stare così appiccicato è traumatizzante

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Dovreste capirmi: uno ama alla follia un gruppo che fa un pezzo così:


nel cui video tra l’altro il cantante indossa la canotta di uno dei suoi gruppi preferiti (i Beat) oltre alla band in questione:

ma questo non c’entra. Il problema è che poi la band in questione, i Police, passato qualche anno e chissà chi si credono di essere diventati quei tre, rifà quel pezzo così:

e uno non si riprende più dal trauma, non trovate?

detto tra i denti

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Non notate nulla?, ha chiesto interessata. E come avremmo potuto non notarlo, la conferma a portata di mano che i più ricchi si fanno l’impianto, le persone normali il ponte, i poveracci si lasciano gli spazi vuoti, come se qualcuno avesse giocato a m’ama o non m’ama tra le gengive, oddio che schifo. Perché quello di perdere i denti è uno degli incubi ricorrenti che le ansie diurne fanno maturare durante il sonno, ma anche quello di non potersi permettere le cure di un dentista non è quello che si dice propriamente un idillio. E invece lei ha avuto più di un’opportunità nella vita, signora mia, e ha scelto l’opzione A, quella di lusso, tutta l’arcata nuova di pacca per la quale ha speso – sono parole sue, non mi permetto alcuna illazione – decine di migliaia di euro tanto che suo marito, cinico quanto basta sul fatto che una persona di una certa età come lei abbia preferito un intervento del genere a una più comune dentiera, non perde un istante a ricordarle che ha la fortuna di avere un box doppio, in quella bocca.

che discorsi

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La letteratura personale sulle notti di capodanno potrebbe occupare un blog a sé, specie per chi ne ha almeno una trentina da raccontare e le altre quattordici magari non se le ricorda più (e non è detto che siano quelle più cronologicamente remote), perché anche se non ce ne importa nulla ed è una sera come tutte le altre poi alla fine qualcosina la facciamo sempre, anche solo andare a dormire presto per ripicca. In genere un bicchiere di qualcosa con amici e parenti lo si beve, si tranquillizzano i gatti nel panico da botti, si osservano le composizioni cromatiche degli spettacoli pirotecnici sovrapporsi al pezzo di luna rimasto. Ciascuno di noi ne ha almeno uno indimenticabile, uno deprimente, il resto sono per lo più sono così così, che poteva andare meglio ma alla fine non c’era nulla che avrebbe potuto farlo andare diversamente. Poi ci si sveglia sempre prima di tutti gli altri anche se ci si è addormentati alle tre del mattino, si spalanca la finestra e si osserva fuori il vuoto freddo malgrado il sole, con residui di petardi gettati per strada. E a quel punto si fa di tutto per non canticchiare la canzone sul primo dell’anno più famosa – quella di quel noto quartetto iralndese, per intenderci – ma, malgrado gli hard disk strapieni di musica e la collezione di vinile a disposizione, non viene in mente altro e la cosa amareggia non poco. Diamine uno si tiene così tanto aggiornato per scegliere alla fine come sottofondo sonoro mentale il pop degli U2. E poi niente, sostanzialmente è solo una domenica con tutta la sua domenicosità al cubo ché domani ci sarà la conferma che l’improduttività è stata solo una concessione temporanea. Per fortuna, prima di chiudere il post, una canzone a tema viene in mente, difficile però cantarla a meno che uno non sappia urlare così (e oddio, comunque avere l’estensione vocale di Bono non è che sia da tutti). Ah, dimenticavo, buon anno.

cominciamo bene

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Il livello di una civiltà lo si evince anche dal tenore degli artisti ospiti nella trasmissione tv della notte di Capodanno sulla rete ammiraglia, quella che uno tiene come riferimento solo per gli ultimi centottanta secondi di conto alla rovescia, giusto per essere sincronizzati con il resto del mondo e poi, anziché spegnere, lascia lì perché è da non credere.


(nemmeno i Gipsy Kings veri ci possiamo permettere)

(la prima poesia per il nuovo anno)
(prima o poi riusciranno a liberarlo quel benedetto pensiero che da quarant’anni, questi qui, hanno chiuso chissà dove)

tanto rumore per nulla

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Il condominio di fronte al mio, molto più grande e dotato di un parchetto pubblico, si distingue soprattutto la notte del trentuno dicembre. Perché proprio da quel parchetto, allo scoccare della mezzanotte, parte uno spettacolo pirotecnico che non ha eguali, nella zona. E quando parlo di fuochi d’artificio, non esagero dicendo che i loro botti potrebbero essere paragonabili a quelli di qualche associazione Pro Loco in onore del santo patrono. Vanno avanti per un quarto d’ora abbondante, probabilmente ogni anno fanno una colletta o mettono la voce capodanno alla riunione condominiale, e il pagamento della rata successiva comprende anche la quota pro capite a copertura del budget. Preparano tutti i razzi in fila nel giardino comune e poi, messi al riparo (ma non troppo) bambini e animali, accendono la prima miccia e apriti cielo. Noi così ogni anno ci piazziamo sul terrazzo all’ultimo piano del nostro palazzo, riempiamo i bicchieri di spumante e ci godiamo la scena, non senza il timore che qualche razzo sfugga al controllo e ci scoppi sopra o addosso. Perché la cosa potrebbe degenerare se qualcuno, dalla nostra parte, prendesse il tutto come una sfida a chi dà più spettacolo per dare vita a un’escalation degna di Paperino contro Anacleto Mitraglia. No, noi per fortuna non abbiamo un livello di coesione tale da condividere questo genere di festeggiamento partecipativo durante le festività, al massimo si fa l’albero all’ingresso del palazzo e, incontrandosi sull’ascensore, ci si scambia qualche augurio prima di scendere al piano. Quest’anno chissà, forse la crisi e i sacrifici avranno indotto il comitato festeggiamenti del vicinato a un’iniziativa più in sordina, magari qualche miccetta di contorno al tradizionale panettone condominiale. Ma speriamo di no: andrebbe a scemare anche il nostro principale divertimento, non avendo più nessun comportamento altrui da criticare.

love is a banquet on which we feed

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Molto tempo prima dei lucchetti di Ponte Milvio e degli auricolari dei dispositivi portatili per l’ascolto della musica condivisi tra le giovani coppie in barba alle principali leggi della stereofonia, era tutt’altro che raro che ragazze e ragazzi innamorati a vicenda, alla domanda “qual è la vostra canzone” – intesa non certo come quale pezzo presentate al prossimo Festival di Sanremo bensì come quale brano considerereste colonna sonora della vostra storia se la vostra storia fosse un film – in almeno nove casi su dieci (stima puramente inventata dal sottoscritto), rispondessero senza indugio alcuno “Because the night”. Come biasimarli, d’altronde. Si tratta di una delle canzoni d’amore e struggimento più note della letteratura musicale di tutti i tempi, che in molti (in Italia) legano al suo utilizzo come sigla di Fuori orario su Rai 3 dalla notte dei tempi, e che ve lo dico a fare. Insomma, ci siamo capiti. Ma la moltitudine di persone che non riesce a non inserire il suddetto brano in una qualsiasi compilation a sottofondo di turbamenti di ogni sorta è suddivisa in due macrocategorie: quelli che amano la versione di Patti Smith, e i supporter della versione originale di Bruce Springsteen, altrettanto arcinota ma pubblicata solo recentemente nell’album The Promise, uscito lo scorso anno. E non me ne vogliano i fan dei 10,000 Maniacs, la loro cover è stata solo esercizio di stile. (Ah, io voto per Springsteen).

lettere dal carcere

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effe come film, a come anni ottanta

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memento

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Qui, in questo feudo elettronico delle pillole di narrativa approssimativa, della sintassi claudicante e degli impeti di comunicazione tardo-giovanilistica, si ha una percezione della poesia quanto un mistero tanto arcano quanto la neurochirurgia o la contabilità. Troppo complessa per le menti semplici e i temperamenti prosaici usi alla lettura del periodo come espressione matematica estesa, precedente lo svolgimento per intenderci, copiosa di simboli e caratteri, la cui riduzione ai minimi termini fino al risultato finale costituisce una vera e propria variabile e incognita, la sintesi che l’abitudine a dilungarsi ha reso fuori portata. E dire che negli slanci ormonali mossi dai primi bollori c’era chi si cimentava in letture ardite di liriche con rima e non, metriche attraverso cui cadenzare e fratturare nel verso successivo sospiri di sentimento e palpiti annessi. Senza contare il maledettismo romantico che perseguitava quale condanna chi non si limitava ad affrontare le intemperie nelle mattine d’inverno con la camicia aperta sul petto implume ma cercava nelle dimensioni demiurgiche la materia più adatta a colmare i rari vuoi lasciati dal proprio io. Insomma, che due coglioni. Ma andava per la maggiore Iginio Ugo Tarchetti, l’eroe scapigliato, il dark ante litteram, che, un secolo e mezzo prima di Robert Smith, si spingeva oltre l’inutile involucro colloidale del genere umano e il suo animo, ma così oltre che ne percepiva persino l’unica e sola componente davvero imperitura. Altro che Halloween.

Quando bacio il tuo labbro profumato,
cara fanciulla non posso obliare
che un bianco teschio vi è sotto nascosto.

Quando a me stringo il tuo corpo vezzoso,
obliar non poss’io, cara fanciulla,
che vi è sotto uno scheletro nascosto.

E nell’orrenda visione assorto,
dovunque o tocchi, o baci, o la man posi,
sento sporger le fredde ossa di un morto.

incline al raccoglimento

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È un animale che sviluppa sin dalla tenera età l’istinto a conservare unito il branco cui appartiene. A spasso con il gruppo dei famigliari, il cucciolo cerca di impedire la dispersione degli elementi spingendoli l’uno verso l’altro raccolti in poco spazio. Il senso innato per la compattezza si compiace dell’appagamento da un superiore livello di protezione reciproca, una maggiore facilità di controllo e la solidità di una struttura in cui gli individui più deboli possano rimanere posizionati nei punti centrali della formazione.

Nella prima esperienza di socialità tra pari, quella dell’apprendimento sistematizzato, l’esemplare giovane ama constatare l’equilibrio del gruppo nelle fasi di accrescimento dello sviluppo cognitivo e patisce la perdita di membri allontanati, alla fine di ogni ciclo, dagli esemplari guida, gli anziani che manifestano un giudizio di merito su ogni componente intimando ai meno preparati di ripetere lo stesso blocco di insegnamenti l’anno successivo.

Nel corso della pre-adultità non sono rari i casi di formazione di branchi uniti da passioni comuni, per esempio quella di emettere versi, rumori e latrati in compagnia. E analogamente, per gli esemplari più sensibili venire a conoscenza dell’istinto di autonomia di alcuni, come talvolta è stato dimostrato, una volta radicato il senso di appartenenza, provoca forti stress emotivi e la disillusione causata dall’infrangersi del sogno rappresentato dalle finalità originariamente comuni e costitutive. È raro infatti imbattersi in esempi di fedeltà e di rispetto di questi accordi tra elementi nel lungo periodo, numerosi studi confermano che sia sufficiente la vicinanza di un esemplare femminile o anche la velleità di realizzazione solista di un singolo come causa della rottura dei legami. Purtuttavia questa tipologia animale tende all’idealizzazione estrema di queste micro-società tanto da spingere in seguito all’eremitismo artistico gli esemplari più affranti, quasi se la disillusione portasse a una sorta di blocco depressivo e di rifiuto di futuri tentativi di ricostituzione di formazioni analoghe.

Ma il primitivo senso di unità trova la sua massima espressione quando l’esemplare costruisce attorno a sé la propria famiglia, solitamente dopo aver trovato un partner spinto da altrettanto desiderio di coesione. Non è difficile, per i naturalisti e gli etologi, poter osservare i numerosi esempi di chiusura volontaria delle neo-formazioni, per esempio mentre prolungano la permanenza nei giacigli durante le fredde mattine d’inverno quando non sono tenuti a occuparsi delle loro attività di sostentamento. In tali circostanze, nelle loro tane gli adulti usano contemplarsi a vicenda con occhiate amorevoli, quindi assicurarsi che la cucciolata – che può comprendere anche esemplari di altre famiglie animali, per lo più felini di piccola taglia – sia al completo e al caldo. Quindi si dilettano a fare scommesse su quanti gradi ci possano essere fuori, oltre l’imboccatura della loro abitazione, e riducono al minimo indispensabile i propri programmi per il resto della giornata.