fidatevi, il veleno di Cinzia era l’eroina

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Sui pezzi di Venditti ci vorrebbe un blog a parte, e magari c’è pure e io ne sono all’oscuro. Ecco, se c’è, vi prego di continuare a non segnalarmelo. Ma non per via del fatto che con l’Antonellone nazionale ho un po’ il dente avvelenato da quando, al Moulin Rouge – e se siete miei concittadini sapete di cosa parlo – proprio mentre stavo per concludere con Danila al culmine della serie dei lenti nel bel mezzo della domenica pomeriggio, il dj ha pensato bene di mettere “Ci vorrebbe un amico” rovinando pesantemente l’atmosfera di pop britannico che faceva furore ai tempi mixandolo a un brano del calibro di Doot Doot dei Freur. Insomma, converrete con me che il Venditti degli anni 80 genera gastroenterite acuta immediata, effetti inclusi. Vi dirò di più: se avessi un blog su di lui che è uno dei più celebri cantautori nazionali lo chiamerei – battuta scontata – “V per Venditti” o al massimo “In questo blog di ladri”. Poi, altra cosa che volevo dirvi, è che abbiamo già parlato altre volte di Venditti: qui a proposito di “Notte prima degli esami”, poi di quando mi hanno raccontato di averlo visto fuori dallo stadio di Marassi dopo Genoa – Roma, e anche a proposito del suo timbro tipicamente anni 70 che accompagnava le domeniche in di noi ragazzini in balia delle crisi adolescenziali delle sorelle maggiori e altre amenità dei dì di festa. Invece volevo oggi rivelarvi la mia teoria su “Piero e Cinzia” che vanno al concerto di Bob Marley a San Siro nel giugno del 1980. A quel concerto ha partecipato anche una mia cugina che è mancata un paio di anni fa, e so che ai tempi si faceva come si facevano in molti di quei 100mila spettatori e così, un po’ generalizzando come sono solito fare, penso che anche i sogni e le speranze dei due protagonisti di quell’imbarazzante pseudo-reggae in salsa pop cantautoriale siano stati per lo più indotti da sostanze illegali e stupefacenti. Chiude il cerchio il fatto che Danila, quella il cui abbraccio mi è sfuggito proprio sulla rima baciata “stare insieme a te è stata una partita, va bene hai vinto tu e tutto il resto è vita”, e Cinzia che “cantava le sue canzoni e si scriveva i testi sul diario per sentirli veri” sono due nomi molto anni 70 che adesso si sentono veramente poco in giro, non me vogliano le numerose lettrici di questo blog che si chiamano così. E spero abbiate intuito il velato disprezzo che provo per quel pezzo lì che non solo non linko qua sotto per provare quanto io abbia ragione, ma piuttosto metto un pezzo dell’ex rivale De Gregori dedicato a uno dei nomi più belli del calendario che è Caterina. E, per finire veramente, mi chiedo perché quando Venditti gli ha dedicato “Scusa Francesco”, De Gregori non gli abbia risposto con un brano dal titolo “Scusa un cazzo”.

mi viene voglia di cambiare il cognome

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Scusa Francesco, sono ancora in tempo per gli auguri? Allora te li faccio con il pezzo di De Gregori che preferisco. Non è certo uno dei più celebri, raramente si trovava nei karaoke e nelle scalette dei pianisti di pianobar, il motivo per cui, dopo anni di servizio, ancora oggi le pagine chiare e le pagine scure mi fanno venire in mente le coppiette imbellettate nei sabati sera al bar di provincia, laddove la musica è solo un ingrediente in più del cocktail da finire prima di andare in disco. E, ti dirò, io che a voi cantautori non vi ascoltavo molto, quando eravate sulla cresta dell’onda, perché obnubilato (a volte a ragione) di lacca e di esterofilia post-punk, ho iniziato la fase di riconciliazione con l’italianità del songwriting quando eravate già in declino, un po’ demodè. E ho fatto mio al primo ascolto questo pezzo, per la sua atmosfera di spalle rivolte al mondo, una mattina pochi mesi prima della laurea, in totale confusione sulla mia vita e su quella che si muoveva intorno a me, un groviglio di individui indistinti. Un grande pezzo con un grande assolo di chitarra, almeno in questa versione live, di un De Gregori un po’ rocker.