trascorrere con te il lunedì dell’Angelo, festività abitualmente trascorsa in gite fuori porta e pranzi al sacco proprio come in quell’occasione, presso una casa sperduta nell’appennino insieme a una congrega di ex scout a cui appartiene anche la tua fidanzata e, nel viaggio di ritorno verso casa affrontato giustamente in treno per evitare le code del rientro, il convoglio preso d’assalto dai numerosissimi prudenti emotivi ed entusiasti come te che hanno avuto la stessa idea, costringendo te e i tuoi nuovi amici con cui vuoi fare una bella figura ma già pregiudicata dai divertimenti e dai giochi di gruppo degli ex scout con cui avete trascorso la giornata, il convoglio dicevo si ferma in una galleria a metà strada a causa di un altro emotivo che ha pensato bene di farla finita proprio sotto quel treno, costringendo l’intero insieme dei passeggeri a oltre tre ore di attesa in piedi e senz’acqua, fermo restando che poi, una volta scesi, ti accorgi che invece una bottiglia d’acqua ti era rimasta nello zaino ma, a causa dell’emozione di non essere stato all’altezza delle aspettative altrui, te ne eri completamente dimenticato

Ecco, questa è solo una prima veloce rassegna dei brutti scherzi che l’emotività può causare a noi poveri mortali eccessivamente sensibili e soggetti all’ansia di prestazione tout court. Alcuni sono accaduti veramente, altri li so per sentito dire, a voi il compito di tirare a indovinare di quali il vostro si è reso protagonista. Ma soprattutto voi, e lo so che siete emotivi come me, quali disastri avete combinato nella vostra vita?

ai miei amici

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Cari amici, se leggo le vostre parole inscritte nei fumetti delle chat vi immagino come goccioline di vapore acqueo che non state in nessun posto, in ognuna c’è un po’ del riflesso di come vi ricordo e chissà come siete adesso. Rovinati come me dall’età e dalle voci nella testa che prolificano come roditori e in quanto roditori è bene star loro alla larga che non si sa mai, sapete le malattie. Amici che non ci vediamo più da lustri e decenni, che ci rivolgiamo domande come se fosse naturale che ci interessano ancora le stesse cose di allora e invece già il fatto di doverci mettere comodi per cercare di mettersi a fuoco dovrebbe essere un mutuo segnale che non è così. Amici mi spiace di essere uno di quelli ai margini che c’era sempre qualcosa prima di più urgente, di più remunerativo, di più strumentale e più distante, per allontanarmi. Ancora adesso ho difficoltà a stare fermo, sarei un pessimo adepto per le scuole di yoga, dopo un po’ devo cambiare la gamba d’appoggio e riconfigurare l’equilibrio. Così è stato anche nella vita, almeno fino a un certo punto e poi non so come è andata. So solo che mi ci sono visto riflesso e facevo una splendida figura, almeno lì. Amici miei cari, se non torno è perché sono a disagio, dovremmo ammettere che abbiamo perso, che sarebbe stato più facile da ricordare se fossimo stati più lucidi allora mentre cercavamo di esserlo il meno possibile. Il repertorio, poi, sarebbe lo stesso, per tornare intimi almeno per qualche ora ma non so se ci piacerebbe. Parlare di ora, di quanto ci siamo sconosciuti, ne resteremmo delusi e desiderosi di tornare al presente. Amici miei, ecco: restiamo dove siamo, con reciproci auguri a vedersi per caso e, in quel caso, a portare qualcosa che riassuma tutto il periodo in cui siamo stati dispersi per poi trovarci così, con il nostro vigore stemperato nei social network, nelle foto che è tutto un tirare un sospiro di sollievo che in fondo va bene così, va bene che non ci siamo più incontrati.

miglioreRAI

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Il coming out del giorno è che ho finalmente stipulato l’abbonamento alla tv pubblica. Vedete, siamo pronti a grondare giudizi su chi non paga le tasse e non emette gli scontrini fiscali e poi, nel nostro piccolo, anzi nel mio, ci facciamo fare ladri dalla prima occasione che possiamo cogliere all’insaputa del potere giudiziario. Posso aggiungere in mia discolpa che c’è molta confusione su quali dispositivi siano identificabili come soggetti al pagamento del canone, ma negli ultimi mesi la percentuale di programmi che ho seguito sui numerosi canali RAI dell’offerta del digitale terrestre o in streaming, ammetto essere cresciuta in modo esponenziale tra le mura di casa mia.

Resta però l’immenso  equivoco del nostro tempo, la babele dell’informazione criptata o a pagamento, gli articoli delle testate online o in pdf, i video su youtube non disponibili per questa o quella regione o la tv satellitare vs.  i siti per vedere in chiaro le partite, che poi è la stessa cosa dell’annosa questione degli mp3 e degli e-book, il tutto riassumibile nell’allegoria che come l’erba è illegale coltivarla – come si fa a impedire che un vegetale cresca? – così tutto che è digitale si dilata e pervade in modo granulare ogni anfratto della nostra attitudine alla conoscenza, soprattutto se supportata da dispositivi digitali e da quella cosa che ci sovrasta che è la rete e di cui abbiamo ormai perso il controllo. Insomma, possiamo nasconderci ma è impossibile non farci sorprendere e colpire da un qualunque tipo di connettività.

E in questo infinito quasi leopardiano, con tutti i suoi interminati spazi e sovrumani silenzi, i legislatori annaspano nel trovare un modo per attivare policy e regolamentazioni a tutela dei diritti che sì, è giusto e sacrosanto, ma oramai è lapalissiano che non è certo quello più il problema. Così tutte le tv pubbliche e a pagamento – e la SIAE, certo –  dovrebbero far parte di quel contenitore che è l’abbonamento a Internet perché chi mi trova la differenza è bravo, e anzi andiamo alla radice e paghiamo direttamente con l’irpef anche un forfait per tutto ciò che arriva alla nostra presa di rete e morta lì. Musica, televisione, cinema, libri, foto. Per dire, è di poco fa la notizia di Prince che dall’alto dei suoi trilioni ha denunciato 22 persone ree di aver postato link a registrazioni non autorizzate di suoi concerti. E sì, siamo nel 2014.

Comunque in attesa che il mondo cambi ho deciso che è giusto pagare il dovuto affinché ci siano anche le risorse per agire questo cambiamento e ho messo mano al portafoglio. Certo, della RAI non mi piace proprio tutto, anzi a essere sincero è difficile che, nel poco tempo che passo davanti alla tv, trovi qualcosa a cui dica un sì deciso e convinto. Ma se metto insieme i canali di cartoni animati, qualche film su RAI Movie, un documentario su Marina Abramovich che è passato l’autunno scorso e qualche puntata di Gazebo diciamo che quei pochi euro al mese li valgono. No, ho detto una sciocchezza: solo l’aver trasmesso The Newsroom mi ha fatto rivalutare l’intero palinsesto. Insomma, ieri quando sono uscito dall’ufficio postale con le mie ricevute ero un po’ più povero ma tutto orgoglioso e con la coscienza a posto. Ora potrò tornare a vantarmi di aver cancellato tutte le reti Mediaset dai programmi memorizzati del mio televisore senza correre il rischio di ricevere un controllo a casa.

quando ottengo un aumento ho come un presentimento

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Bella rima, vero? Ma se non vi piace parlare di soldi fate come me. Mettetevi calmi alla vostra scrivania e aspettate che il vostro principale si accorga di voi, di quanto siete bravi, di quanto valete, di quanto è vantaggioso investire sulla vostra professionalità, di quanto vi sentite di meritare e così via. Che è un po’ come aspettarsi che la polizia locale comprenda che dovevate solo prendere la tachipirina in farmacia e non c’era posto ed è per quello che avete parcheggiato dalla parte della strada in cui c’è divieto di sosta o, più realisticamente, che la vostra divinità preferita si manifesti in qualche forma e vi fornisca in rendiconto di quanto vi è dovuto, negli anni a seguire della vostra vita, per tutte le ingiustizie che avete subito. I trattamenti sperimentali di ionoforesi a scuola, i due minuti a partita nella squadra di basket ma solo nel terzo tempo e se c’era uno scarto sufficiente a vostro vantaggio, il fidanzamento rotto dalla vostra partner durante il servizio militare, le angherie del vostro padrone di casa che però non perdeva il vizio di usare il vostro bagno con la scusa della prostata per fare cosa non si scoprirà mai, giusto per mettere nero su bianco quello di cui uno come me sta aspettando un rimborso ancora adesso.

Ma se vi risulta faticoso fornire al prossimo una valutazione di quanto pesi il vostro cervello o il vostro corpo, a seconda di quale parte di voi il lavoro che svolgete richiede l’impiego e di quale possa essere il vostro prezzo al chilo, ecco mi dispiace deludervi ma qui non troverete una comoda tabella da consultare per avere una percezione pronta all’uso della retribuzione che vi spetta. Da me che poi mi sento a disagio persino a chiedere uno sconto con quell’orribile espressione “mi fa il primo prezzo” non sentirete mai proferire nemmeno una cifra seguita dalla valuta di riferimento. Non credo però di essere come uno di quei luminari della medicina evasori totali che non toccavano una banconota manco a pagarli e con un gesto teatrale demandavano il saldo del consulto all’infermiera segretaria che la fattura non sapeva nemmeno da che parte incominciare. Credo sia un problema di indole. A volta capita, comunque, di essere gratificati anche da questo punto di vista. Secondo me spetta al datore di lavoro capire quando è il momento di puntare sulla retribuzione come acceleratore di entusiasmo professionale. A volte no e, in quel caso, vi tocca prendere provvedimenti.

ma se avete qualche cosa che vi avanza potete pure darla a me

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E addirittura si dice proprio che è in momenti come questi che è bene fare investimenti, che è nei periodi critici che bisogna operare scelte in grado di fare la differenza un domani, sempre se ci si arriva. Nel nostro piccolo, può essere che ci troviamo per le mani un po’ di contante in più oppure semplicemente si vivono per puro caso una serie di situazioni per le quali avere un tesoretto extra budget, per di più di dimensioni tali da non essere in grado di cambiare la propria vita, non fa la differenza. In altri casi magari uno mette via tutto che non si sa mai. E comunque l’investimento, pur piccolo, deve essere mirato, guai a buttare i soldi.

Quando sento queste cose mi vengono in mente i modi in cui si risparmiava da ragazzi con uno scopo. La patente, nel mio caso. O quando ho scelto se potevano tornarmi più utili un computer o degli strumenti musicali nuovi, valutare cioè che cosa fare non da grande ma almeno nell’immediato e nel successivo quinquennio, nemmeno se uno dovesse mettere in pratica un piano economico di sviluppo. Che poi il piano non mi sarebbe nemmeno servito. Meglio un paio di tastiere sufficientemente eclettiche da poter operare dignitosamente in qualunque situazione. Da solo verso avventori distratti, con qualche compagno altrettanto mercenario in una sala da ballo di poche pretese, con gli amici a fare la storia del rock alla festa dell’Unità.

Del computer invece mi attirava, manco a dirlo, la videoscrittura. La possibilità di fare prendere alle proprie velleità narrative un corpo, un font, un colore, un’impaginazione. In entrambi i casi per ammettere la contraddizione, e da qualche parte in qualche post l’ho scritta pure, che poi ci sono momenti in cui fa bene ascoltare la propria musica, leggere le proprie cose. Ma non ero ancora pronto, la tecnologia era ancora ferma al 286 e non me la sentivo di cambiare vita. Tanto prima o poi le priorità mutano, come si possono sostituire gli strumenti musicali stessi con generi di necessità più utili alla contingenza. Qualche tempo dopo mi sono sentito persino pronto a fare a meno di un synth per procurarmi un videoregistratore, un azzardo che in molti che mi stavano vicino hanno visto come il primo del passaggio definitivo verso l’altra sponda, quella delle persone normali. Ma anche riempire cassette di film trasmessi fuori orario in tv è un modo di fare provviste di cibo per la mente da accantonare nella dispensa dei beni immateriali, tanto che come sapete anche le vhs hanno fatto la fine che meritavano.

Oggi, proprio come fate voi, tutto quello che trabocca dalle prime necessità finisce nel futuro dei figli, che non si sa bene che cosa troveranno quando dovranno cavarsela da sé. Malgrado però una vita da formica, mi sono ritagliato un pomeriggio da cicala e mi sono concesso l’acquisto di un abito. Un completo come si deve, una giacca e un pantalone, roba di qualità – a me gli spezzati non piacciono – che, matrimonio a parte, non ho mai posseduto. Anche questo è un investimento. Vesto il mio abito con la camicia e un gilet di lana rasata e mi sento perfettamente a mio agio, posso dire di aver investito nel mio benessere, no? Comunque l’ho scelto a quadrettini piccolissimi grigio scuro che ne fanno un modello piuttosto originale, tanto che la notte stessa dopo l’acquisto, ancora teso dal dibattito interiore a cui ho partecipato in cui venivano messe in discussione le ragioni di una firma sullo scontrino della carta di credito, ho sognato che la giacca e pantaloni che avevo pagato erano in realtà a quadratoni enormi, come in quei vecchi video di Paul King, non so se ve lo ricordate, in cui sembra un po’ un pagliaccio, elegante e con gli anfibi, che prometto però di non indossare mai con l’abito nuovo.

la grande bellezza del capitale umano

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Va bene, datevi una calmata, ho capito, ho capito. Conosco i miei limiti e lo so, la mia gestione delle risorse umane è inqualificabile. Sono consapevole del fatto che per mettere insieme uno stipendio dignitoso occorra adattarsi, in taluni casi turarsi il naso, e poi fare quello che ci viene assegnato senza discutere, altrimenti quella è la porta. Ciò non risolve i problemi. Certe mansioni, quelle in cui entrano in gioco fattori individuali che hanno una matrice comportamentale, psicologica, o comunque derivante dal vissuto personale, non è che si imparano. Chi vi dice di aver frequentato dei corsi ad hoc sappiate che ha solo alimentato il fumoso sistema della formazione manageriale. O, come nel mio caso, ci si può anche sforzare a una loro esecuzione scolastica ma il risultato che ne deriva è sempre in quella zona grigia tra la sufficienza e i valori negativi. Non c’è una dinamica causa-effetto che permetta la composizione di una formula matematica. Prendo sei uova, le metto nell’apposito contenitore, passo il tutto al collega successivo nella catena di montaggio che timbra la data di scadenza e così via. Si, lo so, oggi nemmeno queste operazioni si fanno più manualmente, ci sono fior fiore di macchine per il packaging industriale nella costruzione delle quali, peraltro, noi italiani siamo leader nel mondo. No, con gli stati d’animo e i rapporti interpersonali non funziona così. Vi prego quindi di avere pazienza se lascio spazio quando dovrebbe prevalere la mia volontà, se non riesco a non ascoltare quando non ci dovrebbe essere voce in capitolo altrui, se nella scelta dei fornitori prevale l’affinità elettiva al valore professionale, senza contare che mi fido solo se e quando le cose le faccio io perché sono certo che delegando il risultato non sarebbe analogamente appagante, e vi giuro che non è per presunzione ma solo per esperienza. Nel lavoro di team sono uno di quelli che si fissa sul lato estetico, che non si sa spiegare, che si lascia prevaricare, che vorrebbe essere altrove, che disegna facce sempre uguali sul blocco degli appunti mentre parla chi dovrebbe stare zitto. Chiaro che non lo dico a nessuno, non voglio mica rischiare il mio posto, né mi lamento o chiedo di essere sostituito. Vi chiedo solo di essere un po’ più comprensivi, farò tutto il possibile per migliorare.

“mi stanno ancora cercando”, presto sui vostri monitor e sui vostri touch

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Ci vorrebbe un programma sul web come quelli che spopolano sulle reti ammiraglie e dedicate al ricongiungimento umano, quelle carrambate carrisiesche dove nonne madri e zie piangono dinanzi ai reduci che tornano a un secolo e mezzo dalla campagna di Russia o i gemelli che non sapevano di esserlo o il nano più alto del mondo che scopre che il record non è suo e via dicendo. Ma il format lo imposterei sul risolvere vecchi impicci, cose che avete in pending da secoli e non avete il coraggio o vi vergognate o provate un po’ di imbarazzo a chiamare tizio dopo quattordici anni dicendogli che avete ancora voi la sua camicia che vi aveva prestato in via del tutto eccezionale.

Niente a che vedere con Forum e tutti i santi licheri del caso, non mettiamo di mezzo la giustizia che poi i tempi si dilatano anche qui, nell’Internet, dove il ciclo di vita delle cose è più effimero di una settimana di ferie. Non pensate di venire da queste parti e fare le vostre confessioni pensando che questa sia la terra del condono morale, io non ho la statura per darvi la mia indulgenza se avete truffato vostro fratello con la complicità di vostro marito (un saluto particolare a quella sagoma di mia sorella) o se avete riciclato il regalo di Natale dei vostri genitori a un collega che non manca mai di pensarvi.

Pensavo invece a qualcosa di più leggero, una striscia in fascia pre-serale come un tempo era Blob dove ci finivano tutti i transfughi dai telegiornali. Un programma di massimo un quarto d’ora che sul web non so come potrebbe essere reso. Per ora ho solo in mente il titolo: “Mi stanno ancora cercando”. Che ne dite, può funzionare? Se state fuggendo da qualche situazione scomoda retaggio delle vostre esperienze passate, ecco, siete capitati nel posto giusto.

Spedite pure il tutto a me che, in forma anonima o meno – a vostra discrezione – metto tutto nero su bianco e grazie a questo potente canale di divulgazione che quando è in buona vanta quasi venticinque lettori proverete l’ebbrezza di chiudere finalmente i file lasciati aperti. Ovvio che il titolo  “Mi stanno ancora cercando” la dice lunga sui casi che potranno aumentare lo share. Per il primo numero, giusto per rompere il ghiaccio, ho pensato a due episodi che mi piacerebbe archiviare definitivamente.

Vorrei restituire la VHS del concerto dell’88 al cinema Astor a Massimiliano che gli ho chiesto per digitalizzarlo, cosa che ho fatto ma poi non l’ho mai più contattato per restituirgli l’originale e alla fine mi sono dileguato e ho cambiato pure il numero di cellulare. Massimiliano se mi assicuri che puoi controllare il tuo risentimento possiamo incontrarci in campo neutro per la riconsegna.

Il secondo è più difficile. Ciao Simona, mi stai ancora aspettando alla fermata dell’autobus dopo che ti avevo assicurato che sarei tornato a spiegarti perché dovevo lasciarti ma avevo un appuntamento con il medico per consegnargli delle lastre e da allora non ci siamo più visti? Se sei ancora lì che aspetti me e l’autobus e magari ora hai uno smartcoso in mano, che nell’86 non erano stati ancora inventati, e leggi questo messaggio, niente, volevo solo chiudere questa storia. Non sapevo come dirtelo, non lo so nemmeno ora, mi sono inventato pure tutta questa messinscena per mettere la parola fine, così da accertarmi che anche se in ritardo l’ho detta. Anzi, scritta. Fine.

se il web ti dà del lei

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Oramai ci siamo abituati perché da quando c’è Internet la cosa a cui badiamo di meno è il rispetto delle convenzioni. Voglio dire, tra cyberbullismo, stalking sui social network, minacce web, pagine che grondano violenza e odio razziale – tanto quanto la vita reale, eh, è solo che vedere tutte queste nefandezze on demand comodamente seduti sul divano di casa fa ancora una certa impressione – notare il modo in cui l’Internet si rivolge a noi è un po’ una cosa d’altri tempi, quasi ottocentesca. A me piacerebbe per esempio che il web mi desse del lei. Clicchi qui. Accetti le condizioni. Trovi. Condivida. Si iscriva. Faccia log-in. Modifichi le sue informazioni. Si senta fortunato. Scelga le categorie. Oggetti che potrebbero piacerLe, con la elle maiuscola. Scopra l’offerta. Passi al mio contratto. Voi che scrivete i contenuti e progettate siti, guardate che la mia è una buona idea. Diamo una chance alla formalità. Ops, non vedo il tasto “Pubblichi pure il post”. Pazienza. Lasci comunque un commento, grazie.

da star male

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Non vorrei essere nei panni di quelli conciati così, uomini e donne che si svegliano ogni mattina con un acciacco nuovo che non è detto che soppianti il vecchio. Oggi per esempio è una giornata perfetta per un inedito mal di schiena orizzontale che non è il solito disco schiacciato che ti piega abbastanza da farti sembrare un simbolo di maggiore o minore, questi qui insomma > o <, ma è più un giavellotto conficcato da lato a lato all’altezza dello sterno la cui perpendicolarità con la spina dorsale genera un’inusuale croce posturale, lungi dall’essere una delizia. La pioggia e le pozzanghere che bagnano le scarpe sono una disdetta per reumatismi ai piedi o per chi ha l’alluce valgo, che ripeto non ho ancora capito in cosa consista poi tutto questo valore. Per fare numero aggiungerei quei dolori da giorno dopo dell’attività fisica, nessuno ha mai voglia di fare stretching alla fine dell’allenamento perché non si vede l’ora di mettere le gambe sotto il tavolo, che però tutto sommato ti danno la certezza di avere ancora dei muscoli e ti mettono a posto con la coscienza che fai tutto il possibile per avere una forma fisica accettabile. Chiudono il cerchio i malesseri psicosomatici come i mal di testa da appuntamento improcrastinabile e i disturbi che fanno capolino nel sonno, quando già prima di svegliarsi la mattina si percepiscono le gengive gonfie, la gola infiammata, l’afta sulla guancia, orzaiolo e congiuntivite. Visti così, a pezzi ma solo nel senso di divisi come in quei disegni delle sezioni del corpo che mostrano le parti di cui si compongono mucche o maiali per un macello più oculato, certe volte siamo proprio da buttare via. Resta il dubbio se davvero siamo qualcosa di più dell’insieme delle nostre parti, quando sono in condizioni così approssimative.

uomini che odiano le bozze

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Se per ogni volta in cui spiego che si tratta di una versione provvisoria e mi sento dire che manca questo o quest’altro e io devo giustificarmi dicendo che manca questo o quest’altro proprio perché è una versione provvisoria ma alla fine questo o quest’altro ovviamente ci saranno guadagnassi mille lire, come diceva il Liga (mai nella vita avrei pensato di utilizzare una sua metafora, spero di non deludere nessuno), che vecchiaia che passerei.

La questione delle fasi di approvazione intermedie di un lavoro è annosa, ostica e antica come l’uomo stesso ed è complessa perché mette in gioco diversi aspetti spesso confliggenti: il tempo che si perde nel dare una parvenza di prodotto finito da parte di chi sta realizzando quel prodotto, la difficoltà di dare l’idea di come sarà il risultato alla consegna, la capacità di astrazione di chi fa da tramite tra chi sta realizzando il prodotto e chi lo ha acquistato, le aspettative di chi, appunto, ci ha messo i soldi.

Questo in tutte le diverse varianti a seconda di quale prodotto stiamo parlando, naturalmente. Se si può avere uno schizzo disegnato o un modello digitale o un mock-up in cartone o uno storyboard dipende dal materiale o dall’immateriale che costituisce la sostanza del prodotto. Ma sono altresì convinto che, in ogni frangente e con qualsiasi variabile in gioco, accade sempre che chi realizza fisicamente il lavoro difficilmente mette a disposizione un prototipo sufficientemente rispondente al prodotto finale o non è in grado di spiegare efficacemente che lì sarà così e dietro sarà cosà. Chi fa da intermediario, quello che nel mio ambiente professionale si occupa di tenere i contatti con il cliente che ha commissionato il lavoro, non ha gli strumenti per sostituire con l’immaginazione ai “placeholder” gli elementi definitivi – che siano parole al posto dei lorem ipsum o parti in alluminio al posto del cartoncino provvisorio o che un video abbia il voice over registrato a cazzo anziché dallo speaker che presterà la sua voce nella versione finale. E chi ci ha messo i soldi, dal canto suo, ha una visione del suo brand o dell’articolo che vuole commercializzare o anche solo pubblicizzare che trovarsi di fronte a una versione parziale quasi lo offende.

A volte né profondersi in spiegazioni, costruire plastici, recitare, mimare, disegnare nell’aria o fare gesti a corollario delle parole serve a granché. E a me è davvero capitato di tutto, in tutte e tre i ruoli che nel mio lavoro ricopro, cioè sia come autore, che come account manager che come cliente. Chiaro che avere una visione completa come la mia è un privilegio e mi consente di non preoccuparmi più se manca questo o quello, se la grafica non è quella definitiva, se la copertina della brochure è assemblata con la colla che tiene insieme i pezzi anziché la rifinitura che ho commissionato allo stampatore.

Ci sono invece persone che alle versioni provvisorie preferirebbero la morte. Chiamare un file con il nome “bozza” può essere considerato un crimine contro l’umanità, per questo eccedere nella fiducia verso l’intelligenza di saper vedere da un embrione un qualcosa di definitivo sarà un’arma di distruzione di massa, la soluzione finale per ogni stress professionale.