per fortuna c’è l’Ikea

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Bisogna ammettere che quando i bambini poi crescono, un destino a cui nemmeno i figli propri sono risparmiati, si riducono molti dei vantaggi acquisiti durante i primi anni nella scalata verso la conquista della loro fiducia. E se è un dato di fatto che con l’aumento delle complessità è necessario evolversi nel mestiere di genitori, il che significa adattarsi in modo intelligentemente flessibile, alcuni ruoli dati per scontato tra i punti di riferimento dell’infanzia vanno automaticamente a decadere. La cosa difficile per un padre è capire che non è una questione di successione, semplicemente si tratta di cariche di cui i bambini non hanno più bisogno. Sono certo che sia giusto così, ma a fianco di un’opera di riposizionamento genitoriale occorre saper ricostruire dentro di sé gli equilibri emotivi sbilanciati dai vuoti che man mano vanno creandosi e riesumare attitudini al confronto interpersonale che, durante la prima infanzia, necessariamente si lasciano da parte. Mentre tutto prima veniva mediato da pratiche come il gioco, ora – parlo della mia esperienza – ecco che gli albori della personalità pre-puberale impongono l’uso di nuovi linguaggi, e non è così semplice. Fino ad ora ho trovato dentro di me tutto il necessaire per affrontare passo dopo passo la crescita, ma ora mi rendo conto che occorre un altro arsenale argomentativo per non perdere autorevolezza e tenere la situazione sotto controllo. Lei è cresciuta, il confronto con il gruppo dei pari si è consolidato e costituisce già un sistema ben definito, ho perso un po’ di energie (per non dire che sono invecchiato) e, per arrivare al punto, non c’è tempo da perdere. Ma, a dirla tutta, non mi spaventa il continuo divenire del nostro rapporto, mio e di mia figlia intendo. Sono molto meno abituato invece a fare ordine in me stesso, quell’equilibrio interno di cui ho parlato sopra. Si spostano intere porzioni di vissuto che si devono archiviare e prima di colmare quegli spazi con quello che succederà d’ora in poi, non ci si deve lasciar prendere dallo sconforto. Guardarsi dentro è come soffermarsi in una casa appena sgomberata, il riverbero dei propri passi dalle pareti nude e le macchie sul muro dove prima c’erano quadri appesi che abbiamo messo via in soffitta. Non c’è nulla da fare se non scegliere insieme i mobili nuovi.

diversamente umani

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L’anno solare si divide in una giornata contro l’omofobia e 364 giorni di uomofobia (senza contare i bisestili), una lunghissima stagione nel corso della quale è il genere a cui appartengo anche io a incutere il terrore a tutto il mondo e a diffondere la convinzione che, a causa della manifesta inferiorità, purtroppo il conseguimento di un’evoluzione sociale e culturale è utopia pura. No future. Tanto che nel 2112 noi uomini italiani saremo qui ancora a nausearci delle coppie di maschi che si baciano e a eccitarci invece per le coppie di donne che fanno altrettanto, i quotidiani online a riempire le colonnine infami di gossip (proprio nel giorno a tema) sulle effusioni tra femmine mentre tra maschi strano che non accada mai, chiaramente i paparazzi non sono interessati. Due pesi e due misure, quindi, gay pervertiti e lesbiche tutto sommato ammissibili perché parte dell’immaginario da cui il potere maschile trae il suo godimento? Eh bravo, ti dicono, tanto lo sappiamo che fa parte della natura del tuo sesso. Però. Pensare una cosa e non manifestarla è ipocrisia, ma se si evita una figura di merda ben venga la disonestà intellettuale. Starsene zitti a vantaggio del progresso comune è un’occasione colta. Sottrarre al prossimo il proprio punto di vista in questo caso è una mossa vincente. E chissà, prima o poi ci sarà una giornata mondiale a favore delle convenzioni sociali, ovvero l’intelligenza umana che vince la bestia dentro e, con un po’ di sforzo, conquista una tacca di civiltà.

è tutta una questione di spessore

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E vogliamo parlare dell’importanza che riveste il rullante nella cultura occidentale e nella nostra vita? Sticazzi, penseranno i miei venticinque lettori, vuoi dire che plus1gmt ha intenzione di scrivere una delle sue dissertazioni addirittura sul rullante nel senso del rullante della batteria? Ma è così a corto di argomenti? No, non è certo quello il punto. E non sono mai a corto di argomenti. Però se la nostra vita si muove a ritmo di musica, quanto è vero che la musica deve essere palesemente ritmata. Quindi – anche se non è detto – che sia supportata da un buona base di batteria sotto! E, insieme alla cassa, il rullante è altro che fondamentale. Dietro a un grande bum c’è sempre un grande cha, non dimenticatelo mai.

Ora, non sono certo un batterista pur avendo uno sviluppato senso del ritmo, ma trovo che sia interessante il fatto che il suono di rullante sia soggetto a mode e correnti di pensiero generazionali, che ci sia una sorta di estetica nel timbro dello snare drum e che si trovi sempre uno standard che poi tutti gli altri batteristi seguono fino a quando c’è un cartello di produttori che decide che non va più bene. L’esempio più eclatante è quello del rullante che negli anni 90 utilizzava Chad Smith dei Red Hot Chili Peppers, con quel suono particolarmente acuto che poi è stato adottato da numerosi altri gruppi dell’epoca ed è diventato quasi un must. La peculiarità di quel timbro era determinata dallo spessore dello strumento in questione: il rullante più è sottile e meno il suono è grave. Per farvi capire cosa intendo, provate a sentire la rullata che introduce Two Princes degli Spin Doctors, oppure la geniale Jerry was a race car driver dei Primus. Un rullante spesso come una scatoletta di tonno. E provate a immaginare cosa c’era prima e cosa c’è stato subito dopo. Più o meno l’opposto, ovvero rullantoni alti come fustini del Dixan che facevano certi tonfi come passi di elefante, che negli anni 70 e 80 – prima dell’avvento delle drum machine e della house music – erano all’ordine del giorno e che, manco a dirlo, sono tornati di moda. Quello che però nessuno è mai riuscito a imitare è il rullante di Ringo Starr nel ritornello di questo pezzo. Chissà di che marca era.

reloaded

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È bello perché tutto quello che ti sta intorno va fuori fuoco e l’unica figura nitida del quadro sei tu, su un triangolo di marciapiede mentre ruoti su te stessa parlando al telefono. Potremmo essere a quel punto delle storie al cinema in cui tutto si risolve, parte il pezzo della colonna sonora che con il subwoofer del dolby sorround ti si rizzano persino le sopracciglia dall’emozione che altro che i sedili che vibrano nelle sale 3D con l’effetto presenza. Tu sei la protagonista a cui chissà quale sceneggiatore ha concesso l’intervento diretto del deus ex machina che ha composto il tuo numero e si è messo in contatto proprio quando serviva, e si vede mentre giri in tondo e tieni a bada con la mano libera il soprabito écru che altrimenti vola con il vento che quella è una danza che accompagna la tua vita quando si mischia a quello che aspettavi. Una promozione, un amore, un colloquio andato a buon fine, una persona che non sentivi da tempo e ora scopri che ce l’ha fatta. L’audio si sente male, da qui, ma è facile da immaginare. È comunque l’inizio di una cosa nuova, c’è il traffico e il semaforo che diventa rosso e poi verde e poi ancora rosso, ci sono comparse che scorrono indefinite attraverso una manciata di fotogrammi che anticipano il sequel di sicuro successo.

documenti

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Ci sono nuove complessità e nuove sfide, la posta in gioco è sempre più alta e catastrofi come l’11 settembre, avvenimenti che fino al giorno prima erano impensabili, si sono abbattute sull’occidente e hanno spostato conflitti e paure su un piano senza precedenti. Ecco perché è passato così tanto tempo dall’ultima volta in cui mi è stato richiesto di rilasciare le mie generalità da un rappresentante delle forze dell’ordine. Perché fino a quando c’è stato il terrorismo de noantri e il fronte comune della lotta alla criminalità era principalmente lo spaccio di droga, era facile vedersi fermare da agenti in borghese e non per le verifiche di routine. E, nel mio caso, dai sedici ai trent’anni circa si è trattato di un appuntamento quotidiano a cui non sono mai riuscito a sottrarmi. Nei viaggi in macchina, nelle stazioni ferroviarie e nei luoghi pubblici, da solo o con altri, nella mia città o altrove, arrivava il punto in cui sentivo avvicinarsi quel momento, l’istante in cui una voce del sud mi avrebbe chiesto di favorire la carta di identità. La mia faccia e il mio abbigliamento accuratamente disordinato potevano anche trasmettere attività losche, ma il fatto di suscitare un così diffuso interesse tra poliziotti e finanzieri mi ha sempre lasciato sbalordito. Addirittura potevo essere fermato anche più volte nella stessa giornata da pattuglie diverse. Poi, ripeto, a un certo punto questo appeal è svanito nel nulla. Forse la vecchiaia o forse, come dicevo prima, là fuori è diventato è tutto diverso. O magari non si usa nemmeno più.

perché mi hai abbandonato

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Quello che mi succede più spesso è che rimango talmente allibito dalle argomentazioni altrui su questioni che io do per scontato che poi davvero non so da dove partire con l’esposizione del mio punto di vista, perché dovrei cominciare prendendola dall’inizio, come quando alle interrogazioni si contestualizzava la lezione da ripetere iniziando dagli uomini primitivi. Un po’ perché non tutti avevano già acquisito il dono dell’arrivare al punto con poche parole e un po’ perché si cercava di perdere tempo, ubriacando gli insegnanti con una presunta ars loquendi, con l’obiettivo di distrarli dalla nostra scarsa preparazione.

Ma la confutazione di punti di vista diametralmente opposti non fa proprio per me, cioé se sento dire cose a cui non sono abituato, ed è talmente ampio lo sforzo che dovrei fare per raccogliere le idee, organizzare i contenuti e farli confluire in un discorso efficace che, al terzo o quarto secondo di scena muta, mi rendo conto che è meglio finirla lì e lasciare perdere, quando l’interlocutore non ha ancora colto la mia intenzione di intervenire e quindi confonde la mia esitazione con una manifestazione di silenzio assenso, il che va a a mio favore. Perché in certi casi partire con una testata dritta sul naso di chi hai di fronte e che è convinto della propria verità sarebbe la soluzione, ma non sempre si tratta di una strada percorribile.

Poco fa sentivo una specie di microfono aperto su Radio Maria, non chiedetemi il motivo di questo masochismo innato, ma stavo guidando da più di quattro ore e di fare zapping tra le stazioni commerciali non ne potevo proprio più. Così mi sono soffermato su un dibattito telefonico incentrato sui diritti alle coppie di fatto, gay e no, e mentre si susseguivano le telefonate – allucinanti – ho pensato che effetto mi farebbe intavolare una discussione con persone che sono così all’opposto dei miei valori e della mia etica. Perché stare sempre tra quelli come te non fa bene, o meglio, fa bene alla salute perché così tieni al slcuro il tuo sistema nervoso, ma poi magari ti fai un’idea della società che non è quella giusta. Pensi che il mondo sia abitato da esseri umani come quel pugno di amici che frequenti, e invece no. Innanzitutto perché ci sono quelle decine di semplici conoscenze più o meno simili a te, con le quali il confronto è già più difficile perché la pensano grosso modo analogamente ma con tutte quelle sottili sfumature che un po’ ricordano il variegato universo della sinistra italiana, con quella pletora di partitini tutti con la bandiera rossa, quelli che mettono sempre in discussione tutto solo per il gusto di farlo o perché devono seguire la propria coscienza. Ecco, chissà se invece una bella litigata con uno di Militia Christi sarebbe più producente, sempre che se ne esca vivi.

alla riscossa

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Qualche cimelio ce l’ho anche io, e mi sono fermato in tempo prima di comprarne uno nuovo per il quale avrei buttato via dei soldi, anche se pochi. Avevo già una maglietta della nazionale DDR di non so che sport in mano, mi trovavo in un negozio di abbigliamento usato a Berlino dai prezzi davvero vantaggiosi. Poi ci ho riflettuto. Continua a leggere

quello che non ho visto

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Come dicono quelli là, facciamo che vi raggiungo più tardi, anzi, facciamo che a volte è meglio proprio non partecipare. E, non avendo visto nulla, non scrivo nulla. Per fortuna avevo messo da parte un film molto divertente, Super di James Gunn, perfetto per le serate come quella di ieri in cui ci si fa notare di più se non si va anziché andare e starsene in disparte.

opposizioni di troppo

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Ma è così conveniente riciclare i rifiuti? A partire da un no secco, che è indifferenziato, mentre una rinuncia sofferta può anche spingere alle lacrime ed ecco che il no è umido. E anche se fa parte di un sistema coerente e quindi è un rifiuto organico, tenerselo dentro non è salutare. Quanto è meglio liberarsene appena si può, anche se a furia di rifiuti gli altri potrebbero contrariarsi. Perché ce lo insegnano sin da bambini che i rifiuti non sono tutti uguali, compresi i no che aiutano a crescere. Essendo categorici ci sono giorni specifici per ogni tipologia, e occorre porre la giusta attenzione perché corriamo un rischio non solo in prima persona, purtroppo rendiamo perseguibile anche chi ci sta vicino. Un rifiuto è gettare via una parte della propria vita e, anche quando ne abbiamo un sacco, quasi mai ci si ripensa. Ci sono poi quelli ingombranti che mica si possono dare a tutti. È sempre meglio gestirseli da sé, considerando che anche se faticosi da smaltire hanno anch’essi un loro posto. Un rifiuto è sempre uno spreco, perché negarlo?

fiori ininterrotti

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Il 24 maggio, al Carroponte di Sesto San Giovanni, c’è Mulatu Astatke in concerto. Chi viene?