ancora a testa in giù

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Tra i miliardi di vaccate in cui affoghiamo le nostre abitudini sui social network se avete qualche contatto meno disimpegnato della media vi sarà capitato di veder affiorare qualche spunto dal ciclo di vita leggermente più duraturo rispetto ai soliti meme idioti. L’aspetto curioso di Facebook è che poi, per i miracoli dell’algoritmica – passatemi l’aberrazione, sono agli opposti di qualunque matematico – certi contenuti ti si presentano a distanza di poco tempo, nemmeno l’Internet di succhiasse via il pensiero o rubasse in qualche modo le tue elucubrazioni. Il nove e il dieci di giugno sono due ricorrenze di un certo rilievo perché ci ricordano l’assassinio dei Fratelli Rosselli, quest’anno cade l’ottantennale, e di Giacomo Matteotti, colpito a morte dalle squadracce del mascellone capovolto tredici anni prima. Sarebbe bello guardare a questi lutti con l’entusiasmo di chi può dormire sonni tranquilli, ormai al sicuro da accadimenti tanto nefasti. Ma, come dice il titolo di questa nota, qui dalle nostre parti non si può mai abbassare la guardia. La nostra presidente della Camera ha ricevuto una cartolina piuttosto eloquente sulla sua pagina Facebook, e mi dispiace perché ritengo la Boldrini un faro per il nostro paese, mentre dalla pagina del Deboscio sono venuto a sapere di una promozione piuttosto inquietante su una riedizioni di “Se questo è un uomo”. Mi farebbe molto piacere se Primo Levi fosse una lettura da spiaggia, o se comunque gli italiani leggessero anche solo per informarsi e comprendere, anche solo in villeggiatura, i veri drammi della storia, probabilmente in Italia di post-nazi-fascisti ce ne sarebbero molti meno.

che cosa cerchiamo con così tanto accanimento nel passato

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Storia fa rima con memoria in almeno una decina di canzoni, calcolo che si fa presto a fare in un paio di minuti di fact checking e comunque anni fa un’amica ha chiesto a Francesco Renga nel corso di un’intervista dove fosse arrivato, a furia di cambiare direzione. Ma tutta questa assonanza tra due concetti così limitrofi probabilmente è la prova che il passato è fondamentale per capire il presente e magari per dare anche una sbirciatina al futuro, per far tesoro di quei due o tre spoiler che evitano le scelte più dannose. A volte invece è un peccato riflettere guardandosi indietro perché a distanza di anni sono bravi tutti a scrivere oggi articoli di analisi sulle cose che sono successe ieri l’altro. Si rimesta tutto dentro e sale ancora la pressione. Ci chiediamo reciprocamente che cosa abbiamo fatto quest’estate, forse perché c’è anche un passato prossimo il cui cadavere è a portata di mano ed è ancora caldo. Io quest’estate ho anche riflettuto su un passato più remoto e malgrado questo non mi sono soffermato sui quindici anni dalla morte del quindicenne Carlo Giuliani, e non ditelo a me che ero lì nei pressi allora e oggi che sono così lontano in tempi e chilometri è meglio lasciare la pila di quotidiani acquistati come ricordo di quei giorni giù in garage dove sono perché oggi, da qui, non riesco più a capire. C’è stata anche una full immersion nelle retrospettive esistenziali con il concerto di Max Collini e Jukka Reverberi a cui ho assistito al Carroponte, in cui i due hanno presentato il loro spettacolo e album “Spartiti”. Si tratta di una versione forse ancora più intima degli Offlaga Disco Pax e piena di rimandi originali e di altri scrittori al passato che ci accomuna tutti. Quello più vicino, quello dell’infanzia di Max Collini che è un po’ anche la mia, considerando la leva di entrambi che è la stessa. C’è una risposta a chi ci chiede, allora, che cosa cerchiamo con così tanto accanimento nel passato? Forse una risposta al fatto che oggi, e possiamo dircelo tra noi, le cose non vanno affatto bene e sappiate che a me tutta la responsabilità di questo passato così aureo rispetto alla merda che è toccata alle generazioni successive un po’ inizia a provarmi.

la vera storia del millennium bug

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Siamo alle solite, tanto rumore per nulla. La preoccupazione latente e trasversale sul tema “apocalypse later”, quella del 2012, mi ricorda il panico da millennium bug. Un pubblico vasto va manifestando segni di follia collettiva allo stesso modo in cui gli addetti ai lavori nell’IT nel 1999 prospettavano scenari, probabilmente più a ragione, catastrofici. Intere architetture di rete bloccate dal cambiamento di un cifra, strumenti di difesa informatici allo sbando per scenari apocalittici. Una gamma completa di disastri, che andava dal furto di dati e di soldi virtuali negli istituti di credito a vere e proprie guerre intergalattiche nucleari dovute a sistemi militari impazziti. E dopo il 2000 c’era chi sosteneva che il vero bug si sarebbe manifestato in realtà con il 2001, l’anno ufficiale d’inizio del nuovo millennio. Fortunatamente oggi siamo qui a parlarne come un b-movie di sci-fi, niente di più. Perché, in realtà, non è successo un bel niente. L’unico a cambiare, in quella notte di fine anno, secolo e millennio, è stato il signor Aldo.

Aldo ha passato gli ultimi tre anni del secolo scorso letteralmente terrorizzato da quella convenzione generale che è l’indicazione del tempo. Voglio dire, che importanza ha se oggi è il 2.000 o il 1.441 o è il 4.357, un numero che in una notte d’inverno aumenta di una unità? Ma Aldo ha vissuto nell’angoscia compulsiva che il cambio di data comportasse l’azzeramento della sua esperienza nel secolo agli sgoccioli. Il novecento. Secolo breve, ma pur sempre denso di accadimenti. Aveva il sentore che il baco riguardasse la memoria collettiva, una sorta di formattazione generalizzata dell’hard disk universale. Come se ogni secolo si presentasse come un vaso non comunicante con quello dopo, raggiunto l’orlo del quale si sposta la canna dell’acqua per riempire quello successivo, da zero. Nulla di quanto successo prima viene passato al seguente, questione di un secondo e… zac. Tabula rasa. Per Aldo bisognava fare qualcosa, tracimare tutto il bagaglio di esperienze che nel suo caso, a sessantanni suonati, non erano poche.

Un’impresa ciclopica e titanica allo stesso tempo. Se non che Aldo ha posato i piedi per terra, per fortuna, e pensato di farsi carico solo di una piccolissima parte della conoscenza, quella che riguardava molto da vicino la sua giovinezza. Ha ristretto il suo campo alla letteratura sulla Resistenza. Perché, come se non bastasse il revisionismo e il sangue dei vinti (forse mescolato all’inchiostro soltanto dopo il cambio di secolo, non ricordo, e non chiedetemi di cercare Pansa su Wikipedia), il suo timore era quello che poi tutto scivolasse via, diluito nella brodaglia della riconciliazione. In uno stato che aveva passato gli ultimi ventanni a mettere i puntini sulle i, che cosa era rosso e che cosa era nero. Tsk. Vedere le cose col cannocchiale del tempo, un cannocchiale rovesciato, si vedono piccolissime e di pochissima importanza. Meglio avere un futuro che avere un passato, no? Ma Aldo non ha voluto farsi fregare. Se cancelleranno la Resistenza dai libri di storia, la racconterò io.

Così, uno via l’altro, tutta la bibliografia, tre anni circa sui libri scritti durante e dopo, Fenoglio, Vittorini, Calvino, Viganò, Pesce, Pavese eccetera eccetera. Un’operazione a volte forzata, per i testi meno oggettivi. A volte commovente, per i passaggi più ricchi di pathos, mi immagino le lettere dei condannati a morte. A volte colma di sdegno, per le nefandezze subite dalla popolazione civile.

Ed eccoci dunque al 31/12, i titoli di coda di un vasto quanto eterogeneo blobbone storico che va da Gaetano Bresci a Columbine. Il secolo che ha visto i più veloci cambiamenti della storia. Il signor Aldo è in casa con la sua famiglia, quando, al conto alla rovescia del Pippo Baudo o del Carlo Conti della situazione, inizia a sudare freddo. Ha memorizzato miliardi di parole e informazioni, ha poco spazio libero, ormai. Il suo livello di storage è quasi al collasso. Pochi dati e potrebbe succedere l’irreparabile. Anche un semplice guasto alla ventola, una caldana o un colpo di freddo, un eccesso di umidità. E infatti, al meno uno, va in tilt. Lui, non il sistema informativo globale. Quel pesante secondo in più al compimento del quale sono mutate in un solo colpo migliaia, centinaia, decina e unità, è stato fatale per il suo equilibrio. Il sistema operativo del signor Aldo è andato in crash, al pensiero di “è tutto perduto”, mentre il mondo cambiava solo la data e la realtà continuava come se niente fosse.

La mattina seguente, è il primo gennaio del duemila, Aldo si è svegliato nel suo letto, al fianco di sua moglie. Non ricordava nulla di quanto successo, chi l’avesse portato in camera. Vuoto. Nessuno sapeva della sua missione; da sempre grande lettore, non aveva destato preoccupazione nei suoi familiari, solo qualche domanda della consorte, leggermente colpita da questa frenesia monotematica ma non più di tanto, vista la passione di Aldo per le gesta dei partigiani e gli avvenimenti ad esse legati. Come prima cosa, sua moglie dormiva ancora, ha indossato le pantofole e si è diretto in sala, verso la libreria, per vedere se la sua collezione privata fosse ancora integra. Sì, l’intera bibliografia sulla Resistenza non si era dematerializzata, era ancora lì, in bella vista e in ordine alfabetico. Quindi ha aperto la porta, ha ritirato il Corriere, a cui è tuttora abbonato, dalla cassetta della posta, e ha dato il benvenuto al nuovo giorno, la prima tacca del nuovo secolo, il contenitore di storia nuovo di pacca, certo che non ne vedrà il riempirsi fino all’orlo. A meno che i Maya non abbiano ragione e che non ci si trovi dentro un secolo brevissimo.