Proprio questa mattina, in uno dei numerosi studi di comunicazione digitale dell’area milanese, S. ha fatto l’ennesimo colloquio. Lo ho saputo per caso, e senza perdere un istante mi sono fatto raccontare tutto. E sapete perchĆ©? S. ĆØ un maniaco dei colloqui di lavoro. Non so se esista un nome per questa sorta di patologia, uno strano incrocio tra egotismo, smania di apparire, desiderio di raccontarsi, mitomania. Fatto sta che S. cerca di emergere e di colpire le aziende che assumono tramite lettere di presentazione e riassunti del suo profilo professionale per inanellare più colloqui possibili. Ma, in un momento in cui trovare un lavoro ĆØ estremamente complicato, soddisfare questa ossessione può diventare un problema. Non ĆØ facile trovare un’inserzione interessante, non ĆØ facile superare il primo screening ed ĆØ oltremodo difficile, in caso di convocazione, far conciliare le proprie richieste con le proposte del possibile futuro datore di lavoro.
Attenzione, però. S. non cerca una nuova occupazione. MacchĆ©. S. ĆØ felicemente impiegato a tempo indeterminato come art director in una storica societĆ di design e comunicazione visiva di Milano. Ma non c’ĆØ verso di farlo smettere. Sentite dalle sue parole qual ĆØ la sua strategia, ammesso che cosƬ si possa definire.”Sono iscritto a tutte le mailing list di annunci di lavoro, nel mio settore c’ĆØ sempre richiesta, perchĆ© il turn over ĆØ all’ordine del giorno. Chi lavora con la grafica dopo un po’ si stufa di fare sempre le stesse cose e cerca nuovi stimoli. Quindi, un po’ come a pallavolo, si ruota. CosƬ mi candido a tutto ciò in cui sono candidabile, dalla computer graphic alle posizioni di esecutivista, web design e impaginazione. Qualsiasi cosa“.
Un po’ per la sua esperienza, un po’ per il portfolio che comunque ĆØ di tutto rispetto, la media con cui S. viene convocato da aziende, agenzie di lavoro e head hunter ĆØ impressionante. “Guarda, non saprei fare una media, ma un buon 25% di mail inviate ha un seguito. Mi chiamano, cerco di fare una piccola scrematura in quella fase, quindi se vedo che l’occasione ĆØ ghiotta non so resistere e vado“. E qual ĆØ l’occasione ghiotta? “A priori, cioĆØ senza sapere nulla dell’azienda che mi ha contattato, mi ispirano le agenzie di lavoro. Molto spesso i selezionatori sono giovanissimi che non hanno una visione dettagliata di quello che ĆØ il mio profilo professionale. Ma non voglio mettere in difficoltĆ nessuno, cerco solo di trovare un sfogo alla voglia che ho di raccontarmi al prossimo“. ChissĆ . Forse S. soffre di solitudine, nella vita privata, e considera la vita pubblica sul posto di lavoro la sua principale arena di rapporti interpersonali.
S. prende le ore di permesso necessarie – anzi, mi ha confidato che talvolta confessa senza problemi dove ĆØ diretto, la sua perversione non ĆØ un segreto per nessuno, ormai, tra le persone a cui riporta – e poi va in scena. Il mattino sceglie l’abbigliamento più adatto, a seconda dell’occasione si prepara anche una versione ad hoc del suo percorso professionale. Quindi si reca sul posto, a volte anche con difficoltĆ . “Ricordo un colloquio presso un head hunter in zona Molino Dorino, in un quartiere residenziale. Aveva l’ufficio nel suo appartamento in un palazzo senza portinaio, non ti dico la fatica per trovarlo, tra pensionati a spasso con i cani e massaie di ritorno dalla Coop“.
E, almeno cosƬ dice lui, molto spesso i colloqui vanno bene. Sempre secondo il suo discutibile punto di vista. “Non mi importa, ovviamente, ottenere una proposta, anche perchĆ© mi metterebbe in difficoltĆ Sono soddisfatto del mio lavoro. Ma se mi sento a mio agio con il selezionatore, la mia performance può toccare vette di perfezione. Riesco a dare il massimo, a raccontarmi esattamenteĀ come si aspetta l’esperto in Risorse Umane“. E l’esito può anche essere totalmente negativo, giĆ in questa fase. “Talvolta sono altrettanto soddisfatto se riesco a far spazientire l’intervistatore, oppure quando spingo sulla presunzione. Mi ĆØ capitato anche, interpretando il professionista che non ha nulla da perdere, di abbandonare a metĆ il colloquio dichiarando seccato il mio disappunto: non siete stati abbastanza dettagliati nell’annuncio, odio perdere tempo, perbacco!“.
Insomma, S. ha fatto del colloquio una sorta di performance artistica, uno spettacolo di se stesso volto a mettere in luce l’estetica della disoccupazione, una specie di living theathre a sfondo psicoattitudinale. Intendiamoci: cercare lavoro per finta può sembrare fuori luogo, il mercato ĆØ quello che ĆØ, il tema della precarietĆ ĆØ delicato e scherzarci su non ĆØ lecito. Ma non c’ĆØ da preoccuparsi: si tratta di un vizio innocuo, solo un po’ di tempo sottratto agli uffici del personale, per sentirsi risorsa umana fino in fondo.