robertino

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Mi unisco a Fabio De Luca nel cordoglio per la scomparsa di Robertino, celebre speaker di Radio Montecarlo e pioniere dei programmi di quiz all’ora di cena sulla omonima tv. Il coccodrillo di Repubblica però omette due particolari fondamentali della biografia del celebre conduttore: il fatto che abbia lavorato a Radio Savona Sound e che, ricoprendo tale ruolo, abbia intervistato il sottoscritto, limitandosi invece a ricordare una chiacchierata con un certo Fabrizio De Andrè che, sinceramente, non so chi sia.

produzione artigianale

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Se posso darti un consiglio, i miei cinque centesimi anche perché più di così non ti posso dare visto il momento, ricordati che all’inizio è un po’ come riempire di gelato una coppetta, trasferendo cucchiaiate da un contenitore grande pieno di gusti che variano a seconda di come sei tu. Ecco io per esempio adoro i gusti classici, quelli che vedevo nelle cremerie di campagna con mia mamma quando mi portava a mangiare un gelato, non più di una volta alla settimana, e i gusti preferiti erano la nocciola, il pistacchio, la crema gialla, il cioccolato non tanto, il torroncino e il gianduia. Perché sono un bacchettone, alla fine della fiera, e so che se provo lo yogurt con un gusto di frutta non sono soddisfatto, e ora che un cono costa due euro e cinquanta non c’è molto da rischiare. Dimenticavo, se non fa troppo caldo chiedo la panna montata con un velo di cannella.

Ma nelle confezioni famigliari, quella delle cucchiaiate di cui sopra, anche se solitamente il gelato confezionato non è granché, è sempre troppo dolce, ma facciamo finta che si tratti di gelato da asporto preso nella cremeria, la panna non c’è, quindi indipendentemente dalla stagione si riempiono queste tazze dei nostri gusti preferiti che pensiamo possano essere gli stessi per loro, e all’inizio loro infatti vedrai si nutriranno di quello che ti nutri tu. Poi, dopo un po’, tu sei sempre lì che ti senti in dovere di trasferire gelato e questo è importante, ricordati, non smettere mai, perché chi usa i cucchiaini da caffè poi corre il rischio di far sciogliere tutto. Usa quei dosatori a palline, piuttosto, quelli da bar, ma per me sono troppo leziosi e perfettini, a me piacciono le palettate informi con i cucchiaioni da minestra.

Dicevo, sei lì a riempire e passano quelli che si rivolgono a loro e gli dicono ma perché non hai messo l’uvetta, o le scaglie di cocco, o i biscotti industriali, e tu hai fatto una fatica boia per mantenere uno standard qualitativo elevato con prodotti naturali – certo, il massimo è se il gelato lo prepari tu, ma non sempre è possibile essere così rigorosi – ed ecco che si viene a conoscenza dei gusti di moda, il puffo, il kinder delice, il mars, roba iperglicemica e stucchevole. Ma se sei stata abbastanza brava, vedrai che a quel punto la tazza è praticamente colma, non ci sta più nulla, e tutto il contenuto in eccesso inizia a scivolare con tua grande gioia lungo il vetro.

E a quel punto il tuo compito può considerarsi finito, la porzione regolamentare è pronta e puoi gustare insieme a loro quella prelibatezza, chiedere impressioni sul sapore, godersi il ristoro della crema che passa dal palato alla gola e giù giù lungo l’esofago. Se sei fortunata completerai insieme a loro la degustazione, all’ombra e con il giusto refrigerio. Spesso si alzano prima, ti lasciano da pagare ma non è questo il punto, vanno fuori e chissà a fare che, ma non ti devi preoccupare. Se hai lavorato bene saranno comunque sazi di dolci, sapranno riconoscere quello che a loro piace di più, e torneranno un giorno con i loro, di figli, nella stessa cremeria, o sapranno distinguere comunque il brand tra le numerose catene di franchising.

un motivo per scendere

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La musica di Giovacchino (sic!) Rossini, di cui in questo non-giorno del 29 febbraio si celebra il compleanno anche in rete grazie al doodle di oggi, mi proietta al di là del Mar Ligure, quando i traghetti della Corsica Ferries avvisano i passeggeri dello sbarco imminente a Ile Rousse e di affrettarsi a ritirare le automobili al ponte di pertinenza proprio sulle note di una delle sue opere più celebri, l’overture de La gazza ladra. Ma solo per il clima vacanziero che mi infonde, perché il vero video clip dell’arcinoto brano, un classico della nostra cultura, esiste davvero ed è la splendida sceneggiatura a disegni animati realizzata da Emanuele Luzzati, che da piccolo mi inquietava un po’ e che ho riscoperto grazie a mia figlia.

c’è una perdita

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Le ragazze che piangono in strada con il viso rivolto verso il muro perché il dolore che vuole a tutti i costi uscire fuori ha almeno la delicatezza di lasciare un po’ di volontà per una componente di imbarazzo verso il prossimo, così ci si fa scudo dell’amica che ci consola e non a caso ho usato il femminile perché l’uomo non sarebbe capace di interpretare né il ruolo della sensibilità indotta né quello della sensibilità offerta, non in pubblico ecco. Si soffre nel traffico dell’ora di punta, il vigile che coadiuva il meccanico alternarsi di segnali luminosi del semaforo, le bici arroganti sui marciapiedi per evitare le auto arroganti in strada. Intorno centinaia di vite che fanno a tempo solo a lasciare poco di sé, un istante di un percorso abituale o casuale da cui lanciare uno sguardo di compassione a chi la vita l’ha messa in sosta lì, i singhiozzi di schiena che hanno lo stesso significato delle quattro frecce nella corsia di emergenza: abbiamo un problema, ma non fermatevi nemmeno un secondo, ho già il mio carro attrezzi. Dietro l’angolo, così almeno si sfugge dal resto del gruppo che stanzia all’ingresso del liceo e con cui sarà necessario trascorrere il resto di una giornata che già è partita in salita, nemmeno un appiglio per drenare quella spremuta di ansia adolescenziale e indossare la maschera della neutralità quotidiana indispensabile a passare inosservata con i compagni di banco e con il professore della prima ora che noterà quelle chiazze rosse sul volto. Ma sono cose che capitano, nessuno ci fa caso se non noi che fuggiremmo piuttosto che ammettere un turbamento. E chi si ricorda più come funziona, se chi consola poi alla fine ha la meglio e tutto torna come prima o se si fa marcia indietro, si imbocca una strada a caso e si torna nella solitudine che nessuno aveva messo in programma, in un giorno feriale, con un vestito scelto a caso.

regina spektor – all the rowboats

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Regina Spektor, che era già cult prima che fosse di moda Lana Del Rey, ha pubblicato un primo estratto dal suo nuovo album in uscita “What We Saw From The Cheap Seats”. Si tratta di “All the rowboats”, canzone già eseguita qua e là nel corso di esibizioni live negli anni scorsi. Si preannuncia un 2012 tutto al femminile.

me lo mette via?

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Lo scontro di civiltà (apro subito una parentesi: lo scontro non significa necessariamente che alla fine del post ci sarà un vincitore e un perdente, una razza superiore e una inferiore. Lo scontro significa contrapposizione, e nella sua accezione metaforica non per forza di cose armata, in questo caso comunque no, chiudo la parentesi e buona lettura) dicevo lo scontro di civiltà lo si desume dal fatto che uno, l’interessato e potenziale acquirente, è pronto a pagare tutto e subito. Stiamo parlando di un bar in una zona tutto sommato centrale piena di uffici e con una scuola superiore davanti, il che significa ragazzini che fanno colazione e merenda, e un plesso materna più primaria nello stesso edificio, il che significa genitori casalinghi o con orari di lavoro flessibili che si attardano a gustare il caffè dopo il primo round di fatiche quotidiane. Non saprei quantificare, ma se pagasse in contanti – cosa di cui non dubito affatto sia in grado di fare – ci vorrebbe una valigetta apposita anche se si tratta di pezzi da cinquecento euro, no? Comunque ha abbastanza liquidi, l’acquirente, malgrado l’aspetto diciamo dimesso, abiti che potrebbero essere anche di un paio di taglie in meno vista la magrezza. Che poi ci si chiede se i cinesi si vestano nei negozi di roba cinese.

Comunque il probabile futuro proprietario del bar qui sotto si vede che ha fretta di concludere con la controparte, rappresentata da un agente immobiliare con il consueto look in terza persona, che gli sta dimostrando con dovizia di particolari anche la porzione di suolo pubblico in cui sistemare qualche tavolino senza copertura, però niente gazebo e stufe quindi solo con la bella stagione. Si china anche sul marciapiede con un attrezzo che non ho mai visto, ma da come lo maneggia si direbbe un metro laser, che lo punti contro una superficie e ti dice l’esatta distanza. Ammesso che esistano, mi sembra una bella comodità, immagino cinese anche quella, e se non esiste corro subito a brevettarla. Gli spazi dentro sono in ottime condizioni, l’ultimo proprietario, prima di essere costretto a chiudere dalle Fiamme Gialle, l’aveva sistemato per benino. Sapete, è il classico esercizio pubblico che uno lo compra per aumentarne il valore e poi rivenderlo, questo è il business alla giornata del momento, che per i non addetti ai lavori come il sottoscritto costituirebbe uno sbattimento senza precedenti, ma probabilmente mi sbaglio anzi sicuramente ho torto, non a caso, come ho più volte scritto, ho deciso di fare il lavoratore dipendente e lascio l’iniziativa imprenditoriale a chi ha fiuto. Io ho solo il naso.

L’uomo d’affari cinese ha già deciso perché, anche se non ve l’ho detto prima, l’ho notato un paio di sere fa con un compare intento ad annotarsi il numero di telefono dell’agenzia immobiliare e a scattare foto. Così, mentre si svolgeva il sopralluogo, l’agente che gli stava proponendo l’affare non teneva conto del gap linguistico perché la persona interessata voleva dirgli va bene, lo prendo, ma probabilmente il suo italiano non era così fluent e in quei millesimi di secondo l’altro fraintendeva l’esitazione con la poca convinzione e ripartiva alla carica con numeri e dettagli. Allora il cinese, con le mani in tasca e guardandosi le scarpe, aspettava il successivo slot di conversazione libera in cui inserirsi e zittire l’agente con il suo parere positivo. Ma si vedeva che la vera contrapposizione non era lessicale, lo avete capito, bensì consisteva in uno squilibrio tra chi ha necessità e chi no, tra un flusso di cassa e un alveo a secco, e ammesso che il secondo sia in grado di contenere il primo senza lasciar tracimare il liquido a causa della scarsa manutenzione nei periodi di magra, su questa metafora provate a indovinare quale delle due civiltà è destinata a esaurirsi, e a questo punto ormai lo scontro ha ben poca importanza.

amarsi, un po’

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Le giornate campali in cui si mette in discussione tutto le senti arrivare dalla notte prima, perché si dorme poco e male, fa troppo caldo sotto il piumone invernale che è ancora lì visto che fino a nemmeno sette giorni fa c’era la neve e ci si alza sudati a bere una volta, poi per andare in bagno, poi a bere una seconda volta e alla fine un’ora buona prima della sveglia si è già con gli occhi spalancati e si inizia di buon mattino a mettere in discussione tutto. Poi ti prepari ed esci e le strade sembrano deserte, il che è anomalo, cosa c’è di diverso da ieri alla stessa ora? Vuoi forse farmi credere che anche gli altri hanno pensato di mettere in discussione tutto? Anzi, magari sono già arrivati a una conclusione prima di te, sono così determinati da aver deciso di passarsi al setaccio, punto per punto. L’ordine del giorno? Cos’è che sto andando a fare in ufficio, cos’è questa schiavitù della routine, basta con le code in automobile, perché non ho mai fatto in modo affinché sia tutto diverso. La cosa strana è che i pendolari che normalmente stanziano ordinati e silenziosi nella remissiva sopportazione dell’ennesimo ritardo li vedi ridiscendere le scale e fuoriuscire dal sottopassaggio. Hei dove state andando tutti quanti? Il treno sta per arrivare, ma siete ammattiti tutti d’un colpo? Chi è che sobilla, ci si chiede. I gruppetti che viaggiano quotidianamente insieme si sparpagliano e, come tutti, spariscono in fretta e in furia. E allora comprendi anche il perché l’ingresso della scuola era stranamente poco popolato, altro che riunione sindacale. Genitori, insegnanti e figli, anche loro sono stati assaliti dalle grandi domande.

Così è ufficiale, ecco dove volevano portarti tutti i segni premonitori, nulla è come sembra, tutto dev’essere messo in discussione. E ti chiedi da dove iniziare. Ma certo, comincia da quello che fai. Sei convinto di saper comunicare, vero? Ma guarda, bbbello, – senti la voce insolente del tamarro di periferia che c’è in te, la tua coscienza ha fatto le scuole a Quarto Oggiaro – guarda bbbello che la tua non è mica arte, bbbello, devi solo saper convincere, devi indurre gli altri a comprare. Che parole usi per aumentare le vendite delle aziende che si affidano a te? Pensi che sia sufficiente scrivere per comunicare? Non devi mettere te stesso, devi pensare come penserebbe chi sta dall’altra parte con i soldi alla mano, a loro non interessa leggere e sorridere della tua arguzia. La pubblicità è qualcosa di più, o per lo meno qualcosa di diverso. Tu non sei un copy, se solo un giornalista mancato. Ecco, a quel punto hai fatto il tuo dovere, hai celebrato degnamente la giornata del mettersi in discussione con tutta la durezza necessaria per infierire al meglio sulla tua autostima, nel frattempo le cose fuori si sono normalizzate. Qualche auto si è mossa e qualche travet è ricomparso con il suo best seller in mano, tutto sta riprendendo come se un domani ci fosse veramente e ognuno dovesse tornare a ricoprire il ruolo che, nella propria esistenza, conduce da sempre. E tutto perché non ci si vuole bene abbastanza, non si è mai abbastanza teneri con sé stessi. Certo, se la vita fosse una canzone di Otis Redding, tutto sarebbe più semplice.

unplugged

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Beato il popolo che non ha bisogno di mettere prese e attacchi nella parte posteriore dei dispositivi. Perché dietro al pc, alla tv o a qualunque altro strumento che vive anche per scambiare informazioni o segnali con qualcos’altro tramite cavo, ci si arriva con fatica, c’è sempre poco spazio e poca luce e allora occorre rimuoverlo dalla sua collocazione abituale per trovare matasse di polvere miste a parti di giochi per bambini date per disperse e trofei felini organici e non. Non a caso è naturale che, una volta spostato il dispositivo in questione, gli animali domestici siano attirati dall’anomala porzione di vuoto creatasi in casa o, peggio, mostrino curiosità verso lati non visibili in condizioni normali degli oggetti di uso comune e amino intromettere il muso durante operazioni già ostiche come il cablaggio, occultando alla vista il foro target dell’operazione. Così ogni volta in cui c’è da connettere o sconnettere qualcosa si idealizza il disegno ottimale del pannello di “front end” di quell’apparecchio di uso quotidiano, un’interfaccia tale che ogni volta in cui occorre collegare una chiavetta usb o un banale cavo di amplificazione la schiena dell’utente non corra il rischio di una torsione fatale, alla faccia dell’usabilità. Sapete com’è, io sono abituato a cose così.

handle with care

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Dovresti indossare i guanti per lavare i piatti, mi suggerisce mia suocera dall’alto dei suoi ottantadue anni di esperienza, guarda me come ho conservato bene la pelle. Ma i guanti non so nemmeno dove siano, a casa abbiamo l’abitudine di ammucchiare tutto in lavastoviglie e poi quando è colma avviare il lavaggio, raramente approcciamo quel lavoro domestico manualmente e le poche volte in cui accade è più il tempo perso a ricordarsi dove abbiamo lasciato i guanti la volta precedente che a terminare il compito. Si tratta però probabilmente di un comportamento dettato dall’inconscio, perché pur riconoscendone il valore protettivo, la sensazione che mi restituiscono è sgradevole. A parte il fastidio per la vestibilità in sé come tutti i capi di abbigliamento e gli accessori che stanno attillati. Su di me hanno un effetto di soffocamento, probabilmente la chiusura dei i pori è una asfissia in potenza che la mia irrazionalità trasferisce alla bocca, come se qualcuno me la tappasse con il nastro adesivo. Non vi dico quando nel camerino del Decathlon ho provato la calzamaglia da corsa invernale, avete presente vero quella tuta da Superpippo nera che va di moda. Sono riuscito a indossarla per pochi secondi, stavo per soffocare e chiedere aiuto agli inservienti.

Ma, tornando ai guanti di gomma, il disagio che mi inducono deriva dal fatto che mantengono parte della sensibilità della pelle inalterata. Si percepiscono i fluidi, l’acqua e il detersivo, senza bagnarsi, la temperatura stessa dei materiali, la superficie al tatto che aumenta l’attrito con gli oggetti per evitare di combinare disastri con il vetro. Si utilizzano le mani senza sporcarsele. La gomma è una protesi del nostro agire, una guaina di distacco dall’esterno, uno strumento di precisione per rimanere illesi sull’orlo del distacco. Ora immaginate una pellicola così per i rapporti interpersonali, utilizzare un commutatore di percezioni, un addizionatore di ambiguità per i propri sentimenti in uscita che allo stesso tempo funziona come un gigantesco preservativo anti-coinvolgimento emotivo in entrata. Toccare senza il tatto, parlare senza contagiare il prossimo con le nostre passioni virali, ascoltare con un filtro che smorza le frequenze basse, quelle che vengono dalla pancia altrui, respirare in un costante ambiente asettico, osservare senza inumidirsi mai gli occhi. La contraddizione consiste nel sentire esattamente quello che c’è fuori senza assimilare nulla. Trattare il mondo con i guanti aiuta a preservare la pelle ma trasferisce una sensazione di viscido, me lo ha detto un bicchiere prima di gettarsi a capofitto nel lavandino.

sharon van etten – serpents

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