i grandi classici del sabato

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Al sabato nessuno ha ancora pensato a erigere un monumento, a dedicargli piazze e strade, a chiamare figli o bestie come lui, a beatificarlo o a santificarlo con tutti i crismi. È una storia vecchia almeno quanto l’economia a base fordista o comunque da quando gente con le palle – altro che noi mollaccioni da petizioni su change.org – si faceva bastonare nei cortei per strappare almeno un giorno in più alla settimana lavorativa.

Ce ne accorgiamo soprattutto il lunedì mattina quando realizziamo mortificati che di tutte le cose che ci eravamo ripromessi fare il sabato precedente non ne abbiamo portata a termine nemmeno mezza. La to-do-list frutto di febbrili venerdì sera, trascorsi a programmare e pianificare a cena o al telefono per ottenere il massimo da quella manciata di ore che il lavoro di merda che facciamo ci lascia come contentino, si trasforma in pastone nel caffelatte insieme ai nostri biscotti preferiti.

Da lì è tutto un susseguirsi di rimandi e di cose che prendono il sopravvento tanto che è un attimo ritrovarsi annegati con la faccia sommersa dalla domenicosità, tema che tra l’altro abbiamo ampiamente dibattuto. Ci sono però dei classici del sabato, che io chiamo i grandi classici del sabato, cose che facciamo a gara nel documentare e condividere, e considerata la nutrita mole di contributi che si leggono in giro, non ci resta che ammettere che siamo tutti uguali, noi umani, e che sarebbe l’ora che la smettessimo di sognare ad occhi aperti un sabato di novantasei ore che nessuno includerà mai nei propri programmi elettorali.

Alcuni classici del sabato sono intanto la corsa mattutina, che mai nei giorni feriali ci sogneremmo di svegliarci così presto per reiterare un appuntamento fisso con la salute. Ci sono le camicie da stirare per affrontare il resto della settimana il più azzimati possibile, attività che in alcune occasioni porta via almeno tre quarti della giornata. C’è la somministrazione in eccesso di alcolici a pranzo, cosa che in un giorno qualsiasi ci è vietata dal rigoroso codice comportamentale in ambiente di lavoro, anche se è vero che poi un bicchiere di birra non è la fine del mondo ma possiamo ammettere che la leggera ebbrezza alla luce del sole dà un effetto piuttosto piacevole.

C’è l’abbiocco come conseguenza di tutto questo, stare sdraiati con la tv accesa su qualsiasi cosa di soporifero con i gatti sulla pancia a tenerci caldo in questa promiscuità di esseri viventi di diverse specie animali, nella gioiosa solidarietà del riposo che fa bene a tutti indipendentemente dal proprio posizionamento nella catena alimentare.

Ma c’è l’Ikea di Corsico, un comportamento limite e da tenere con moderazione e non sempre condiviso tra i partner. Conosco mariti che non svegliano le mogli la mattina perché la sera prima avevano paventato l’idea di un giro esplorativo in tempi di saldi con pranzo svedese annesso. Le polpette che chissà cosa c’è dentro, la birra scura e quei dolci dai colori assurdi.

L’ultimo classico dei grandi classici, il meno piacevole, e se ne soffrite anche voi vi prego di darmi una dritta sui rimedi utili, è la classica emicrania da sabato. Anche se non si prende freddo andando a correre, anche se non si stappa la Peroni da 66 a pranzo, anche se non ci si abbandona alla pennichella, ecco che a un certo punto del giorno fa capolino la cefalea che rovina tutto e si porta via tutti quei programmi che avevamo pianificato la sera prima. D’altronde, giorno di festa fa da sempre rima con mal di testa, e questa è una vera chiusura di merda, ma tenete conto che è lunedì.

i cinque modi peggiori di svegliarsi la mattina

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Usciamo di casa ogni benedetto lunedì mattina e il nostro istinto di sopravvivenza ci ricorda che potrebbe andare peggio. Certo, potrebbe piovere oltre che essere lunedì, potremmo essere ebrei nella Berlino degli anni 30 o sudditi di Bokassa. Quindi ringraziamo i nostri genitori di averci concepito in un periodo tutto sommato pacifico e florido e in una geolocalizzazione dignitosa come la nostra. Nonostante ciò, la nostra esperienza è in grado di annoverare un elenco di situazioni in cui il risveglio mattutino è di gran lunga meno sopportabile di un qualunque inizio settimana con i colleghi che con il loro spumeggiante analfabetismo di ritorno ti aspettano in ufficio. Proviamo a fare il punto per arrivare pronti alle mattine in cui occorre davvero fornire ai nostri cari il massimo conforto o, viceversa, aspettarci il loro supporto.

Non saprei impostare una classifica, di certo però aprire gli occhi e realizzare che quello è il giorno in cui si deve sostenere un esame all’università rientra almeno nei primi tre posti. Raramente ci si prepara al cento per cento, e anche nei casi migliori è difficile trovare in sé la sicurezza che ci fa sedere di fronte a professori o assistenti con un piglio diverso da quello di un condannato a morte su un patibolo. Subentra quindi una gamma completa di sensi di colpa per non aver studiato abbastanza, per aver sottovalutato la difficoltà della materia e, di contro, sopravvalutato la nostra capacità organizzativa per la pianificazione del programma senza contare che poi, a libri aperti, si trova sempre qualcosa di meglio da fare. Non ho nessuna vergogna a dichiarare che tra i momenti più belli della mia vita accademica ci sono sicuramente gli esami superati con profitto, ma anche almeno un paio di casi in cui l’esame è stato rinviato per motivi indipendenti dalla mia codardia.

In zona playoff ci sono anche i risvegli la mattina dopo una pesante ubriacatura unita a una rottura con il partner o un litigio che ha tutte le caratteristiche per essere fatale. Gestire il mal di testa con i tentativi di ricucire un rapporto gettato nel cesso a causa della nostra attitudine alla sbronza molesta è una sorta di girone infernale senza speranza di risoluzione. Per esperienza, meglio prima rimettersi in sesto fisicamente e solo dopo tentare un riavvicinamento. Come si dice in campo ingegneristico, un grande problema è più facile da risolvere se diviso in tanti micro-problemi. Meglio superare, quindi, un ostacolo alla volta. Il risveglio da ciucca/bisticcio è talmente opprimente e concreto che sarei in grado di fabbricarne una rappresentazione tridimensionale, non so se ho reso l’idea. Provate a ripensare com’è stato, se è capitato anche a voi. C’è anche la variante alcol + battibecco più o meno violento con amici, quando basta qualche birra in più per secernere risentimenti latenti. Ma questo è più raro, tra uomini alla fine ci si concilia prima di coricarsi, differentemente dalla coppia.

Temibile anche il risveglio ad abbondante tempo scaduto per un treno, un aereo, o un qualsiasi appuntamento improcrastinabile. Non riesco pensare a un senso di panico più soffocante di questo, anche se lo lego molto alla sfera giovanile e alla vita da single, oggi in una famiglia dotata di sveglia e numerosi dispositivi ad accensione programmabile bucare un impegno preso è sempre più raro. Non a caso io che sono tra i principali produttori di ansia da ritardo ho oramai sviluppato un enzima tutto mio che mi fa balzare sul letto qualche minuto prima della sveglia. Se mi accadesse oggi potrei morire all’istante. Peggio del risveglio ad abbondante tempo scaduto c’è il risveglio con qualche margine di speranza, in cui è oltremodo difficile sfoderare la lucidità necessaria per mettere in fila gli step per una procedura di emergenza volta a raggiungere l’obiettivo. Saltano subito la colazione e il minimo necessario per garantirsi un livello di igiene decoroso e occorre arrendersi all’evidenza che la sudata che ci si accinge a dover sopportare potrà avere conseguenze sull’esito della giornata e che comunque la sorte in qualche modo ci ha già graziato.

Capita raramente alle nostre latitudini ma è già successo di dover rinunciare a qualcosa di programmato per cause di forza maggiore o eventi straordinari, a partire da un’abbondante nevicata. Nel nostro sistema già in bilico in condizioni normali un’anomalia meteorologica può avere conseguenze anche gravi; nel nostro piccolo anche l’auto sommersa dalla neve o i binari ghiacciati possono mandare in vacca anche il più importante dei piani. Una volta ho assistito a una ragazza implorare un corteo che aveva bloccato i binari della stazione perché avrebbe dovuto recarsi al colloquio della sua vita, ma questo è un altro paio di maniche. In altri casi, quando la responsabilità non è nostra ma del tempo che fa le bizze, poter tornare sotto le coperte non è poi così male.

Chiudo con una situazione di risveglio limite: le forze dell’ordine che ti sfondano la porta di casa perché l’appartamento che hai preso in affitto regolarmente e in cui vivi risulta occupato illegalmente. Un caso da infarto assicurato e che vi invito a provare. A me è capitato e non ero certo uno squatter: le forze dell’ordine, quella volta lì, per un curioso caso di assonanza toponomastica, avevano clamorosamente sbagliato indirizzo.

#settimanadimerda

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Cosa volete che vi dica. Quando inizia una #settimanadimerda è facile accorgersene. Intanto perché comincia di lunedì, anzi, di lunedì mattina. Poi piove, e se c’è stato qualche accenno di bella stagione nei giorni precedenti potete anche scordarvela. La #settimanadimerda è di per sé piuttosto fredda e umida. I gatti amano vomitare all’alba di una #settimanadimerda. Lo fanno e poi si precipitano a condividere il loro malumore con i loro schiavi umani, ancora prima che suoni la prima sveglia della #settimanadimerda. Così il primissimo pensiero non lavorativo di una #settimanadimerda con tutti i crismi è il contraccolpo che avrebbe l’orbita terrestre se improvvisamente tutti i dispositivi di storage del mondo mondiale si alleggerissero delle foto di gatti degli utenti dell’Internet. Perché invece di pensieri lavorativi al risveglio che prelude a una #settimanadimerda ce ne sono già stati parecchi, avete presente no come si lavora di brutto di notte quando c’è l’ansia di quello che aspetta la mattina dopo? Ecco l’unica strada percorribile per la vera ripresa di questo paese e l’uscita dalla crisi economica globale. Tutto il lavoro che sbrighiamo nel dormiveglia tra la domenica e il lunedì di una #settimanadimerda probabilmente è in grado di raddoppiare la produttività e recare beneficio alle aziende in cui prestiamo servizio. Magari rilanciare i consumi. Diminuire lo spread. Ridurre il deficit. Aumentare l’occupazione. Iniziamo così a far fruttare le notti precedenti a una #settimanadimerda come questa, cominciamo a tassare anche questa operatività che ormai abbiamo nel sangue e che non ci lascerà mai più, mannaggia a “Tempi moderni” e all’esaurimento da civiltà industrializzata che da allora, seppure con macchinari diversi, è diventato sempre più alienante. Ma dove pensiamo di andare, se abbiamo davanti a noi solo delle #settimanedimerda? Non faremo tanta strada, impareremo a non coricarci più piuttosto che soffrire così per quello che facciamo, che non abbiamo fatto e che abbiamo lasciato da fare pensando che comunque avremmo dovuto farlo, senza scampo. Spegniamo i nostri sogni di affrancamento, consumano davvero troppo. Buona #settimanadimerda a tutti.

turn it on again

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La cantante e il chitarrista di quel gruppo pop con cui avevo fatto un paio di prove ma la cosa non è andata in porto, tuttavia siamo rimasti in contatto, mi stanno raccontando delle difficoltà della lavorazione del secondo album, che vanno dal mantenere il livello del primo al fatto che un esordio può raccogliere tutto il materiale composto in anni e anni di impegno e gavetta, il secondo invece conterrà quello realizzato – magari forzosamente sancito da un vincolo contrattuale – entro un lasso di tempo piuttosto ridotto, anche se ormai sono passati tre anni da quel primo singolo che si era candidato a tormentone dell’estate. Ma, torno a ribadire, fare musica in Italia è quasi più difficile che sconfiggere l’evasione fiscale, e conciliare lavoro con la passione, gli impegni, le teste e i costi associati a un gruppo non è certo una passeggiata. Dicevo, loro sono seduti davanti a me mentre me ne sto sdraiato scomodamente su un sedile in legno di quei vagoni ferroviari che viaggiavano ancora una ventina d’anni fa, quelli che un po’ tutti chiamavamo i vagoni del far west con il riscaldamento sotto che se appoggiavi le scarpe di gomma correvi il rischio di sciogliertele e, una volta in stazione, ti toccava camminare con la pianta dei piedi al posto delle suole come nelle comiche. E non riescono a distrarmi che per poco, perché mi basta sfiorare il fucile che tengo pronto al mio fianco che mi ricordo di essere in viaggio verso il fronte, non so di quale guerra e contro quali nemici, così mi sovviene che potrei anche morire ucciso in combattimento e non tornare più indietro a casa. Che tristezza, vero? Ma capisco che sto sognando, perché non c’è guerra da combattere malgrado indossi la mimetica e gli anfibi. E i due amici seduti sulla panca davanti a me hanno le stesse facce e la posa della foto che si vede sul profilo Facebook, con quell’espressione e quel look troppo “civile”, quasi new wave, per essere reale in un periodo di stenti come quello bellico o in uno tamarro come gli anni dieci. Che ridere. Mi sveglio e sono le cinque del mattino, ho un gatto sul petto che mi lecca la barba perché ha fame ed è lunedì. Ok, iniziamo.

non piacciono nemmeno a me

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Sul lunedì se ne sono scritte e dette di ogni. Ci guardiamo tutti in faccia, appena svegli, come a dire “ma siamo di nuovo qui”? Poi pensi all’ufficio, dove tutti puzzeranno di fine settimana, chi ha cucinato la sera prima e ha l’odore dello scalogno sulle mani, chi è stato al ristorante cinese con il partner e sa un po’ di fritto, chi ha trascorso due giorni fantastici al lago e sprigiona la sua essenza di felicità ovunque. Il segreto è partire alla grande, c’è scritto nell’intervista all’esperto di giornate faticose (come il lunedì) di turno sul grande sito di informazione, riportata in un articolo che si intitola come una delle più celebri canzoni pop sul lunedì. Il segreto è viziarsi con una colazione soddisfacente, coccolarsi indossando gli abiti che ti fanno stare meglio, e anticipare alla domenica precedente (ma occorre organizzarsi prima, ovvio) quello che si è deciso di iniziare la mattina dopo: una dieta, un fioretto (sic), una promessa alla persona amata. L’importante è non aumentare i disagi, la pioggia quando sei senza ombrello, i gradi in meno che non hai calcolato, le scadenze. E  tu che riempi la tazza del latte di cereali al miele e mi dici che non vuoi andare a scuola, dimmi come faccio a convincerti quando è così anche per me, è ancora buio e i gatti non sono soddisfatti della loro colazione, e penso che potremmo scappare tutti e tre insieme e marinare ciascuno le proprie responsabilità. Ecco, il segreto è partire alla grande.