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Con la privacy su Internet ho un rapporto un po’ così, sono piuttosto distratto e, per svariati motivi, dalla prima volta nella mia vita in cui ho compilato un form on line – almeno diciassette anni fa – ad oggi credo di aver lasciato i miei dati ovunque. Insomma, se siete un po’ sgamati su Google è facile scoprire come mi chiamo, fermo restando che queste cose che scrivo vengono pubblicate (per mia scelta) su alcuni social network, in alcuni dei quali sono iscritto in chiaro, per così dire. Poi, una volta ottenuto il mio nome e cognome, è altrettanto facile googlarmi e trovare numerose informazioni sul mio percorso professionale, qualche recensione musicale o letteraria, qualche comparsata su forum e commenti vari. Se tornassi indietro non credo che farei diversamente, cioè non vedo la mia presenza in rete diversa dalla realtà, dove ci sono persone che mi conoscono, mi incontrano e mi salutano. Con alcune chiacchiero – poche, eh – altre sanno chi sono, ci sono quelli che mi conoscono dalla prima elementare e quelli che sanno a malapena il mio nome, e così via.

Voglio dire, l’invisibilità su Internet è una missione, un impegno che richiede mille attenzioni e una gran dose di intelligenza e prontezza, troppo per chi come me sul web ci lavora e trascorre una elevata percentuale del proprio tempo. E dubito che la totale assenza da anche un solo data base in qualche server sperduto del pianeta sia possibile, ammiro chi vi riesce ma ho l’idea che sia un obiettivo perseguibile solo evitando di aprire anche una sola pagina di un browser in vita propria. E in parte accade lo stesso per chi immette contenuti attivamente, con nick, alias e talvolta fake che conferiscono uno status illusorio di non riconoscibilità, perché poi alla fine un dato di registrazione, magari solo con l’esercizio del potere, lo si riesce a far coincidere con un dettaglio anagrafico e si giunge a destinazione.

Lasciare tracce di sé in fondo è un comportamento inconscio per depositare qualcosa di noi qui dentro, iniettare germi anche solo col desiderio che restino congelati in una provetta o in un bozzolo da qualche parte, pronti a essere risvegliati per fecondare qualche iniziativa più in là. Poi ci sono quelli che lanciano semi a casaccio sperando che si moltiplichino e si diffondano da sé, la rete continua la sua attività anche a pc spento, una forma di sperimentazione di forme di vita intelligente che può essere rischiosa, se ne può perdere il controllo e causare un’esplosione nucleare (virtuale) a nostra insaputa dall’altra parte del pianeta. In ogni caso noi viviamo anche qui dentro, da qualche parte, in server che danneggiano l’ambiente con la loro footprint magari proprio in quell’isola felice di una delle più brutte pubblicità di Internet Service Provider mai realizzate dall’umanità. E per ciò che riguarda contenuti pubblicati e responsabilità relative siamo nell’ambito del buon senso comune, che se non sbaglio c’era anche prima.

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