le mura di malapaga

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In tema di vacanze, ecco un viaggio spazio-temporale alla portata di tutti, poco piĆ¹ di un’ora da trascorrere virtualmente non solo altrove, ma in un altro quando. Il film “Le mura di Malapaga” ĆØ un gioiellino francese di cinema neorealista tra il noir e il sentimentale d’antan, diretto da RenĆ© ClĆ©ment, vincitore addirittura dell’Oscar come miglior film straniero, interpretato dalla star dell’epoca Jean Gabin. Ma la vera protagonista del film ĆØ la cittĆ  che fa da scenario alla trama, una Genova da poco uscita dalla guerra, bombardata, ancora tutta da ricostruire. Una nutrita serie di cartoline in bianco e nero, una delle poche e rare testimonianze visive di una cittĆ  che – almeno parzialmente – non c’ĆØ piĆ¹. Il porto, con le mura da cui ĆØ tratto il titolo parte dell’antica cinta che da porta Siberia si estendeva fino a Piazza Cavour. Le vie strette e buie del centro storico, sƬ, i caruggi, ancora fitti di botteghe, teatro di vita per comparse vere, i genovesi sopravvissuti alla guerra. Facce da neorealismo e lineamenti di gente che ha sofferto e che, in Italia, non si sarebbero mai piĆ¹ riviste. Gli interni delle case traboccanti di sfollati, tra cui una giovane Ave Ninchi, bambini chiassosi e pronti a riappropriarsi degli spazi che la storia aveva negato ai loro genitori. A contrasto, qualche vista sui palazzi borghesi di Castelletto, quelli a metĆ  delle vie in salita con il doppio ingresso, dal portone e dal tetto tramite passerella dalla strada sovrastante. Un bel film, e un bel carico di tensione da spendersi in estate, quando il bianco e nero ridimensiona l’orgia di colori della bella stagione, la calma piatta dell’interno con tv accesa e contorno di ansia da ignoto attutisce il chiasso del divertimento forzato lĆ  fuori, la bulimia di contatto virtuale e la psicosi dell’always on diventano risibili capricci, paragonati al bisogno quotidiano e imprevedibile di una societĆ , quella del dopoguerra, ancora in fase di ridefinizione.