a dir la verità, non siamo nemmeno la geografia

Standard

Vorrei fare il punto con voi per mettere in chiaro che non è che a partire da oggi o domani, quando avremo il pronunciamento della Cassazione, succederà qualcosa di eclatante. Il Deus ex Machina di cui attendiamo l’intervento da venti anni a risolvere la nostra anomalia non sarà la magistratura come non lo sono state attricette, neodiciottenni e pornodeputate. Potrà quindi esserci una deposizione forzata ma il fatto che già ne scaturisca una raffigurazione mistica proprio come quella di nostro signore dalla croce, la deposizione di Berlusconi da se stesso assumerà un valore patetico e statuario proprio come quell’altro appeso invece a testa in giù al fondo di Corso Buenos Aires. Ed è tutto lì il problema.

Ieri c’era chi parlava degli italiani che si innamorano delle persone sbagliate e non c’è niente da capire: siamo un popolo così, che già l’amore per una sola persona come transfert dell’amore per se stessi è morboso, no? Negli anni venti abbiamo seguito fino al sacrificio estremo Mussolini come dagli anni novanta ci siamo immolati al disastro economico accettando un nuovo progetto altrettanto personale come copertura della nostra disaffezione alla cosa pubblica. Questo per dire che comunque, anche se gli italiani un giorno che potrà essere oggi o domani o chissà quando saranno un popolo acefalo, il berlusconi che c’è in noi continuerà a vivere con le nostre gambe.

Perché non è che siamo diventati così a causa sua, come probabilmente non eravamo tutti fascisti a causa di quell’altro. Solo che a un certo punto abbiamo visto qualcuno che ci somigliava e lo abbiamo premiato. Abbiamo lasciato che una nostra sintesi più o meno approssimativa facesse quel che voleva, l’importante è che non rompesse le scatole nel nostro processo di arricchimento. Certo, poi il feeling instaurato ha consentito la distribuzione capillare di un palinsesto valoriale da brivido che ha trovato un humus perfetto per l’inseminazione del peggio, che nel precedente ventennio è stato poi il parossismo della presunzione di essere una potenza militare e oggi solo l’esacerbazione dell’essere desiderati sessualmente e seduttivi anche con il sacchetto delle feci addosso, che il solo pensarci fa venire voglia di chiudere gli occhi ma provate a immaginare questo in senso proprio e lato su tutto. Quindi vita professionale e sociale, per esempio.

Voglio dire, entrambi i nostri due beneamati leader ci hanno dato il colpo di grazia, ma non è che eravamo messi così bene prima. Quindi il made in Italy, i nostri geni e gli artisti e la creatività che diciamo tutti invidiarci, ecco apriamo gli occhi una volta per tutte che non siamo per nulla speciali e continuare con il marketing senza sostanza non ci porterà a nulla. O meglio ci ha spinto nel baratro della catastrofe bellica, come nella drammatica coda del primo ventennio, e a quella sociale e morale oggi, un po’ meno cruenta ma non meno epocale. Saremo sempre italiani nel senso negativo del termine, né più né meno di prima, e continueremo a cercare un modo per dimostrarlo a noi stessi e ai nostri vicini di casa. Che poi questo nostro comportamento trovi una sua corrispondenza tale da esporci al dileggio internazionale in massa anziché singolarmente,  con una personalità farsesca che continueremo a votare nonostante tutto anziché nel nostro modo alla Totò di portare il nostro italianismo in viaggio all’estero, che importa. L’Europa rimarrà sempre un altro continente, rispetto a noi, per loro fortuna.

mi costituisco

Standard

Condannate me, condannatemi all’ergastolo. Altro che sette anni per concussione. Chiudetemi in galera e buttate via la chiave perché sono colpevole. Sono reo confesso, altro che mitomane. Perché è colpa mia, sono io la causa. Io ho contribuito con la mia complicità memorizzando sul pulsante numero cinque del telecomando del primo tv color che è entrato sontuosamente in casa mia nel 1980, un mastodontico ITT con tanto di slot sotto lo schermo porta-telecomando. Sedici programmi, il primo stadio verso il progressivo impigrimento della nostra specie non più costretta a comprimere gli addominali per tirarsi sul dal divano in finta pelle per passare dal primo canale al secondo alla comparsa del triangolino chiaro intermittente in basso, segno che dall’altra parte iniziava la trasmissione concorrente.

Sul pulsantino numero cinque, dopo il tre che ai tempi si dedicava a Tele Montecarlo e il quattro alla principale emittente locale, confesso di aver memorizzato Canale 5. Ma se avessi solo immaginato tutto quello che ne sarebbe derivato, potessi tornare indietro ci metterei una seconda volta Teleradio City, con la Giusy e il Leprotto Milcaro e le trasmissioni sponsorizzate dal mito del far west di Cavaria City. Ma io so che tutti voi che state leggendo siete passibili di pena quanto me. Mal comune mezzo gaudio. Se avessi saputo non avrei gettato via il mio tempo con i comici del Drive in, con i Jefferson e Archie Bunker e tutta quella merda che già allora era inesorabilmente superata. Non avrei atteso l’ennesimo show di Bill Cosby e la sua famiglia così afroamericana solo perché avevo un debole per Lisa Bonet. E ancora prima i cartoni animati, per non parlare di quel gigantesco marshmallow appiccicoso in cui ci sono finiti tutti, Franco e Ciccio, Raimondo e Sandra, Pippo Baudo e la Cuccarini e la Carrà fino all’apoteosi di Mike Bongiorno, la transustantazione, il verbo che si trasforma nel corpo di un vettore come l’ex rischiatutto in grado di plasmarsi in qualunque forma come tutti i suoi colleghi dello spettacolo, grazie al denaro sonante. Un filone d’oro come quello del Klondike che passa anche attraverso quel Claudio Bisio che poi ha la faccia tosta di presentare le kermesse elettorali dei sindaci di Sinistra Ecologia e Libertà, e per i comici che arrivano da Radio Popolare con il loro programma innovativo sul calcio come non lo avete mai visto, i cabarettisti che imitano e si burlano della famiglia reale con le tasche gonfie di mance come l’ultimo degli intrattenitori da matrimonio, con tutto il rispetto per gli intrattenitori da matrimonio.

Ecco, ogni ora della nostra vita che abbiamo perso davanti a una parte di questo progetto che ha dato una forma inusuale al nostro stivale trasformandolo in uno di quelli che si mettono le donne un po’ volgarotte, quelli alti fino a metà coscia, ogni minuto di trasmissione che abbiamo seguito, anche quelle dichiarate in differita ma sincronizzate come se fossero in diretta e ricordo benissimo un veglione di capodanno registrato il 30 dicembre per essere trasmesso la sera dopo con il countdown impeccabile a cavallo della mezzanotte e dio solo sa in quanti l’hanno guardato. Ogni secondo in cui il nostro televisore è rimasto sintonizzato sul canale del maligno, un voto gli è arrivato dritto al cuore e gli ha gonfiato il portafoglio, gli ha fruttato qualche milione di lire in pubblicità, gli ha spianato qualche chilometro di strada in consenso popolare.

Ma, soprattutto, ciascuno di quei singoli istanti ha condizionato almeno qualche giorno della nostra storia. Mettete insieme quante ore di programmi sono state seguite da allora a questa sera, all’ultimo TG5 che ha gridato vendetta al complotto della giustizia politicizzata, e otterrete un impero vasto almeno cento volte la superficie del mondo che abitiamo. Che non è tanto quello che si vede sopra a questo nuovo pianeta del sistema solare grande più di tutti gli altri messi insieme. Ma è la sua sostanza, che è la stessa della dignità del Sallusti di turno che è talmente liquida da rimescolarsi nel torbido ad ogni dichiarazione, a ogni articolo, a ogni frase in cui nega la verità. Questo mondo, che in molti vorremmo fosse spazzato via da un meteorite un giorno di questi, vive e pulsa sotto i nostri piedi e i suoi effluvi nemmeno li sentiamo più, tanto siamo fatti dello stesso liquame. Ora lo sapete. Sono stato io. Sono stato anche io. Non merito il vostro perdono. Ed è giusti che io paghi.

del meglio del nostro meglio

Standard

Che poi sono tutti lì già a scrivere i titoli di coda dei diciassette anni di egemonia culturale del berlusconismo con servizi, scritti, slide show, sequenze fotografiche, tutta una serie di “the best of” tanto che mia figlia, che in casa in quasi otto anni di vita non ha sentito parlare d’altro – male, ovviamente – quando l’ha visto esprimersi in prima persona plurale nel suo studio con i capelli e quell’approccio da venditore di pentole al momento della sua scesa in campo non l’ha riconosciuto subito e si è trovata paura. Ma chi viene dopo Berlusconi, ci ha chiesto. Di istinto le avrei detto che dubito che sia finita così, che secondo me lo stiamo sottovalutando, che da uno che ha tenuto tutti in scacco così per così tanto tempo a furia di sborsare mance e, malgrado ciò, ha ancora così tante risorse ci si può aspettare di ogni. Ma non volevo guastarle quel sollievo dall’aver saputo che quelle che erano state appena trasmesse erano solo innocue immagini di repertorio. Acqua passata. Una strategia criminale che si manifesta in differita e le sue ricadute sull’umore di un popolo, a distanza di così tanti anni. Ma come abbiamo potuto, ci chiediamo ora, tuttavia. Ma come diamine abbiamo potuto. In qualche modo dovremo trovare il modo di giustificare il torto fatto a lei e a tutti quelli nati da allora, nuovi cittadini che non hanno mai vissuto un giorno di vita senza vedere almeno una volta, in tv o sul giornale o sui manifesti, quella faccia fintamente rassicurante e sempre più gonfia di potere.

i promotori della libertà di costumi

Standard

Ilvo Diamanti su Repubblica.

Ciò conferma che Berlusconi, in una certa misura, abbia intercettato una corrente d’opinione di lungo periodo. Un relativismo etico, che riguarda la concezione della donna e del suo ruolo. Nella società, nella famiglia, nelle relazioni di genere. Insieme a un sentimento omofobo, mai dissimulato. Oltre a una diffidenza radicata verso le istituzioni e le regole pubbliche. Berlusconi non ha “inventato” questi atteggiamenti e questi modelli etici, trasferendoli agli italiani attraverso i media. Li ha, invece, “rappresentati” (cioè: ha dato loro rappresentanza e rappresentazione). E li ha, inoltre, amplificati. Legittimati. Imposti come modelli (e consumi) di successo. Liberarsi di Berlusconi, per questo, non basterà a liberarci dal berlusconismo. Perché è un’anomalia che abita in noi, nella nostra storia e nella nostra società. “Curarlo” non sarà facile. Dovremo curare anche noi stessi.

colpo grosso

Standard

Da Il manifesto le parole di Ida Dominijanni, per non perdere il nocciolo della questione:

…e torniamo alla fotografia del regime. Il fatto è che nella soap dei cosiddetti «scandali sessuali» che va avanti da ventuno mesi, derubricata da destra e da sinistra a fatto minore, c’è tutta, ma proprio tutta, la quintessenza del berlusconismo. Sconfinamento fra pubblico e privato, politicizzazione della biografia e privatizzazione della politica; contrabbando dell’arbitrio per libertà (tutto si può fare); riduzione a supermarket della vita pubblica e privata (tutto si può comprare, dalle donne ai parlamentari); uso della sessualità come protesi del potere; uso dei ruoli sessuali («veri uomini» e «vere donne») come maschere rassicuranti per identità, maschili e femminili, incerte; uso razzista della bellezza; imperativo del godimento come surrogato del desiderio; pratica dell’illegalità come risposta beffarda alla crisi dell’autorità e della legge; eccetera.