che dio la benediga

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E allora? Leggendo il testo completo dell’affermazione del viceministro Martone, e mi fido della versione riportata da Il Post che è “Dobbiamo iniziare a dare nuovi messaggi culturali: dobbiamo dire ai nostri giovani che se non sei ancora laureato a 28 anni sei uno sfigato, se decidi di fare un istituto professionale sei bravo e che essere secchioni è bello, perché vuol dire che almeno hai fatto qualcosa”, una qualsiasi persona di buon senso ne può capire le intenzioni e il significato. Trovo disdicevole l’utilizzo di un termine così infelice da parte di una figura istituzionale, detto ciò è ovvio che si riferisse solo ed esclusivamente a chi cazzeggia mantenuto ad libitum, e suggerire un invito a creare una cultura tale che chi si trovi in tali condizioni si senta inappropriato, sia per sé che per la società, è ben diverso dal dare dello sfigato a una categoria così generica. Siamo troppo intelligenti per far finta di non capirlo, e non mi sembra così inopportuna come uscita, basta guardarsi intorno, nei propri uffici, nelle proprie famiglie. Ma la consuetudine vuole che la discussione si avvampi partendo dagli stralci riportati dai media che mettono l’enfasi solo sulla parolaccia. Di certo poco ortodossa, ma almeno più adeguata di bamboccione.

uomini così poco allineati

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Anche io ho una canzone di Fossati che voglio ricordare pubblicamente, si tratta de “La musica che gira intorno” che mettevo sempre all’ultimo dei juke box prima che i juke box diventassero afoni. La mettevo perché c’era sempre meno musica decente, quell’anno meno che mai, e “La musica che gira intorno” rimaneva lì con il suo 45 giri come un pezzo di una bici legata a un palo in strada e ti meravigliavi del perché non avevano fatto sparire anche quel pezzo lì dopo il sellino, il manubrio e il fanale anteriore. Ma anche se ci fossero stati i brani partecipanti al Festivalbar al completo avrei messo lo stesso a ripetizione “La musica che gira intorno”, perché mi piaceva come iniziava e poi il fatto che tutti si giravano a vedere chi è che aveva messo ancora quella canzone, ed ero proprio io. Fino a quando, mimando una parte di chitarra con la mano destra sulla pancia e la sinistra a schiacciare un manico inesistente, ho sentito una voce piuttosto importante per me, in quel momento, dire che palle, come sei noioso, sei vecchio dentro, sembri un pensionato. Fine della storia. Sarai contenta oggi che anche Ivano Fossati va in pensione. Chissà se tu ci arriverai.

dente perdente

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Stare con la bocca spalancata e una dentista munita di pinza affiancata dalla sua assistente sopra di te non è il modo migliore per chiudere una dura giornata di lavoro. Ma non dev’essere nemmeno il massimo stare di fronte, dopo una giornata di lavoro, a una bocca (la mia, poi) spalancata con una pinza in mano e adoperarsi per un’estrazione. Dal punto di vista di chi sta sotto, doversi separare da una parte di sé così importante come un premolare per metterne poi in seguito un altro finto e riacquistare tutta la potenza del proprio sorriso è tanto traumatico quanto metaforico, d’altronde chi non ha mai sognato di perdere i denti, l’angoscia che si prova, il sollievo al risveglio e il malumore per l’intera giornata?

E mentre sei lì smarrito nelle tue interpretazioni delle tragedie esistenziali, ti sciacqui via i residui di quel pezzo che avevi in dotazione da almeno trent’anni e che non ti capaciti di come si sia potuto guastare, e pensi che diamine, avrebbe potuto succedere quando eri ancora mantenuto dai tuoi genitori anziché pesare sulle tue risorse, perché ridendo (ora con un buco temporaneo) e scherzando quell’avulsione come sta scritto sulla fattura e che ti fa pensare alla ricchezza del vocabolario professionale di un dentista, quella lacuna dicevo alla fine ti costerà un paio di migliaia di euro per colmarla. I denti non ho scelto io di averli, dovrebbero essere di competenza per sempre dei genitori, mi sembra giusto che debbano pagare loro per i figli anche quando i figli già pagano per i loro figli.

Ma un pensiero va a quella donna che sta tirando con tutte le sue forze le radici via dall’osso, perché fa un lavoro che tu non faresti mai, che oltre a dover ravanare da mane a sera nelle peggio cavità orali di grandi e piccini resta esposta almeno otto ore al dì ai più ributtanti olezzi, con la sua assistente che aspira i liquidi in eccesso e che sembra non fare mai abbastanza o posizionare l’aspira-schifezze nei punti sbagliati. E il pensiero è il seguente: chi glielo ha fatto fare alla mia dentista di intraprendere quella carriera lì, e la risposta che viene subito, la prima risposta che è quella che conta sempre, la si può riassumere con un simbolo che è questo qui: $ (immaginate il suono di un registratore di cassa che spalanca le sue fauci).

E meno male che ci sono persone che preferiscono sporcarsi le mani tra le gengive altrui, che tanto in un modo o nell’altro in qualche modo te le devi sporcare quindi tanto vale farlo per il più cospicuo gruzzoletto possibile, piuttosto che per vedere il proprio nome d’arte stampato in un colophon della house organ di una compagnia assicurativa. Quindi anche se stai scindendo due elementi che sono sempre stati uniti, il corpo che è il mio dal dente che mio ora non è più e che sarà rimpiazzato da un qualcosa chiamato impianto e che come le scelte che si fanno sul tipo di parquet da mettere in casa, e passi dal listone Giordano al laminato Ikea, così  ci sono vari modelli di rivestimento per la corona e io so già che sceglierò la versione più economica perché noi, povera gente, viviamo così, sempre alla ricerca del prezzo più basso.

Dicevo, anche se mi stai facendo un po’ soffrire con i tuoi attrezzi che pensavo anche: ma non dovrebbe esistere un laser nel 2012, qualcosa che fa bzzzzzzzz e il dente salta fuori da solo come da un tostapane? Bene, tu o dentista sappi che ti ammiro, e nella classifica dei mestieri che non farei nemmeno morto e che grazie al cielo c’è qualcuno che li fa e sa farli bene arrivi seconda solo dopo il pilota degli aeroplani di linea che devo prendere nel mio futuro.

78.000 sterline

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Ogni tanto mi capitano quelli che io chiamo Genesis Day, che sono quei giorni in cui ho molto tempo libero e mi viene voglia di ripassare tutta la discografia della band inglese in vinile in mio possesso, dall’inizio alla fine e rigorosamente in ordine cronologico. Si tratta di momenti che è bene che mi capitino quando sono solo in casa, perché mia moglie non è tanto dell’idea e già sulla facciata A di Nursery Crime inizia a manifestare segni di insofferenza, quindi lascio consumarsi l’epico finale di The return of the giant Hogweed e rimando il secondo episodio della monografia a data da destinarsi. A nulla serve vantarmi dell’aver portato in dote addirittura l’edizione francese del disco, fatta a libro con i testi stampati a differenza dell’edizione più comune con i testi nella fascetta interna. O ricordarne l’anno di uscita, 1971, come se si trattasse di un miracolo il fatto che già allora si suonasse così, e le ho anche sottolineato il fatto che si tratta del primo album registrato con Phil Collins alla batteria. A quel punto mi sono chiesto che fine avesse fatto John Mayhew, che era stato sostituito subito dopo la pubblicazione di Trespass, ho così cercato in rete e mi sono fermato alla sua biografia su Wikipedia, che ho trovato davvero particolare. Leggete qui:

John Mayhew
È stato il terzo batterista (anche voce) dei Genesis, nel periodo tra settembre del 1969 e luglio del 1970. Sostituì il precedente batterista John Silver e fu a sua volta sostituito da Phil Collins. Suonò nell’album Trespass e nel box set Genesis Archive 1967-75.
Biografia degli anni seguenti.

Lasciati i Genesis, suona in diversi altri gruppi e nel 1979 va a vivere in Australia, esercitando la professione di falegname. Per molti anni si perdono le sue tracce. Nel 2006 partecipa a una convention di fan dei Genesis a Londra, suonando la batteria nel brano The Knife cantato dalla Tribute band ReGenesis[1]. Riceve dal management dei Genesis 78.000 sterline, quale ricavo per i diritti dalla sua collaborazione nel disco Trespass, che non aveva reclamato precedentemente. Vive gli ultimi anni della sua vita a Glasgow, in Scozia, lavorando quale falegname in una ditta di mobili. Un giorno prima di compiere i 62 anni, muore in ospedale a seguito di problemi cardiaci.

per fascia di età

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C’è chi si disorienta, ne sono sicuro. Chi ne prende atto e lascia che seguano il loro corso. C’è anche chi si fa entusiasmare dall’evoluzione delle cose, intese come i fatti e gli avvenimenti ma anche come le cose nell’accezione latina del termine, che con l’avanzare degli anni acquistano significati differenti e vengono percepite in modo sempre nuovo e diverso a seconda dello stadio di crescita. E ci mancherebbe altro, direte voi. Sai che noia vedere tutto sempre con gli stessi occhi di quando si era giovani e poco realisti. Vengo al punto.

Un paio di sere fa ho seguito qualche frammento di un programma tv che va molto di moda e che si intitola “Le invasioni barbariche”, condotto da una ex presentatrice del “Grande Fratello”, ma se è vero che le persone crescono e cambiano, come ho appena sostenuto poco fa, potremmo anche metterci una pietra sopra e dare all’ex presentatrice del Grande Fratello una seconda possibilità. L’incipit è stato un quadretto che mi ha messo a disagio per l’imbarazzo, un tete a tete tra Saviano e Jovanotti, quello di “Sei come la mia moto” per intenderci. Ma ho pensato che se l’avessi seguito a diciott’anni – non ai miei diciott’anni perché non credo che Joe Strummer si sarebbe giammai reso disponibile per un programma di quel genere, ma ai diciott’anni di un diciottenne di oggi – probabilmente mi sarei riempito di orgoglio per questo tipo di dialoghi tra icone pop che piacciono tanto al pubblico delle “Invasioni barbariche”. Vuoi la sovraesposizione del primo, vuoi l’onnipresenza sopra le righe del secondo, ho fatto un bel sospiro, ho chiuso gli occhi e deciso di portare pazienza sperando in tempi migliori.

Poi c’è stato il momento dell’intervista dell’ex conduttrice del “Grande Fratello” a Saviano, e ho pensato che se avessi avuto venticinque o trent’anni – non i miei venticinque o trent’anni perché non credo che Sergio Zavoli avrebbe condotto un’intervista così, ma i venticinque o trent’anni di un uomo di trent’anni circa di oggi – tutto quel compiacersi dell’essere nel posto giusto al momento giusto mi sarebbe sembrato manna da intellettuale, l’avrei persino videoregistrato in qualche modo per fermare quello scambio di mimiche speculari e tentarne addirittura un’esegesi dal punto di vista delle tecniche di comunicazione del giornalismo d’intrattenimento televisivo in ottica PNL.

Così finalmente sono entrato nell’età adulta giusto in tempo per l’ora di intervista di Lucia Annunziata a Mario Monti di ieri, e ho immaginato che a quarant’anni – non con i miei quarant’anni perché dubito che Enzo Biagi avrebbe fatto quel tipo di domande con quel tipo di presunzione ma con i quarant’anni di un adulto di oggi – mi sarei sentito finalmente tranquillo con un’autorità di quel calibro al governo, e avrei comprato Repubblica il giorno dopo per leggere gli approfondimenti (magari di D’Avanzo) e scoprire le reazioni del panorama politico.

E infine c’è ancora quella stessa intervista di Lucia Annunziata a Mario Monti seguita però da un quasi quarantacinquenne, un quasi quarantacinquenne di oggi, che riesce incredibilmente a separarne la fruizione vedendo e ascoltando solo le convincenti affermazioni del Presidente del Consiglio più preparato e competente delle ultime legislature. Il resto, le domande e i tentativi fuori luogo di primeggiare nel faccia a faccia da parte della giornalista, miracolosamente svaniscono come tutte le altre cose minuscole, osservate da questo privilegiato punto di vista.

datemi un passaggio

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Guardate qui, un giochino carino per musicisti o musicofili: l’autore ha tagliato e isolato una serie di passaggi o intro di batteria da canzoni famose, il gioco sta nell’indovinare di quale brano si tratta, ovviamente. Ci sono altre due sessioni, qui e qui. Poi vi dico il mio punteggio, alcuni non li conoscevo proprio. Buon divertimento, e attenzione a non far cadere le bacchette.

cd, Rom e dematerializzazione

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Il giorno in cui ti rubano in casa è un gran brutto giorno, anzi una gran brutta sera perché nel migliore dei casi te ne accorgi al rientro dal lavoro e non ti capaciti di come nessuno dei tuoi vicini non abbia sentito rumori così eclatanti come il vetro di una porta finestra infranto. Ma se vivete in uno dei numerosi paesi come quello in cui abito io è facile che tutti i vostri vicini, come voi, al momento del reato siano pressati su un mezzo di trasporto pubblico diretti verso il centro di Milano, o ad ascoltare in coda gli scherzi telefonici (già, nel 2012 si fanno ancora gli scherzi telefonici) in diretta su qualche network radiofonico commerciale.

Dicevo nel migliore dei casi, perché nel peggiore invece te ne accorgi al mattino e ringrazi il cielo di non esserti svegliato prima a meno che tu non sia una persona in grado di farti giustizia da te – e qui devo trattenermi dallo scrivere che si tratta di una tipologia di persone che invidio molto di questi tempi – e sia in grado di gestirti in autonomia la cosa. Che poi il consiglio che ti danno tutti, se il tuo appartamento si trova ai piani bassi, è di mettere l’antifurto, come se l’essere svegliati nel cuore della notte da un allarme fosse la soluzione. Sì, può essere un deterrente a terminare il lavoretto, ma a uno come me verrebbe un coccolone e, detto tra noi, il motto “uomo avvisato mezzo salvato” non mi si addice.

E per la povera gente come noi, come me, come la coppia di amiche la cui casa è stata visitata da ignoti un paio di giorni fa, il danno economico fortunatamente non è mai così rilevante. Il portatile, la macchina fotografica, l’oro se presente. In genere i ladri sanno distinguere perfettamente tra oggetti di valore e bigiotteria o argento, ma non sembrano essere molto aggiornati sulle nuove tecnologie tanto che non sono in grado di riconoscere accessori di tecnologia o di hi fi. Gli ultimi episodi di cui sono venuto a conoscenza, quello capitato a me un anno fa compreso, presentano analogie da questo punto di vista. Nel mio caso, non hanno preso il Microkorg che avevo lasciato collegato al pc che invece è sparito. Poi ho capito che, non essendo uno strumento acustico, non sarebbe comodo da utilizzare per le esibizioni in metropolitana, necessitando di un amplificatore. Anzi, da allora quando poi al termine della performance i musicisti mi si avvicinano per avere un compenso, mi viene spontaneo dire loro di restituirmi il portatile, prima. Poi però non lo faccio, esibisco il mio mezzo sorriso di ordinanza, scuoto il capo e mi rimetto a leggere.

mi fai stare bene

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Non c’è nulla di personale da parte mia contro Biagio Antonacci, comincio così queste futili righe di pensieri per mettere le mani avanti, e dal momento che fare gaffe è una mia specialità ci tengo a mantenere i buoni rapporti con tutti. Consideratela una forma di prevenzione per commenti di fan invasati scritti in caratteri maiuscoli e zeppi di punti di sospensione e punti esclamativi, tipo “CHI SEI PER CRITICARE BIAGIO…… NON VALI NEMMENO LO SPORCO DELLE SUE DITA DEI PIEDI!!!!11!!1!… PRIMA DI SPARARE SENTENZE INFORMATI!!!!11!!”. Il rischio di chi ha un hobby come il mio (sì, posso considerarlo un hobby) è di trovare sui propri passi qualche setta o singoli cani sciolti pronti a insultarti gratuitamente quando esprimi pareri personali perché sai che chi ti legge solitamente la pensa a grandi linee come te, quindi ti esponi liberamente convinto di poter ricevere solo encomi.

E la cosa bizzarra è che con Biagio Antonacci pratico una sorta di negazionismo, nel senso che nego la sua esistenza perché vi giuro non saprei dirvi un solo passaggio di una sua canzone tantomeno cantarne un refrain. Il titolo stesso del presente post, omonimo di un suo successo, l’ho trovato su Wikipedia, e l’ho usato perché mi sembrava attinente a quello che volevo esprimere. Biagio Antonacci mi risulta talmente anonimo che non escludo di aver potuto ascoltare qualche suo successo passato da quelle emittenti radiofoniche specializzate in nullità locali, ma così sui due piedi, senza fare un minimo di ricerca in rete, mi trovereste completamente spiazzato. E mi succede con pochi, gente del calibro di Gatto Panceri, Dolcenera o quegli avanzi di Amici o di X-factor tra i quali è raro trovare il personaggio in grado di emergere. Si, lo so, siete inorriditi nel veder il vostro idolo che comunque deve essere in attività da anni (confermate?) alla stregua di un qualsiasi vincitore di talent.

E sapete come so che c’è gente che è fan di Biagio Antonacci? Ho assistito in diretta a una serie di telefonate di una collega che prima ha concordato tutta fremente l’acquisto del biglietto di un suo concerto, poi ha preso accordi in modo eccitato il giorno stesso per recarvisi, quindi ha commentato dinanzi a tutti, parlando con un interlocutore misterioso, sperticandosi in lodi la performance il giorno dopo, e a giudicare dalla voce roca doveva aver supportato il suo beniamino vocalmente per l’intera durata della scaletta, e lì per lì mi sono chiesto come abbia fatto a non confondersi. Ma oggi, finalmente, la prova del nove: passo a fianco di una automobile in coda a un semaforo, la musica dentro a tutto volume con i finestrini chiusi, e una donna che canta a squarciagola interpretando perfettamente la sofferenza della melodia. Non capivo la struttura del pezzo, e grazie a mia moglie ho appreso che si trattava di un brano proprio di Biagio Antonacci. Io lo stavo confondendo con Nek, pensate un po’, e quando ho saputo la verità ho appurato che Biagio Antonacci, rispetto a Nek, è ancora più da sfigati.

lost in internet

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Uno dei feedback negativi che ti restituisce il web è la perdita di tempo quando, anche se sei sgamatissimo nel fare le ricerche e filtrare a naso i risultati, non trovi il dato a cui stavi dando la caccia, finisci in una pagina che ti rimanda a un’altra pagina dove trovi il link a un’altra pagina. Quel meccanismo tra la matrioska e il labirinto che poi alla fine spegni tutto e te ne fotti, tanto come al solito era poco importante e la risposta che cercavi più o meno la conoscevi già. Ma il peggio che ti può capitare è leggere o assistere a roba inutile, questa che hai davanti tu ora in primis qui per esempio, quando potresti invece perderti tra le pagine di un romanzo avvincente, trascorrere ore con i tuoi simili dal vero, fare l’amore, fare altro insomma.

Ma un conto è l’informazione o la presunta tale. È l’Internet intesa come entertainment a essere ancora in fase sperimentale, e si sa che la sperimentazione può dare frutti fighissimi – ora così sui due piedi non mi viene in mente neanche un esempio ma sono sicuro che qualcosa ha funzionato da qualche parte in qualche epoca storica – o generare ciofeche, magari cose curatissime e in bella copia, purtroppo nel complesso inutili. Io sono fortunato da questo punto di vista: leggo il titolo e le evito. Di norma è infatti il titolo che rende appealing un contenuto o stimola la curiosità, io poi lo sapete sui titoli ho questa deformazione professionale tanto che a volte me ne viene in mente uno che mi piace e scrivo due righe di conseguenza, o lo salvo nelle bozze come faccio in agenzia, che magari prima o poi un modo per utilizzarlo per una campagna pubblicitaria lo si trova. E non credete a quelli che vi dicono che i titoli che anticipano i contenuti sono più facilmente indicizzabili dai motori di ricerca, sì è vero ma vuoi mettere il gusto di giocare con le parole rispetto a qualche clic in più? La vita non è sempre un supermercato, diamine e il termine stesso “accattivante”, il paradigma del contenuto online, mette i brividi, sa di subdolo, di evasore fiscale, non trovate?

Lo zapping sul web è tale e quale allo zapping sulla tv di una volta, cazzeggiare premendo tasti o cliccando a caso genera lo stesso noioso risultato perché se non sai cosa vuoi leggere o vedere o ascoltare alla fine ti annoi. Vai su Youtube, per esempio, trovi la thumbnail in home page di una produzione di cui ti ricordi di avere letto qualcosa su qualche blog di quelli più seguiti di questo. Così prima di fare la ricerca per la quale ti eri portato lì, clicchi, aspetti che l’ultimo episodio pubblicato di Lost in Google parta, e nemmeno una manciata di secondi di dialoghi, di grafica, di facce e di contenuto capisci già tutto e immediatamente sei già passato ad altro. I dieci minuti e ventitrè secondi risparmiati così li sfrutti per annotarti qualche considerazione tipo questa, o per accarezzare uno dei tuoi due gatti, che come ogni sabato mattina aspettano che ti metti a fare colazione per saltarti addosso, mentre cerchi contenuti interessanti sui siti che sai non ti faranno perdere tempo, perché i tuoi gusti li conosci alla perfezione, dopo tutti questi anni.

giustizia in libertà

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Ne ho letto talmente male su Ondarock che mi sono subito ehm, come dire, procurato il nuovo lavoro dei Justice perché sono un amante dell’elettronica, non disdegno un certo progressive d’epoca, e non mi spiegavo un voto così basso in pagella. Chiaro che chi si aspettava qualcosa di simile a † posso immaginarne la delusione. Ma, onestamente, il daftpunkismo oramai è un po’ demodè, e allora perché non intraprendere questo moderno percorso a ritroso tra i più oscuri Rockets tendenti ai Tangerine Dream? Ogni tanto qualche rigurgito tipicamente Justice, nella ritmica soprattutto, viene a galla. Il risultato è più che originale, su questo possiamo starne certi.