così per sport

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C’è solo un’esperienza più totalizzante dello scoutismo per i ragazzi ed è lo sport dilettantistico perché poi alla fine della fiera tanto dilettantistico non è. Le società devono attirare e saper mantenere i propri sponsor fatte le dovute proporzioni tanto quanto le squadre di Champions League, gli sponsor restano se gli dà visibilità, si dà visibilità agli sponsor facendo tante partite, si fanno tante partite se si superano le varie fasi dei campionati, si va avanti se si hanno atleti forti, gli atleti ci mettono del loro con l’attitudine allo sport in questione ma poi ci vogliono i direttori tecnici in gamba che al mercato mio padre comprò. C’è quindi questo vortice di attività che avviluppa le famiglie, con i genitori la cui competitività come potete immaginare è direttamente proporzionale all’età dei figli, il dilettantismo e l’importante che i ragazzi si divertano finisce al netto dei risultati. Poi ci sono i bilanci delle società, la disponibilità dei genitori a dare una mano gratuitamente – ci mancherebbe -, le primedonne e i gruppi che si creano che è anche bello. In questo tourbillon avete notato che la parola “figli” è davvero marginale il che è un peccato. D’altronde nello sport convergono diverse aspettative del genere umano, prima su tutte l’istinto di arrivare primo su altri, e chi – come me – è stato una schiappa può mettercela tutta e aspirare per mano della propria progenie. Quello che spaventa è che, da una certa età in poi, subentra una sorta di alienazione che è quella a cui mi riferivo prima. Mi sarebbe piaciuto che mia figlia si iscrivesse agli scout – non chiedetemi perché, probabilmente è una specie di perversione che mi porto dietro da sempre – ma poi mia è stato consigliato di no perché diventa troppo impegnativo. Tutti i fine settimana, i raduni, gli incontri, la messa, la route, il bivacco. Ora, con il volley, è ancora peggio. Tre allenamenti più due partite in due campionati diversi sabato e domenica, il che significa per i ragazzi rinunciare agli amici degli altri ambienti che frequentano. I compagni di classe che vanno a spasso nel tempo libero mentre tu sei intenta a schiacciare per arrivare prima degli altri a venticinque punti. Che poi, diciamocelo chiaramente, preferisco che mia figlia stia in una palestra piuttosto che al parchetto con i coetanei che si riempiono di parolacce e ripetono strofe di discutibili rapper italiani. E sono certo che lo sport faccia bene. Ma a farne troppo e a quell’età lì delle medie è corretto? Fatto sta che mia figlia, che ha sempre manifestato piccoli episodi di (non so se sia pertinente la definizione in questo caso) sonnambulismo, l’altra notte, coricatasi dopo un allenamento dalle 20:30 alle 22:30, a un certo punto è saltata giù dal letto per mettersi in posizione difensiva di fronte alla finestra, come in partita si fa davanti alla rete in attesa della battuta, con le mani sollevate sopra la testa. Resta il dubbio di sapere chi ha vinto, poi, quella partita nei suoi sogni.

arrivava l’eco di un cinema all’aperto

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Volevo solo dirti che mi dispiace. Se lungo tutto il percorso da un capo all’altro della baia non sono riuscito a dire nemmeno una parola è perché c’era questo animale aggrappato alla gola che strizzava le corde vocali come il panno della sordina del pianoforte ma con più cattiveria. Non ho mai capito perché si dica rompere il ghiaccio quando uno si aspetta che sotto il sole di luglio il ghiaccio si sciolga da sé o grazie a qualche agente naturale. Mi dispiace e nulla mi è venuto in soccorso, pure tu non è che ti sei dimostrata collaborativa se non hai detto una parola quanto me, forse avevi lo stesso animale notoriamente letale in quanto in grado di soffocare gli adolescenti che hanno tanto cose dentro ma che non escono mai. Bastava solo partire con qualsiasi cosa. Chiederti ma poi tutto questo via vai di gente che cammina sul bagnasciuga hai capito a cosa serve? Tutto questo andare e venire dove ci porterà, se ci porterà mai da qualche parte. E alla fine hai capito quante ore occorre attendere prima di fare il bagno? Una, due o quattro? E le vespe che sono carnivore mentre le api sono vegetariane, lo avevi già studiato in scienze? Hai notato quante energie si sprecano da ragazzini per perseguire obiettivi che poi da grandi non servono a nulla? Quanto tempo che si getta nella spazzatura che poi, quando hai cinquant’anni e hai un blog, vorresti indietro ma solo per usarlo davanti? Perché ripristinare l’assetto del quindicenne manco morto, meglio fare il padre di una che lo sta per diventare. Ma bastava anche qualche frase di circostanza, il più o il meno, la musica che ascolti e dove ti portano i tuoi ad agosto. Invece niente, a tre quarti del cammino l’animale oramai mi aveva divorato e di me restava solo il rimorso da consumare nel viaggio di ritorno a casa sull’autobus, un confetto dopo l’altro come quelle caramelle durissime che devi ciucciare a lungo prima di riuscire a masticarle ma che danno dipendenza e prima che te ne accorgi hai già finito la confezione multi-gusto. Mi sarei buttato in acqua volentieri se fossi stato in grado di nuotare e quindi di scegliere volontariamente di affogare anziché subirlo come unica possibilità plausibile. Poi sai che figuraccia il bagnino che ti tira fuori, ti prende a schiaffi per la tua irresponsabilità, per aver messo a repentaglio anche la sua, di vita, che quella di chi sceglie di morire volontariamente chi se ne frega. Mi dispiace, ora te l’ho detto.

siamo a un passo dall’uscita per il futuro, metti la freccia

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Il padrone dell’impresa girava con la Mercedes e la moglie con la pelliccia, persone di origini modeste e che si erano arricchite – e molto – in un modo così onesto che noi di quest’epoca non ce lo possiamo nemmeno immaginare. Ma ricordiamo il boss sopratutto perché suo figlio aveva poi studiato da ingegnere e si diceva che si fosse laureato con un po’ di fatica. Ma per fare il lavoro di un geometra poteva anche bastare. Aveva un giubbotto di pelle da aviatore e i Ray Ban a goccia, e quando attraversava il cortile con gli operai che facevano pausa pranzo con le loro gamelle in pochi lo salutavano con rispetto. Gli stessi che l’avevano visto crescere proprio in quegli spazi ubicati sotto il viadotto dell’autostrada, in cui loro si cambiavano e pulivano le attrezzature per il lavoro, mentre per il rampollo destinato a subentrare al padre erano ambienti di gioco. E non so come sia andata, probabilmente sarà successo che qualcuno, quando lui era bambino, lo avesse anche preso in simpatia facendolo giocare al carpentiere con il caschetto e gli scarponi anti-infortunistici. Di lì a poco gli sarebbe stato stato concesso di guidare l’azienda di famiglia e nell’immaginario di tutti c’era l’impossibilità per il figlio di superare il padre. Chi era partito da zero e aveva imparato da solo avrebbe lasciato un biglietto della lotteria in mano a chi partiva dai milioni di utili e aveva imparato all’università. Passava dall’impresa anche di sabato pomeriggio, ma solo perché in una specie di baracca per macchinari teneva la sua auto sportiva a due posti. Prima di ripartire si affacciava nei locali della mensa, a piano terra, dove al sabato si riuniva una band di quattordicenni che ci davano dentro di entusiasmo e sogni con strumenti musicali economici, quelli che i genitori poveri acquistano ai ragazzi perché non è detto che poi ne facciano una passione. Uno di quelli era il figlio del contabile di fiducia dell’impresa. L’ingegnere spalancava la pesante porta, dava un’occhiata dentro sollevando i Ray Ban. Il gruppo sospendeva il brano in esecuzione se era il caso, il figlio del contabile salutava e gli altri facevano un cenno giusto per educazione. Poi il futuro padrone saliva sul duetto e si allontanava, mentre i ragazzini approfittavano di quello stop imprevisto per fare una pausa e uscire sul cortile, alla luce del sole, o quello che se ne percepiva sotto il viadotto dell’autostrada.

la vita a volte è proprio così bassa

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Provo a mettermi nei panni della nonnina che ha chiamato i Carabinieri e obiettivamente non riesco a darle torto, anche se di questi tempi il rapporto tra cittadini e divise ogni tanto ha dei momenti di ripensamento. It’s complicated, come si diceva su Facebook quando non esisteva ancora la versione in italiano. E questo perché ogni tanto – ma quando dicono che serve – il potere diventa l’apostrofo nero tra forze e dell’ordine se non addirittura la licenza poetica di vibrare manganelli sulle facce imberbi della rivolta studentesca. Qui nessuno protesta, però. Al massimo c’è un adolescente che fa lo scemo. E la nonnina fa il centodiciannove con il suo telefono salvalavita beghelli perché le sembra che il ragazzotto che sta in piedi si sia calato i pantaloni con i tasconi di fronte a due sue coetanee. Sue di lui. In pieno giorno e in un posto pubblico. Anzi, alla nonnina che è lì a far sgambettare i nipoti gemelli in questa tardiva estate di San Martino sembra che la parte anatomica lasciata scoperta sia proprio all’altezza dei visi butterati delle ragazze sedute di fronte sulla panchina. Dinanzi a tale violenza gratuita anziché chiedere aiuto a qualche presente pensa bene di rimettere tutto al giudizio delle autorità.

Che poi sembra una barzelletta. Anzi uno di quegli spot che facevano una volta i quotidiani per promuovere il peso dell’oggettività della notizia, che da vicino sembra una cosa – per esempio il punk tossico che corre per scippare la signora in pelliccia – e invece da lontano è un’altra – in realtà il punk era sì tossico ma in quel caso voleva solo spingerla fuori dalla traiettoria di un qualcosa di molto pesante che stava cadendo dritto sul suo cappellino con la piuma. Nel nostro caso il dolo non sussiste. Perché i Carabinieri hanno appurato che il ragazzo è solo un po’ sbruffone e non così esibizionista. Si tratta infatti solo di un caso di “fashion victimization” che probabilmente non vuol dire un cazzo ma sapete che mi piace inventarmi le qualità, comunque è quella cosa lì estrema. E l’imputato vestiva i pantaloni come li vestono i giovani d’oggi, poco sopra la zona pelvica, mettendo in bella mostra almeno tre quarti di biancheria intima.

Gli agenti quando arrivano si vede che stanno comunque sensibilmente dalla parte della paladina del buon gusto, e chi li biasima. Hanno accolto quel diversivo alla routine di un pomeriggio feriale di provincia senza nemmeno gli operatori circensi e il personale mobile associato da tenere sott’occhio – non siamo ancora a Natale – per trascorrere un quarto d’ora di puro impegno di quartiere. La nonnina non avrebbe nemmeno voluto scusarsi con il giovinastro per la figuraccia – che poi sono certo che le ragazzine edotte sui colori dell’underwear maschile twitteranno appena possibile la prodezza contribuendo in prima persona alla diffusione di quella fama – se non fosse che proprio mentre il giovane sta rimettendo il documento di identità nei tasconi passa proprio di lì suo padre, che è uno di quegli uomini che fanno uno dei pochi mestieri dove la prestanza fisica fa ancora la differenza, se devi spaccare e trasportare marmo.

All’uomo, che è accompagnato dal suo lavorante, cento chili abbondanti a testa, gli si dipinge sul viso segnato dall’ammazzacaffè lo shock di vedere l’adolescente incalzato dalla giustizia, e senza nemmeno accertarsi di quel che sta avvenendo gli molla un sganassone sulla guancia che il rumore fa volare via persino una coppia di gazze che erano lì nella loro bruttezza a perlustrare il parco alla ricerca di chissà che cosa. La pattuglia preferisce non intromettersi in quel momento di pedagogia di strada. Il più alto in grado è palesemente imbarazzato e fa un gesto a esprimere il concetto di fate pure, sono affari di famiglia, ubi maior minor cessat. Il ragazzo scoppia in lacrime per il dolore e per l’onta di esser stato trattato da bambino in pubblico. Il padre, messo al corrente dell’accaduto, non si ravvede per nulla sulla sua reazione preventiva, anzi rincara la dose a parole aromatizzate Nardini dicendo che se anziché bighellonare fosse a casa sui libri il figlio non rischierebbe nemmeno un equivoco come quello. Le ragazze si sono trasformate in due statue di gesso, seguono gli eventi inverosimili a bocca aperta, non se la sentono nemmeno di documentare il botta e risposta con i loro pollici da smartphone.

Ma è la nonnina a prendere in mano la situazione. Si avvicina al ragazzo e si mette a fare la nonna come fanno tutte le nonne. Un po’ l’ha presa male, in fondo senza la sua chiamata non sarebbe successo nulla, ma non lo vuole ammettere e gli fa notare che bisogno c’è di tenere i pantaloni giù così che sembra in mutande. Vedi come ci rimane male tuo papà se vai in giro conciato così. E nessuno sembra più preoccuparsi degli agenti che portano la mano verso la visiera. Non ottenendo risposta, si avviano per rientrare in caserma.