vincere quei dieci minuti di depressione tra l’ultima pagina del libro e la maniglia della porta dell’ufficio for dummies

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E sapete qual è la soluzione? Non aspettarsi che possano accadere cose oggettivamente impossibili, una strategia in parte dipendente dall’identificazione dei propri limiti. Per quel che ne sappiamo noi, tutto quello che è successo prima del nostro primo ricordo potrebbe anche essere tutto inventato. La bugia che sottende tutto il nostro essere, a mano a mano riusciamo a smascherarla grattando via gli strati secchi come il ghiaccio dal parabrezza in giornate come queste. Senza per forza arrivare a vittimismo esasperato misto a mitomania come quel tizio che avevo conosciuto al CAR. Era convinto che la caserma, i commilitoni, persino gli ufficiali e i mezzi e le armi in dotazione all’esercito fossero tutta una messa in scena dei suoi genitori per toglierselo di torno per una dozzina di mesi e poter divorziare in pace.

Era un fricchettone con i capelli lunghi, così si era presentato il primo giorno con la cartolina verde in mano, uno dei pochi che aveva deciso di affidarsi ai barbieri gratuiti delle forze armate per dotarsi di un taglio di capelli adeguato alla disciplina marziale. Naturalmente era un errore, altrimenti non si spiegherebbe il motivo per cui tutto il resto delle reclute si era presentato già pronto con il look adatto alla nuova vita anziché mettersi nelle mani di principianti, scelti a svolgere quella mansione solo per caso, senza aver superato nessun esame preliminare. Aveva ottenuto poi il congedo per problemi psichiatrici, e prima di fare le valige aveva confessato a me e a pochi altri che la paura del complotto parentale altro non era che una messinscena piuttosto ingenua ma comunque rivelatasi efficace per tornare a casa anzitempo.

E ogni tanto mi capita di riflettere su un piano così folle per far impazzire qualcuno, una trama che non sfigurerebbe in una puntata ai confini della realtà. Io però mi limiterei a segnalare un altro tipo di situazioni impossibili da verificarsi. Per esempio che uno possa decidere il momento in cui bloccare tutto per l’eternità, una sorta di screen shot o cattura immagine grazie al quale una cosa che ci pare interessante o al massimo delle sue possibilità resta così per sempre. Io per esempio avrei schiacciato il tasto pause ai tempi di Windows 98, l’Ulivo, Audiogalaxy per scaricare gli Mp3, i miei genitori a sessant’anni, gli Scisma, gli Almamegretta e i Subsonica di Microchip Emozionale, le tracce di dopo barba che mio papà lasciava sul volante dell’auto che condividevamo, anzi era sua ma me la lasciava spessissimo, un profumo che poi mi restava sulle mani e che è tanto che non sento più.

Poi per il resto non ho alcun’altra recriminazione, lascerei la mia vita seguire il suo corso come è avvenuto e come chiunque può confermarvi: mia moglie, mia figlia, il mio lavoro, l’aver smesso di suonare, aver aperto un blog, aver letto tutto Paul Auster, esser diventato un fanatico della corsa e così via. Ma se davvero è così, significa che realmente non c’è stato nulla di precedente alla prima immagine che ho nella memoria? Siamo io e il nonno, che morì nel 72 per qualche bicchiere di troppo, seduti in quelle panchine di fronte a dove una volta c’era la stazione vecchia e si svolgeva il mercato del lunedì. Il nonno mi ha comprato un bellissimo giocattolo e probabilmente non c’è stata una ragione ufficiale, il compleanno o qualche altra festività. Io tengo in mano questa specie di mini-pista di latta con automobili, camion e motociclette saldate su un nastro a forma di otto che gira in un modo che ora identificherei con il simbolo dell’infinito, passando anche sotto una galleria che poi è la parte più emozionante di tutto e infatti muoio dalla voglia di vedere cosa c’è lì dentro, fino a quando dura la carica.

diritto di recesso

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Ci siamo un po’ dimenticati che quando le cose non funzionano o sono difettose si possono aggiustare, questo perché si fa prima a comprarle nuove. Chissà se ogni tanto pensiamo lo stesso per le persone, se quando devi scuoterle per farle accendere, o se c’è un contatto che rallenta la funzione che dovrebbero avere, o solo se diventano un po’ obsolete perché tutto il resto di quello che c’è – vita compresa – nel frattempo si è mosso verso una direzione diversa, si spera in avanti ma anche rimanere sul posto può andare bene, basta non tirare indietro, ecco, se in casi come questi uno desidera fare a meno di questi individui da riparare, perché così si risolve il problema alla radice, è molto meno faticoso, e mettersi intorno cose nuove tutto sommato è stimolante. Bene, immagino accada anche a voi perché non credo di essere migliore di nessuno, ogni tanto mi scappa da pensarlo ma poi mi gira subito la testa per averlo fatto e mi vien voglia di nascondermi per aver osato tanto.

esami che vanno bene anche se non c’è un voto

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Poi l’inverno si presenta all’improvviso. A motore spento, fermo nel parcheggio del Centro Sportivo a rispondere a una e-mail di lavoro sul Blackberry, questo sono io. La stagione fredda la potete riconoscere, è quella che ha le sembianze di una foglia di acero, nemmeno fossimo in un romanzo di uno scrittore americano, che va a sbattere pesantemente nel centro del parabrezza creando una curiosa versione casareccia della bandiera canadese. Vorrei essere altrove a tenere traccia in qualche modo di quello che sembra un inizio di qualcosa, sarebbe fantastico se fosse la volta buona per una trama da sviluppare a parole ma le cose non funzionano così, a meno che non si abbia il tempo di fermare tutto, montare le scene riprese con calma selezionando i take migliori e dare una continuità cinematografica comprensibile. Fuori è già buio, così mi affretto ad accendere la lucina dell’abitacolo, cercando carta e penna. Noto però un anziano fuori e mi sorprende scoprire che sono io parzialmente riflesso nel vetro fumè del Suv parcheggiato a fianco. In genere non mi piace osservare in faccia le persone della mia età, indovinare come potevano essere i tratti molto marcati un tempo ormai perduto, come saranno in un tempo che sembra sempre che è da venire e poi è già il momento di fare l’albero, di pensare a un vestito da carnevale per i figli, organizzare le vacanze estive, riprendere l’anno scolastico e poi di nuovo l’albero e così via. Qualcosa di incombente che si intravede a toni ancora indefiniti, nemmeno fossimo nella nebbia. Non più. Penso così a un filtro fotografico, di quelli che vanno tanto di moda, un trucco digitale che invecchia la pellicola sulla versione imberbe di noi che poi è quella in cui ci immaginiamo finché non succede una cosa così, trovarsi inaspettatamente riflesso da qualche parte. In un impeto di spirito di sopravvivenza riporto alla mente un episodio di qualche anno fa. Io che pago per tutti un pranzo veloce ma di qualità, quei menu primo più dolce più caffè nei bar pretenziosi del centro che hanno aspirazioni da tavola calda con chef di grido, una pausa pranzo con tre colleghe, i tavolini dentro sono infatti solo da quattro posti. Fuori, le colleghe che mi ringraziano per la generosità, io che rispondo di nulla, volevo solo festeggiare la mia prostata sana. Scampato pericolo.

fu vera gloria?

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C’è solo un fenomeno più misterioso dei cerchi di grano in grado di esporre all’accusa di esoterismo chiunque tenti di dare una spiegazione ed è l’arcano motivo per cui, poggiando il palmo sul nastro delle scale mobili, ci si accorge che il corrimano si spinge a una velocità superiore rispetto a quella dei gradini, e se uno vuole mantenere la postura costante durante la salita finisce per trovarsi oltremodo sbilanciato in avanti con il massimo scherno degli astanti, per lo più avventori domenicali del centro commerciale che in barba alla sacralità manzoniana di una giornata come questa affollano ignari della ricorrenza negozi del calibro di Oviesse Industry. Pensavo anche a un dispositivo Apple per il cinque maggio, l’ei-Fu, siccome mobile e dato il mortal sospiro manco a dirlo, siamo nell’era del cloud che ce ne facciamo di uno smartcoso fisso.

Ma se pensate ancora per un attimo al paradosso delle scale mobili, più paradossale di quello di Zenone, Achille e la tartaruga che si rincorrono tra Zara e Motivi scritto con la o con i due puntini che non so nemmeno come si fa, se pensate al vostro corpo che resta dietro alla vostra mano trascinata in avanti capirete la metafora della nostra vita che ci supera, ci sorpassa e ci aspetta chissà dove, tanto è già arrivata a una tappa intermedia se non a destinazione. E né l’una né l’altra sono il lunedì o qualunque altro elemento destabilizzante del nostro ritmo cardiaco, perché di prove di questo tipo non avete idea di quante ne troverete da qui all’eternità.

Io pensavo invece a qualcosa di meno percettibile, un fattore a cui viene da riservare attenzione nell’istante che intercorre tra quando realizzi che il tuo acufene ha una sua dignità timbrica con tanto di riconoscibilità nella scala dodecafonica e quando ti accorgi di una ragazza araba dall’aria smarrita nel panico da sovraesposizione alla modernità occidentale a dosi massive, una sorta di sindrome di Stendhal dove al posto del Colosseo c’è Tezenis, una giovane donna tutta bardata nel suo velo che non se la sente di continuare la salita al piano superiore – tantomeno constatare con mano l’allarmante assenza di corrispondenza cinetica tra base d’appoggio in alluminio e nastro superiore in gomma – perché manifestazione di una visione escatologica impropria che la spinge a optare per il più pericoloso ma sicuro, perché non semovente, interstizio tra la scala mobile e il muretto su cui strisciare con i piedi, una manciata di centimetri a malapena, cercando di tornare indietro da lì nello sbigottimento generale velato da xenofobia diluita in presunta superiorità pratica.

Quello è il momento in cui ti accorgi che davvero c’è una parte di te che corre a perdifiato in avanti e ha già marcato il cammino, da qui a un boh temporale, di spruzzate di presente. Pietre miliari o palline di mollica degne di Pollicino che costituiscono la prova che di qui siamo già passati e l’eterno oggi che ci sposta verso il duemila-più-lontano-che-si-può è solo una mera constatazione amichevole del danno di esistere, come quando si overclockano i processori o un tempo si truccavano i Garelli 50. Bella l’ebrezza del fast living, poi però ti sfido a stargli dietro. E non mi riferisco certo al bruciarsi tutte le esperienze del mondo nei primi venti anni di vita nemmeno foste il cantante dei Doors, ma anche il solo tran tran apparentemente banale di noi esseri mortali. Ecco, uno sguardo verso i nostri corpi che hanno già dato tutto nello sprint mentre noi eravamo impegnati a doverci svegliare ogni fottuto lunedì mattina per aggiungere l’ennesimo tassello di una carriera di cui non ce ne fregava un cazzo, un altro negli occhi delle migliaia di persone come noi che nemmeno ci accorgiamo di incontrare ogni giorno. Nessuno che si sogni di fare un cenno al prossimo come quando ci si saluta tra motociclisti, un segno in codice per comunicare che ognuno di noi è al corrente del grande complotto ordito nei confronti di questa fratellanza globale da non so quanti miliardi di individui, una massa di gente che continuerà a crescere in quantità nella consapevolezza che tanto, prima o poi, è inutile che lo scriva tanto lo sapete anche voi.