via cogne schianto mortale, guarda subito il video

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Che faccio, clicco o non clicco? Sul corriere on line ho disponibile l’ennesima ripresa dai circuiti di videosorveglianza di una tragedia, gente che muore in diretta e che i sistemi di sicurezza registrano indiscriminatamente e poi, non si sa il perché o il percome, i video finiscono in mano alle redazioni e quindi alla mercé di persone come me. Siamo quelli che rallentano quando c’è un incidente in autostrada, che si fermano a contemplare le risse, che abbassano il volume dello stereo quando i vicini di casa litigano. Siamo quelli che si fanno gli affari degli altri quando gli affari degli altri sono succulenti, pruriginosi, involontariamente tragici o grotteschi. Siamo quelli a cui i reality show ci fanno un baffo, un po’ perché oramai si tratta di un format trito e ritrito, un po’ perché si vede lontano un miglio che è tutta una finzione, che quando ci troviamo di fronte a una realtà aumentata abitata da persone che spingono sull’acceleratore dei loro difetti che possono piacere di più agli sponsor ci meravigliamo dell’ingenuità di chi ci casca, di chi li segue anche sui forum e sui social network. I video degli incidenti, degli scippi, delle rapine, quello è pane per i nostri denti, peccato per l’audio, sentire il rumore di un impatto, le grida di aiuto, i pianti di disperazione conferiscono tridimensionalità agli avvenimenti e fanno passare in secondo piano la qualità pessima delle immagini. Immagini come queste, una berlina che accelera a un semaforo per sfuggire alla polizia e centra in pieno un’automobile causando la morte di un uomo, così dice l’articolo. Non si vede nulla, non si vede sangue, potrebbe essere una finzione. Quindi che faccio, clicco o non clicco? Clicco, che domande. Clicco e parte la pubblicità, e immediatamente capisco a cosa serva la pubblicità sui video on line. Pensare a un ufficio marketing che consente che il proprio brand sia visualizzato prima del video di una tragedia da persone come me. Perché io non vorrei che persone come me comprassero i miei prodotti. La pubblicità prima dei video on line serve a far riflettere su questi aspetti, e dura sufficientemente a lungo affinché si possa avere il tempo di chiudere la pagina del browser prima del video dell’incidente e a promettere a noi stessi di mettere a tacere il nostro lato morboso per sempre.

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Mia figlia si indispettisce spesso quando in casa, tra amici, o al telefono, sente mamma e papà discutere di politica. Quando cerchiamo di seguire un telegiornale, giusto per non dipendere da Internet come unica fonte d’informazione, ma lì la capisco, a quell’ora le piacerebbe rilassarsi sul divano e guardare un cartone dal media player. Quando viene il Beppe, e si discute sul partito, sulla sua riorganizzazione, sulle iniziative per portare la politica al territorio, per farla percepire come uno strumento di governo dal basso e una sorta di pannello di controllo per decifrare quello che succede. O quando siamo su un sentiero di montagna, squilla il telefono ed è l’amica che ci aggiorna sull’ultima schifezza del governo in auge, sul tale o talaltro processo del premier, e via dicendo.

In effetti, mia figlia ha i suoi buoni motivi, per indispettirsi. E siccome è mia moglie quella più dentro alle questioni, io prendo da parte la piccolina e cerco di farle capire che sì, che i grandi parlano di cose che possono sembrare noiose, ma che è come se in classe doveste prendere una decisione importante ed è necessario discuterne, sentire il parere di tutti, convincere tutti a partecipare perché è così che funziona la società, anche una micro-società come quella di una seconda (a breve terza) elementare. Che, insomma, quello che succede intorno a noi, e intorno ai grandi, dovrebbe anche interessare i bambini, perché tutte le decisioni che passano attraverso il confronto politico riguardano anche loro.

Ma lei si imbroncia di più, e mi dice che no, non è vero che riguardano anche i bambini, e che in classe, tra compagni, ci sono argomenti ben più interessanti su cui discutere. Le chiedo di fare un esempio. Lei mi guarda con quella espressione che fa quando sa che sta per dire una cosa che mi contrarierà, un misto tra timore, il fascino della sfida sferrata ai genitori e il dispiacere di dare al nostro dialogo una venatura di contrasto. Quindi mi dice un nome, il nome è Yara.

A casa stiamo il più possibile attenti a lasciare nostra figlia esposta agli input esterni da sola, sia di attualità che di puro entertainment, senza il nostro filtro almeno finché ci sarà riconosciuta l’autorevolezza di fonte e di opinionisti, a costo di subire, come succedeva anni fa, interminabili gag dei Teletubbies, o di testare i film anche più assurdi per bambini con l’obiettivo di evitare le distorsioni della realtà che l’informazione mediata dalla tv è in grado di dare. Per farvi un esempio, l’unica volta che non ho controllato un cartone animato trovato in rete, scelto da mia figlia per una visione collettiva con nonni e zii, si è rivelato essere un film porno, non vi dico l’imbarazzo tra gli adulti seduti sul divano, una domenica pomeriggio, di fronte alla prima scena che stava per svolgersi in giardino.

Stesso discorso per la cronaca nera, che abbonda nella scaletta dei telegiornali. Non abbiamo trattato insieme di fatti inquietanti come l’omicidio di Yara Gambirasio, anche perché, per un genitore di una figlia femmina, confesso essere argomento molto difficile. Ma ammetto l’errore, perché considerando tutta la storiografia che ne è derivata, inerente immigrazione e xenofobia, pedofilia, comportamenti devianti di un branco eccetera eccetera, è facile immaginare come i dettagli possano arrivare a una bambina di 7 anni di rimbalzo a scuola. E la sintesi fatta dai bambini di quella età, mettendo insieme le voci del tg, le interviste voyeuristiche di programmi squallidi seguiti in case in cui la tv si accende oramai per riflesso incondizionato non appena si torna dal lavoro, forse per colmare i silenzi e la mancanza di dialogo, la sintesi contiene il peggio del peggio in diverse varianti. Il marocchino che l’ha rapita per rubarle lo stereo che stava riportando in palestra, l’istruttore di ginnastica adulto che spia le ragazzine durante le gare, il muratore rumeno che la voleva portare in discoteca. E ogni bambino partecipa attivamente al confronto, probabilmente, mettendo del suo, e il suo è quello che ha assimilato la sera prima, durante l’ora di cena. L’argomento deve aver colpito molto l’immaginario infantile, visto che le sessioni di discussione si sono protratte per tutto l’anno scolastico, a quanto pare.

E a quel punto il danno è fatto; perché rimettere insieme le tessere di un puzzle, già di per sé difficile, magari scremando la narrazione dai dettagli più piccanti che possono stimolare la fantasia di un bambino, è una partita persa in partenza. Sono certo, e mi serva come lezione per il futuro, che insieme alle storie che più l’appassionano, sto pensando a Ulisse nell’antro di Polifemo, o Clorofilla di Bianca Pitzorno e alcune amene avventure di animali antropomorfi visti sul grande schermo, tra le reminiscenze dell’infanzia di mia figlia e dei suoi amichetti, una volta cresciuti, troverà posto anche la storia epica di una ragazzina presa e uccisa da chissà quali esseri cattivi. Gli alieni, chissà.