quest’onda che viene e che va

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Non c’è come l’esortazione a pensare positivo che mi irrita, anche se comprendo lo spirito e la buona fede con cui viene espressa che poi è il desiderio che il destinatario del suggerimento possa rientrare nei binari della serenità partendo da dentro di sé. Pensare positivo significa trovare al proprio interno in autonomia il bandolo nella matassa annodata alla rinfusa delle cose che ci fiaccano, il capo di un filo che dall’altra parte è in mano a un salvatore o una salvatrice e in mezzo si dipana lungo un labirinto all inclusive, mostri compresi. Ma desiderare fortemente affinché una cosa accada (spero che la costruzione grammaticale sia corretta) ha le stesse potenzialità di successo di piegare un cucchiaino con la forza del pensiero (e non con il calore delle mani come Uri Geller) o di far squillare il telefono al nostro 3, e anche se la vita è piena zeppa di coincidenze e botte di culo i poteri soprannaturali ce li hanno solo i protagonisti dei film. E io che sono un pessimista nato – anche se poi il mio è realismo che è il movimento artistico dell’appurare che le cose vanno come vanno, ma poi tutti lo intendono nella sua versione degenerativa – però non ho la controprova. A meno che non si tratti di un meccanismo di azione-reazione di quelli sulla lunga distanza, cioè pensare ardentemente di trovare una valigetta di contanti oggi non funziona, ma non è detto che magari tra qualche mese ci si possa inciampare dentro, e visto che mi capita di sovente ma su transenne o stipiti, che almeno una volta la distrazione sia utile. Io so che le cose accadono e basta, possiamo lavorare per evitarne alcune, ma vivere con il sorriso sulle labbra non necessariamente migliora nulla, è controindicato in caso di elevata densità di moscerini e, per di più, fa venire le rughe.

in un batter d’occhio

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Forse eravamo solo un po’ tristi perché c’era una settimana che stava finendo e un’altra alle porte con tutti quegli annessi e connessi che a un certo punto devi indossare di nuovo per esser pronto la mattina dopo perché è un attimo a chiudere gli occhi e a cadere nel sonno. Poi tutti questi gradi in meno, nessuno era preparato a una tale regressione. Altro che un’ora in anticipo, sembrava di essere ancora nel mezzo della battaglia, con parka e cappellino, a lottare per un raggio di sole e uno squarcio nel cielo grigio stabilimento. Così non siamo andati tanto per il sottile e abbiamo messo in pratica la soluzione finale, l’extrema ratio, il punto di non ritorno, il colpo che se lo sbagli implode tutta la materia dell’universo che non mi ricordo chi lo diceva, non vorrei confondermi ma era proprio Ken. Il guerriero, non l’amico di Barbie. Comunque prima di spegnere la luce ci siamo fatti reciprocamente il solletico sulla faccia con le ciglia®, che è una cosa semplicissima ma che metterebbe di buon umore anche uno che ha appena visto l’ultimo di film di Gus Van Sant “L’amore che resta”, che è una delle cose più struggenti e delicate allo stesso tempo mai viste ma se sei uno di quelli facili a commuoversi (come avevo giusto qualche ora prima letto qui) insomma, è meglio cambiare canale. E nemmeno a farlo apposta il film era appena finito e ci guardavamo così, come se era chiaro che ci volesse qualcosa. E a quel punto non c’è stata scelta. Il solletico sulla faccia con le ciglia® è un mio brevetto ma che lascio utilizzare in esclusiva ai lettori di questo blog, e consiste proprio nello sbattere le palpebre velocemente in prossimità del viso di qualcuno a cui volete bene, diciamo molto bene. Il sollievo e il buonumore sono assicurati, è quasi meglio del bacio della buonanotte, genera una sensazione di rinfresco sulla pelle del viso e mette in pace con il mondo chiunque. Provate anche voi il solletico sulla faccia con le ciglia®. È un’idea a impatto zero per il benessere comune e per una migliore qualità della vita.

a due a due

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Erano figlie di amici di famiglia, così quando i loro genitori mi proposero come lavoretto estivo di prepararle per l’esame di riparazione i miei genitori acconsentirono per me rilanciando che l’avrei fatto gratuitamente vista l’amicizia che li legava, senza nemmeno chiedermi un parere circa quella offerta speciale. Non solo due gemelle al prezzo di uno, ma pure gratis. Aggiungete il fatto che quella era l’estate della maturità e che avrei fatto tutt’altro che lavorare ed è facile immaginare la voglia con cui avrei approcciato quello che più che un mestiere sarebbe stata una missione. Perché di materie a settembre le due ragazze ne portavano ben tre a testa e tutte belle toste per il passaggio dalla seconda alla terza scientifico, oltre a latino non ricordo quali fossero le altre, forse scienze e addirittura matematica. Ma si era sparsa la voce della mia attitudine alla lingua latina, voce quanto mai infondata, oddio me la cavavo molto bene ma solo perché a mia volta ero stato rimandato in seconda e da quell’estate il latino mi era entrato dentro, anzi me lo aveva fatto piacere su misura una prof del classico davvero molto brava (e carina, forse anche questo dettaglio aveva avuto la sua importanza). Continua a leggere

una bloggata

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I neologismi terminanti con la desinenza in -ata dalle mie parti vanno per la maggiore, su tutti la pizza di fine anno scolastico che finisce per chiamarsi pizzata e così via. C’è stata pure la panettonata di Natale, giuro. E oggi ho partecipato a una biciclettata, niente male vero? Cioè ci si ritrova tutti in un punto in bici, ovviamente, e si parte tutti insieme lungo un tracciato organizzato e comunicato alle autorità competenti perché per bloccare il traffico e attraversare indenni vie e circonvallazioni devi avere i vigili dalla tua, che ti precedono e si appostano negli incroci chiave per fermare gli automobilisti, in questo caso del sabato. E poi tutti insieme si imbocca sani e salvi la pista ciclabile che da me è tutta verde, hanno messo anche i segnali stradali con le distanze dei percorsi per fare sistema, che fa sorridere perché qui c’è davvero poco da sistematizzare da questo punto di vista ma comunque apprezzo la buona volontà, e il primo collegamento che ti viene in mente è un altro punto di vista, di quelli che vedono quei segnali superflui e dicono che non servono a nulla. Eppure la trasformazione dell’hinterland in un qualcosa a misura d’uomo dovrà pur cominciare da qualche parte, no? Quindi tutti in volata sotto questi trenta gradi anomali di metà maggio, padri e madri e figli su due ruote consapevoli che il sostantivo che riassume tutta l’energia dinamica generata prima o poi farà parte del Devoto Oli. Potremmo così organizzare una bloggata, tutti insieme a postare cose dallo stesso luogo anzi no perché l’Internet è già di per sé un luogo. Tutti insieme da casa propria a postare ciascuno i fatti suoi, pensando che ci sia gente che ha voglia di leggerli e meravigliandoci quando invece no.

ascoltare Mozart fa diventare intelligenti

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Se provate a ricostruire il vostro universo sonoro e la vostra identità musicale attraverso il percorso degli ascolti – e per chi suona anche delle composizioni – lungo il quale siete cresciuti, è interessante rintracciare uno o più archetipi, i punti da cui tutto ha avuto inizio. Mi riferisco a quei modelli armonici, melodici e ritmici che si usano come elemento di paragone ogni volta che si scopre qualcosa di nuovo e che consentono di esercitare un giudizio tale per cui una canzone o un qualunque stralcio di brano entra a far parte del novero della propria musica di riferimento.

Sono numerosi i fattori in gioco: quelli che identifichiamo come i nostri gusti, influenze esterne come il giudizio delle persone con cui siamo in contatto e il cui parere per qualche motivo è importante per noi, i trend estetici e culturali che ci permettono di vivere più o meno perfettamente inseriti nel nostro tempo e di riconoscerci nella società che abitiamo e così via. Ma se provate a regredire verso le vostre radici, se la memoria ve lo permette, riuscite a ricordare i momenti in cui un ascolto ha fatto breccia dentro di voi? E attenzione, mi riferisco a quando eravate ancora non autonomi e prima che rivendicaste una vostra personalità culturale, perché sapete meglio di me che già dalla pubertà per non parlare dell’adolescenza spesso la musica è anche motivo di appartenenza e di emancipazione individuale, oggi magari di ribellione un po’ meno.

E, a proposito di generazioni, mentre i nostri figli hanno a disposizione un bacino audio infinito di riferimento soprattutto perché hanno dalla loro parte genitori già cresciuti con la musica di consumo, per alcuni di noi invece non è detto. Per esempio nella mia famiglia di origine non ci sono canzonette che ci sono state tramandate dai genitori, mentre ora mia figlia accanto a cose tipiche della sua età e che vanno di moda ora – le varie Katy Perry – ascolta di sua iniziativa generi e canzoni a cui l’ho introdotta io e che in qualche modo le assomigliano. Il che è un fenomeno stranissimo, perché poi scremando rimangono solo alcuni brani che mai avresti detto e altri, oggettivamente fondamentali, lasciano il tempo che trovano: mentre non riesco a farle piacere quelle che ritengo pietre miliari della storia del rock, tra i suoi preferiti trovano posto cose tipo Ca Plane Pour Moi di Plastic Bertrand, Pass the Dutchie dei Musical Youth o la più recente Bizness di Tuneyards, voglio dire brani più che godibili ma tutt’altro che epocali. Noi invece non abbiamo avuto influencer musicali del nostro calibro, genitori che ci hanno trasmesso le basi di musica pop-rock (e in alcuni casi reggae) da cui partire. Mia figlia ha addirittura assistito a un concerto dei Sigur Ros quando ancora era nella pancia di sua madre, che a dirla tutta si è pure addormentata malgrado la mia disapprovazione.

Ma senza andare così indietro, ci dev’essere stato per forza un evento che dentro di voi ha scatenato tutto, un punto di non ritorno malgrado a casa vostra, come in casa mia, si ascoltava principalmente musica classica o, nei giorni di festa, il liscio-folk, ancor prima che i vostri fratelli maggiori introducessero intra moenia strumenti di rottura con il passato, cavalli di Troia pregni di sfide e di modernità, sesso droga e rock’n’roll. Così, se devo identificare la prima reminiscenza, la prima successione di accordi che ho trovato congeniale con il mio modo di sentire, la ritrovo nel brano qui sotto. E sì, lo so, fa un po’ ridere.

ci fai, ci sei

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Ci sono solo due tipi di testi al mondo sui cui proprio i miei occhi non riescono a soffermarsi per più di un paio di righe, e sono Lotta Comunista e i volantini delle rivendicazioni degli attentati. Vuoi le tematiche logore, vuoi il look and feel lugubre, vuoi gli argomenti stessi che non rientrano nella mia competenza (che vi ricordo si limita per lo più a musica e stronzate), per non parlare di font e layout. Ora nel 2012 non pretendo un’infografica, ma almeno dividere il testo a paragrafi per favorire la leggibilità anche se in genere in questi casi l’attenzione alla user experience lascia piuttosto a desiderare.

grazie a dio è venerdì

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– Mamma, ho paura delle mestruazioni.
– Non preoccuparti amore, hai 8 anni, devi crescere fino all’età di tua cugina per averle e puoi stare tranquilla ancora per un po’.
– Ma fanno male?
– No, solo un po’ di mal di pancia il primo giorno.
– E quanto durano?
– Dipende, più o meno cinque giorni.
– Allora finiscono per il fine settimana?

balliamo di architettura

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Vengo a sapere solo ora di una collana di libri dal nome 33 1/3 della casa editrice inglese Continuum che dal 2003 (oddio chissà cosa altro mi sono perso) pubblica una nuova forma di recensioni narrative di album musicali, scritte da autori del calibro di Jonathan Lethem che parla di Fear of Music dei Talking Heads. Ma tradurli in italiano no? O esistono già?

cold specks – blank maps

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Quanto mi piacciono le voci così però su queste basi un po’ meno pop.

due cuori e un cardiologo

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Sto per estrarre la ricetta del mio medico dalla borsa e affidarla all’anziana farmacista che mi sta servendo quando il suo collega altrettanto anziano, che probabilmente è suo marito, sbuca dal retro con in mano due confezioni di pastiglie per l’ipertensione e le poggia sul bancone per incartarle, proprio in corrispondenza del borsellino aperto della giovane donna al mio fianco che fino a pochi istanti fa mi precedeva nella fila in attesa, il tutto in barba alla privacy ma la bottega è oltremodo old fashioned, in linea con i gestori, ma a una farmacia non si richiede di essere sempre trendy e rinnovare il proprio arredamento. Anzi, quando entro in esercizi in cui il tempo sembra essersi fermato mi sento più propenso all’acquisto. Questo per dire che il bancone è piuttosto stretto, e quando sono in due a servire come ora è inevitabile essere coinvolti nei problemi di salute altrui. Ma non è questo il punto.

La donna al mio fianco sta acquistando lo stesso medicinale nella stessa quantità indicata dalla prescrizione che ho appena sottoposto alla farmacista. E infatti quando la farmacista rientra e mi consegna le confezioni, io e la cliente ci guardiamo un po’ imbarazzati dalla coincidenza e da una sensazione che mascheriamo reciprocamente con il sollievo del soffrire di un problema di salute piuttosto comune come la pressione alta, avrete presente la massima sul mezzo gaudio, insomma gli acciacchi ce li abbiamo tutti.

La coppia dietro il bancone si sente autorizzata così a infrangere con zelo quei pochi cocci di riservatezza rimasti chiedendo a entrambi se non preferiamo il generico al farmaco richiesto, e il caso vuole che da questa parte rispondiamo allo stesso modo, probabilmente i rispettivi medici ci hanno detto la stessa cosa e cioè che trattandosi di agenti per la pressione non è detto che i medicinali abbiano la stessa intensità dei generici, e dicendolo ci convinciamo a vicenda.

E a quel punto lei che ha già pagato si avvia e io per fortuna sono ancora in attesa del resto, dico per fortuna perché altrimenti ci saremmo dovuti accompagnare insieme all’uscita e sarebbe stato troppo. Perché, in aggiunta a tutto ciò, c’è il fatto che oggi sia il mio compleanno, quel giorno in cui ci si sente un anno più vecchi e blablabla, e così ho pensato subito a come è cinica la vita se a sedici anni gli incontri fortuiti accadono perché tu e lei state scegliendo lo stesso disco dei Cure e alla mia età, che non vi rivelo quale sia, ci si incontra a causa della pressione alta e la cura è ancora la stessa per entrambi.