la teoria degli ascolti

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Questo per dire che non è vero che siamo sempre stati così. Uno dei principali esponenti della scena avant-electro-goth italiana da vent’anni a questa parte, che conosco anche perché abbiamo fatto la scuola di pianoforte insieme, lui da ragazzino ci raccontava che quando tornava a casa usava una formula per darsi la carica che era quella di mettere a tutto volume sullo stereo il 45 giri di “Whatever you want” degli Status Quo, che non è propriamente musica alternativa. A Federico – si chiama così anche se usa uno pseudonimo ricavato dal cognome come nome d’arte – piaceva quell’arpeggio di chitarra introduttivo che non lasciava presagire poi quel riff rock-blues e poi la canzone, che ne ha avuto di successo. Nell’insieme un pezzo che spacca, o meglio spaccava, oggi un po’ superato da costrutti sonori più efficaci per l’obiettivo sottinteso a un brano di quel tipo. Ma tornando a noi, io stesso, prima di cadere vittima dei generi musicali che poi non mi sono scrollato più di dosso, ho avuto una insospettabile passione per il rock’n’roll anni 50 ancora prima della dipendenza da Happy Days di cui siamo stati vittime più o meno tutti noi di questa generazione e dalla visione di Grease, e del Boogie Woogie sull’onda della sigla di Odeon, ve lo ricordate, vero? Keith Emerson che suona al piano una versione indimenticabile di Honky Tonky Train Blues di cui conservo ancora lo spartito ma, manco a dirlo, non sono ma riuscito ad impararla, e considerata la complessità non credo di aver bisogno del vostro biasimo. Comunque andavo matto per i Kim and the Cadillacs, quella paccottiglia in salsa rock’n’roll che andava di moda a metà degli anni 70 grazie alla formula del medley di brani famosi. Chiedevo anche i loro dischi come regalo per il compleanno, pensate un po’. Una volta i primi gusti musicali nascevano così, un po’ per l’ingerenza famigliare e un po’ per caso. Poi subentrano i pari, e lì occorre essere bravi a mediare il tutto con la propria personalità. Come di dice da queste parti, it’s probably better we just keep on rockin’ in the free world.

solchi profondi

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Il nostro universo sonoro, a fianco delle hit personali, quelle che ci portiamo appresso per tutta la vita, è anche pregno delle code delle canzoni che le precedono. Questo se siete cresciuti a 33 giri come me. Chi non ha mai acquistato 45 giri perché non ha mai creduto nel possesso della canzone in sé, ha sviluppato un approccio che poi si è rimodellato con la diffusione del download o nel procedimento di acquisizione musicale nell’epoca della dematerializzazione. In poche parole, se mi piace un pezzo devo avere tutto l’album, non accetto mezze misure. Poi c’è il momento in cui voglio ascoltare il singolo riempipista (che termine desueto, mi faceva notare una collega di dieci anni tondi tondi più giovane di me che probabilmente non ha mai visto Piccolo Slam o Disco Ring) e oggi basta digitare il nome nel campo con la lente d’ingrandimento, un doppio clic e si è già nel pezzo. Con gli ellepi le cose vanno un po’ diversamente, e uso il tempo presente perché, come potete immaginare, oggi il loro rifiorire mi ha donato una seconda giovinezza musicale. Posizionare la puntina esattamente perpendicolare la solco largo che indica l’inizio della canzone che vogliamo ascoltare non è così facile, e piuttosto che rischiare di mancare l’incipit è meglio posizionarsi con un po’ di margine. Per questo anni di ascolti mirati ci hanno portato a unioni indissolubili tra brani, il finale di uno che è legato indissolubilmente all’inizio del successivo e magari il pezzo di cui conosciamo più le note conclusive è anche un bel pezzo che però per noi ricopre il ruolo di anticamera del piacere.

Così è la coda di cori marziali di “Darkness before dawn”, traccia 2 di Night time dei Killing Joke, che precede l’epica “Love like blood”. Così il cluster di tastiere che chiude “Closedown”, il pezzo dei The Cure che precede la struggente “Love song” in Disintegration. O l’accordo sghimbescio di chitarra con cui da “Trafitto” i CCCP ci lasciano in attesa della punkosissima “Valium Tavor Serenase” in “Affinità e divergenze”. O il cambio di marcia tra “Resistance” e “Unwritten Law” in “Jeopardy” dei The Sound. Questo ci insegna che i pezzi che ci piacciono di più vanno in coppia anzi in trio, che li precede qualcosa e che anticipano qualcos’altro e non fate i sofisti che lo so che possono essere anche la prima traccia o l’ultima di una facciata. Ma è bello pensare che ci siano armonie, cadenze, echi che ci avvisano della loro imminenza e che li annunciano come si annuncia sul palco la stella dello spettacolo.

la musica che ti tira fuori da dentro

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Mamma si rammarica per non aver dato seguito a una sua idea, ovvero quella di far ascoltare a papà in cuffia la sua musica classica preferita come tentativo di suscitare qualche reazione vitale o anche solo per attivare un contatto con un elemento conosciuto, sia dentro di lui che fuori, rivolto a noi. Un appiglio per aggrapparsi al suo universo sonoro. Ero rimasto perplesso, l’impressione che ho è che l’imposizione di informazioni e stimoli esterni generino maggiore risonanza confusionale in una testa fiaccata dall’Alzheimer all’ultimo stadio. Come riempire un contenitore che già trabocca di contenuto perché dentro è riposto tutt’altro che ottimizzando gli spazi. Non possiamo sapere nulla, certo, ma sono convinto che a quel punto occorra muoversi il più possibile in punta di piedi. Lasciarlo in pace. Anche se, da questa parte, ogni segnale di cedimento è vissuto come una resa, un abbandonarsi all’ignoto, uno step di non ritorno. Ricordo che quando subii un’operazione, tanti anni fa, lasciai detto a chi mi avrebbe assistito al rientro dalla sala operatoria, ancora in anestesia totale, di provare a farmi indossare gli auricolari per testare in prima persona l’effetto dell’ascolto in condizioni di sonno forzato. Avevo preparato una compilation su cassetta con un vero e proprio supporto musicoterapico, cose che ascoltavo assiduamente ai tempi e che intendevo come sfondo sonoro per il relax. La new age e il chill out non erano stati ancora inventati, o meglio, esisteva già un genere identificabile come musica di atmosfera ma non era stato ancora categorizzato perché proveniente da ambiti diversi. Io mi ero orientato su David Sylvian e cose prodotte dalla 4AD, avete presente i vari Cocteau Twins, Wolfgang Press, Xmal Deutschland e This Mortal Coil. Rimasi deluso dall’esperienza, ricordo il lento esaurirsi del sonno artificiale e la mente in difficoltà alle prese con le complessità armoniche che avevo ampiamente sottovalutato, tanto che riuscii a spegnere il walkman con grande sollievo. Forse si è trattato solo di una questione di scelta, magari la musica classica preferita da mio papà – Widor, Bach, Buxtehude, ma anche la musica barocca e persino il jazz di Loussier – poteva generare beneficio. Io credo di no. La musica impegna la mente e costringe a tenere qualcosa di sempre acceso in background per un costante sforzo di comprensione, anche se è latente e non ce ne rendiamo conto.

ascoltare Mozart fa diventare intelligenti

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Se provate a ricostruire il vostro universo sonoro e la vostra identità musicale attraverso il percorso degli ascolti – e per chi suona anche delle composizioni – lungo il quale siete cresciuti, è interessante rintracciare uno o più archetipi, i punti da cui tutto ha avuto inizio. Mi riferisco a quei modelli armonici, melodici e ritmici che si usano come elemento di paragone ogni volta che si scopre qualcosa di nuovo e che consentono di esercitare un giudizio tale per cui una canzone o un qualunque stralcio di brano entra a far parte del novero della propria musica di riferimento.

Sono numerosi i fattori in gioco: quelli che identifichiamo come i nostri gusti, influenze esterne come il giudizio delle persone con cui siamo in contatto e il cui parere per qualche motivo è importante per noi, i trend estetici e culturali che ci permettono di vivere più o meno perfettamente inseriti nel nostro tempo e di riconoscerci nella società che abitiamo e così via. Ma se provate a regredire verso le vostre radici, se la memoria ve lo permette, riuscite a ricordare i momenti in cui un ascolto ha fatto breccia dentro di voi? E attenzione, mi riferisco a quando eravate ancora non autonomi e prima che rivendicaste una vostra personalità culturale, perché sapete meglio di me che già dalla pubertà per non parlare dell’adolescenza spesso la musica è anche motivo di appartenenza e di emancipazione individuale, oggi magari di ribellione un po’ meno.

E, a proposito di generazioni, mentre i nostri figli hanno a disposizione un bacino audio infinito di riferimento soprattutto perché hanno dalla loro parte genitori già cresciuti con la musica di consumo, per alcuni di noi invece non è detto. Per esempio nella mia famiglia di origine non ci sono canzonette che ci sono state tramandate dai genitori, mentre ora mia figlia accanto a cose tipiche della sua età e che vanno di moda ora – le varie Katy Perry – ascolta di sua iniziativa generi e canzoni a cui l’ho introdotta io e che in qualche modo le assomigliano. Il che è un fenomeno stranissimo, perché poi scremando rimangono solo alcuni brani che mai avresti detto e altri, oggettivamente fondamentali, lasciano il tempo che trovano: mentre non riesco a farle piacere quelle che ritengo pietre miliari della storia del rock, tra i suoi preferiti trovano posto cose tipo Ca Plane Pour Moi di Plastic Bertrand, Pass the Dutchie dei Musical Youth o la più recente Bizness di Tuneyards, voglio dire brani più che godibili ma tutt’altro che epocali. Noi invece non abbiamo avuto influencer musicali del nostro calibro, genitori che ci hanno trasmesso le basi di musica pop-rock (e in alcuni casi reggae) da cui partire. Mia figlia ha addirittura assistito a un concerto dei Sigur Ros quando ancora era nella pancia di sua madre, che a dirla tutta si è pure addormentata malgrado la mia disapprovazione.

Ma senza andare così indietro, ci dev’essere stato per forza un evento che dentro di voi ha scatenato tutto, un punto di non ritorno malgrado a casa vostra, come in casa mia, si ascoltava principalmente musica classica o, nei giorni di festa, il liscio-folk, ancor prima che i vostri fratelli maggiori introducessero intra moenia strumenti di rottura con il passato, cavalli di Troia pregni di sfide e di modernità, sesso droga e rock’n’roll. Così, se devo identificare la prima reminiscenza, la prima successione di accordi che ho trovato congeniale con il mio modo di sentire, la ritrovo nel brano qui sotto. E sì, lo so, fa un po’ ridere.