metteteci la faccia, ma quella vera

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Ho aperto una coppetta di un dolce che spopola nelle réclame in tv a qualunque ora del giorno e della notte ma non era per niente sexy come l’avevo visto presentato nello spot, tanto meno rispetto all’etichetta stampata sulla confezione. Quello dell’immagine rappresentativa del prodotto è un annoso problema che andrebbe probabilmente smascherato fino in fondo ma qui non siamo a Report e nessuno ci propone come presidenti della repubblica. E poi chi siamo noi per denunciare la disonestà della società dell’immagine quando l’individualità del fotoritocco è alla base del nostro modo di fare marketing di noi stessi? Potremmo allestire una sorta di sistema di debunking per i selfie dei nostri amici dei socialcosi che non corrispondono assolutamente alla realtà. Chiaro che apparire belli piace a tutti, e ve lo dice uno che è talmente asimmetrico che in foto viene scambiato per un dipinto cubista. Ma diamine, perché ingannare così caparbiamente le cose come stanno e vivere una vita parallela d’illusione fatta di filtri di app e di editing grafico? Io ne ho un paio su Facebook che conosco personalmente e che, credetemi, se li vedete in foto sono tutt’altre persone. Un mix di pose volutamente tenute per limitare le irregolarità dei lineamenti in prospettive tutt’altro che naturali a cui vanno ad aggiungersi strati successivi di aggiunta di punti luce e saturazione dai quali escono così agli antipodi nemmeno si fossero messi nelle mani del re della chirurgia plastica. Non siete così. Che poi che senso ha, mi chiedo, se poi ci incontriamo e siete irriconoscibili? Alla fine vi immagino talmente snaturati e scollegati dalla verità dei fatti da restare vivi e vegeti lì nel vostro mondo in cui risultate attraenti ma solo nei vostri collage di pixel digitalmente artefatti, perché poi se uno vi vede dal vero rimane talmente disorientato dalla differenza con quello che si immaginava che magari gli scappa pure la voglia di conoscervi a fondo per scoprire che magari, di persona, siete interessanti lo stesso.

faccia da culto

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Gli studiosi, tra qualche secolo, avranno un bel daffare a dare una spiegazione alla proliferazione degli auto-autoritratti fotografici diffusi sui socialcosi. Sempre che il genere umano non volti definitivamente pagina sulla necessità di studiare le cose del passato e non, e sempre che di questa controversa epoca duepuntozero rimanga poi qualcosa o magari non venga spazzata via da qualche piaga informatica. Ve lo immaginate? Una sorta di peste manzoniana che prende l’Internet e riduce in poltiglia ogni dispositivo ad essa collegato, contenuti compresi. Non per fare il catastrofista o il Philip Dick de noantri, ma con quello che succede non dovrebbe sorprenderci più nulla. Comunque non mi voglio soffermare sull’analisi sociologica del selfie perché oramai si è detto tutto, e il fenomeno in sé tutto sommato non mi sembrava così preoccupante fino a quando non ho riflettuto su due aspetti che, brevemente, ve lo giuro, vorrei sottoporvi.

Intanto ho dato un’occhiata al profilo Instagram di mia figlia e delle sue amichette. Saprete anche voi che Instagram è molto diffuso tra i ragazzini, a differenza di Facebook, questo perché la società dell’immagine e bla bla bla. Nato come ritrovato nerd per gli adulti malati di effetto polaroid, Instagram ora è la morte sua dei giovanissimi che lo riempiono delle loro facce, forti della consapevolezza che in un mondo di primi piani televisivi la celebrità delle immagini fisse sulla rete tutto sommato costituisca un valido surrogato. Ci sono quindi queste micro-audience del circondario che si beano reciprocamente dei volti dei loro amichetti e compagni di classe, il che acquista un valore ancor più deleterio se ci riferiamo a undici, dodici e tredicenni. La riflessione che vi pongo è: che cosa volete farci sapere con i vostri scatti autobiografici, con le smorfie prese da un catalogo standard come emoticon dalla library di una qualsiasi chat? La bocca così, le sopracciglia cosà, gli occhi ammiccanti, l’espressione corrucciata o trasognante.

Ma mentre i più giovani sono così spregiudicati, tra gli utenti più cresciutelli è in voga il selfie a metà. Probabilmente vittime di complessi di chissà quale specie, sono in molti coloro i quali non si buttano in questo gioco allo scoperto e, insicuri della propria avvenenza ma pur smaniosi di partecipare, pubblicano porzioni si sé nella speranza che qualcuno, raccogliendo le numerose tessere di un puzzle personale, risponda con un apprezzamento da corrispondere a cotanta paziente abnegazione. Solo un occhio, metà faccia, la faccia con qualcosa davanti, la bocca e il mento senza il naso, il naso e l’orecchio senza gli occhi. La strategia del ti vedo e non ti vedo è oramai popolarissima, ma rischia di creare un gap tra generazioni di neoevidenti e di seminascosti, tra chi non ha più pudori e coltiva un uso completamente disinibito della rete fottendosene della privacy e di chi ostenta ancora la propria diffidenza pur volendosi mostrare pubblicamente, mal celando dietro a una barriera di timidezza estremamente labile una altrettanto forte voglia di protagonismo.