la recensione dell'ultimo disco di windows 10

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L’informatica ha soppiantato completamente la musica nelle conversazioni dei ragazzi. Probabilmente hanno avuto un destino simile le passioni, di certo i passatempi e da quando ci sono cose come la Wii anche lo sport e l’attività fisica, e questo è una cosa che si sa. Ma se vi capita di ascoltare le nuove generazioni chiacchierare del più e del meno, i vecchi cavalli di battaglia che alimentavano le discussioni di un tempo sui generi musicali sono stati soppiantati da tutto ciò che orbita intorno al digitale. Questo perché l’informatica oggi è un grande contenitore che comprende anche la musica, insieme alla fotografia, al cinema, alla tv, e quello che è nato come un elemento trasversale in grado di potenziare l’accesso a tali discipline e a contribuire alla loro diffusione, in realtà le ha ghermite, fagocitate e trasformate in materia vivente per tessuti e organi propri, dando vita a una sostanza indistinta a cui però nessuno ha opposto resistenza. In cambio, voglio dire, abbiamo ricevuto moltissimo, quindi ci siamo ben guardati dall’evidenziarne la pericolosità, sotto questo punto di vista, e nessuno di noi vorrebbe certo tirarsene indietro ora. Soprattutto perché in questo contenitore digitale qualcuno ci ha fatto credere che sono le relazioni e gli affetti a giocare un ruolo decisivo, peccato che solo tra qualche decennio potremo osservare i risultati di questa trasformazione epocale, quindi sarete voi a raccontarci come è andata a finire. Voi che ritenete l’informatica un argomento molto più divertente di cui parlare rispetto anche alla politica e alla società e non solo più appagante degli AC/DC o dei Kiss, voi abituati al fatto che su Internet si può discutere sia del contenitore che del contenuto. Ed eccoci qui: a dispositivo intelligente disconnesso, l’illusione del digitale è tale che ne percepiamo lo stesso la sua presenza. Emozioni, gesti, parole: dal vivo con la gente il nostro comportamento si è evoluto (o involuto, a seconda di come la pensiamo) e in questa incommensurabile realtà non-digitale quello che ci tiene vivi è sempre legato alla rete. Per questo è facile comprendere il perché un’esperienza totalizzante come la musica sia stata spazzata via non solo nella pratica o nella vita sociale ma nelle conversazioni stesse dei ragazzi. Senza contare che l’informatica è talmente pervasiva perché è anche al centro anche del nostro lavoro. Non si era mai visto un elemento in grado di seguirci dalla culla alla bara con la stessa continuità di presenza. Ma non voglio fare della filosofia da tanto al mucchio, a me spiace solo perché tra i ragazzi oggi non suona più nessuno e nessuno discute di musica. Ma pensate a che palle potrebbero farsi i giovani ‘d’oggi assistendo alle conversazioni dei giovani di ieri, le discussioni mie e vostre con i miei e vostri amici. In nostra presenza tirerebbero subito fuori lo smartphone, nel migliore dei casi per mettersi a fare qualcosa di più coinvolgente, nel peggiore per farci foto di nascosto e poi deriderci sui loro social.

il caso non risparmia nemmeno le star del web

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L’operatore alla biglietteria ci fa notare l’orario di apertura su un vistoso foglio A4 occupato da una tabella con le celle colorate e il testo evidenziato, appiccicato alla sua sinistra con il nastro adesivo sul plexiglass che la mette al riparo dal pubblico. Dalle informazioni suddivise tra linee e campi però qualcosa non torna: le indicazioni relative ai giorni feriali, al sabato e la domenica e ai giorni festivi sono le stesse, e cioè 6:30 – 12:40 la mattina, 12:55 – 19:30 il pomeriggio. Vorrei chiedergli se non sarebbe stato meglio ottimizzare la struttura dell’avviso ma è ora di smetterla tutti a continuare a trovare sensi e significati anche dove non ce ne sono. Ascolti una canzone in cui il cantante dice di essere irrequieto e che in questo mondo in continuo cambiamento non ha proprio nulla da dire (chi indovina qual è vince una giornata intera da trascorrere con il suo blogger preferito), e pensi che si stia rivolgendo a te. Roba che non interessa più a nessuno.

Fossi uno che scrive mi concentrerei invece su certi legami tra cose, persone o avvenimenti conosciuti di differenti ambienti che di punto in bianco si trovano a interagire, talvolta loro malgrado, come se i destini fossero impazziti o qualcuno avesse fatto un sorteggio tra teste di serie per metterle tutte nello stesso girone. Pensate agli Eagles of Death Metal vittime dell’attacco terroristico al Bataclan, o Schumacher investito mentre scia, cose che nemmeno su “Scherzi a parte”. Possiamo sbizzarrirci a immaginare queste situazioni limite, non necessariamente tragiche, e non sono valide le storie di membri dello star system che, anche se non si sono mai visti di persona, quando si incontrano è come se si conoscessero da sempre. Iniziate voi, per me è già una conquista l’essermi ricordato di questi due o tre avvenimenti speciali che vi ho detto. La mia aria da svampito è l’espressione più evidente di un tenore di comportamento da artista tra la gente che di certo non mi posso permettere. Poi sento parlare la gente e capisco che, insieme a me, ci sono persone che fanno veramente dei lavori di merda da quello che dicono, perché la gente parla quasi sempre di lavoro. Non solo la gente fa lavori di merda ma questi lavori hanno a che fare spesso con soldi, finanza, economia. Abbiamo tutti una lunga esperienza dopo anni di conversazioni al telefono ascoltate in giro. Per questo ci piace ascoltare musica con gli auricolari fino a quando qualcuno che lo trova un atteggiamento socialmente offensivo non te lo fa notare.

Per esempio c’è un pazzo poco più in là in coda alla biglietteria, la cui follia supera persino quella delle persone che premono perché anziché fare quello che si deve fare in una biglietteria ci si perde in pensieri tipo questi, che all’improvviso strappa le cuffie alla studentessa dietro di lui ma il fidanzatino della ragazza non ci pensa troppo a mettergli le mani al collo per difenderla. Ti strozzo, gli urla. Ti strozzo, e ne deriva una bella colluttazione mattutina. Ecco, ho fresca fresca per voi una di quelle situazioni che dicevo sopra: un blogger che rimane coinvolto in una baruffa mentre ritira la nuova tessera delle Ferrovie Nord.

generatore automatico di ricordi da condividere con i vostri contatti sui socialcosi

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Potremmo indagare sul motivo che spinge i colossi dei social media a far di tutto per aiutarci a creare ricordi e a condividerli ma si rischia di cadere nella letteratura di fantascienza di serie B, anzi, di seconda categoria o qualche analogo girone di dilettanti che, a giocare, rischi un’entrata di quelle che poi la caviglia non te la ritrovi più. O ancora peggio nella teoria dei complotti che oramai tutti consideriamo insulti all’intelligenza del genere umano. D’altronde dal momento in cui accendiamo il pc a quello in cui mettiamo al corrente il mondo di un nostro ricordo trascorrono sempre meno istanti, fateci caso. Ci dev’essere un filtro alle cose invece assente in natura perché dal vivo si osserva quello che ci circonda e quello che ci circonda stimola osservazioni sul presente o desideri per il futuro. Non è un teorema assoluto, ognuno poi nella sua testa fa quel che vuole. Ieri per esempio ho scoperto che a Milano c’è una stazione dove parte a malapena un treno all’ora e quel treno va in una sola direzione. Non ho ricordi legati a questo curioso fenomeno, per esempio. Ma se ne avessi letto un parere magari condito dall’estro narrativo di qualche scrittore del web mi sarei precipitato a condividere almeno due o tre richiami ad altrettanti romanzi in cui questa dilatazione dei tempi del trasporto pubblico avrebbe un suo perché. Per quanto riguarda gli auspici per il futuro, poi, il mondo è un serbatoio senza fondo. Sempre ieri tornavo da Abbiategrasso in macchina con una persona dal cui racconto delle esperienze ortodontiche nelle regioni una volta aderenti al Patto di Varsavia cercavo di allontanarmi almeno mentalmente e, osservando le piste ciclabili lungo i canali che conducono a Milano, valutavo quante scappate in bici potrei fare in tutti i fine settimana da qui all’eternità. Solo un dettaglio mi ha ricondotto alla realtà: un cliente che sta per trascorrere per lavoro una settimana a San Francisco, quando a me solo quella trasferta di qualche ora ai confini dell’area metropolitana milanese mi aveva fiaccato come non vi potete nemmeno immaginare. Meglio tornare su Internet, dove ogni giorno c’è qualcuno che ci ricorda che due anni fa abbiamo messo quella foto o scritto quella cosa che magari volevamo dimenticare. Mi sono ripromesso di cercare in rete e poi di adottare come ricordo forzato da condividere con tutti i miei contatti l’esattezza della teoria secondo cui, percorrendo in auto una rotonda, occorre mettere la freccia anche quando si prosegue per l’uscita che continua la direttrice di provenienza, perché anche in quel caso un po’ a destra di gira. Se si compie invece un cambio di direzione di 90 gradi, le frecce da mettere sono due: prima a sinistra per girare, e poi a destra per imboccare la strada. Mi sono imbattuto invece in una di quelle iniziative dal basso a cui aderire, questa volta per una causa più che giusta e civile: l’abolizione dello scovolino da cesso. Possibile che in una casa di un paese occidentale si debba osservare una consuetudine così anti-igienica come un recipiente per tenere a mollo un simile raccoglitore di schifezze umane? Perché l’uomo si fa difensore di un così vistoso punto di contatto tra le dimensioni della normalità e della porcheria? Facciamo che noi italiani, d’ora in poi, passeremo alla storia come la popolazione che per prima ha fatto a meno dello scovolino, come abbiamo smesso di fumare nei ristoranti, abbiamo bandito l’amianto dalle nostre abitazioni e abbiamo abolito il contante dalle nostre transazioni (trova l’intruso).

un monumento più duraturo del bronzo

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L’Internet e i socialcosi svolgono anche questo importante ruolo sociale di mausoleo delle nostre gesta, un incommensurabile libro di storia in cui tutto, ma proprio tutto, viene conservato per i posteri. Un grande rivoluzione di piazza tanto quanto il giorno in cui vi hanno estratto il dente del giudizio, la liberazione di due ragazze sequestrate da un’organizzazione terroristica internazionale come l’unica apparizione di tizio o caio a un programma di Red Ronnie nel 1995. Quindi provate a immaginare la novità che tutto questo comporta nello sviluppo del tanto vituperato genere a cui apparteniamo: non c’è nulla che corra il rischio di venire dimenticato, soprattutto perché i diretti interessati del dente del giudizio e, soprattutto, del programma di Red Ronnie del 95 hanno tutti gli strumenti necessari per ricordarci quotidianamente quello che è successo. Clicca qui per vedere il video della mia performance, ecco i link alla recensione del disco che ho presentato in quell’occasione, e così via. Chiaro che, per dire, un anniversario della liberazione dal nazifascismo sarà oggetto di più ricerche rispetto a uno che entrato in odore di fama una botta e via, ma questo non toglie che l’accesso democratico alla memoria collettiva non generi equivoci e velleità per l’individuo, quando una volta il tutto si esauriva con una foto incorniciata nel bar degli amici a testimoniare il successo mancato. Una botta e via, in inglese, si rende più o meno con quel modo di dire con cui sono state pubblicate molte compilation, negli anni passati. Ricordate? One shot 80, One shot 70 eccetera eccetera. Ecco, io provo una profonda tenerezza per chi vive nel mito di se stesso per aver fatto una sola cosa nella propria vita e il suo unico scopo sia amplificarla arbitrariamente per renderla eterna. Un disco uscito nell’82, una pagina Facebook ad esso dedicata, la ristampa di quel disco con sonorità più attuali che, peraltro, ne inficiano fortemente la resa perché a quasi sessant’anni non hai certo la prestanza artistica di quanto ne avevi venti e rotti. Ecco il brutto della rete: scomodare la vanità perché tanto il mezzo, tutto sommato, non costa nulla e allora tanto vale provarci, e riempire i risultati di Google di pattume.

convertiti al rigore dallo storytelling di un prodotto da supermercato

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Te lo dico io, Roberto, quando siamo diventati bacchettoni. E mi ricordo addirittura l’istante esatto: la relatrice è passata alla slide successiva e sullo schermo sono apparsi due casi di social media marketing di successo riguardanti la Nutella e le Gocciole. C’era un fetta di pane con la Nutella che si aggrappava a un palo per il forte vento fresca fresca di un post sulla sua pagina Facebook. A fianco un’analoga iniziativa con un biscotto con i capelli neri e lo stecchino in bocca che doveva somigliare a Roberto Benigni. Entrambi gli esempi riportavano a fianco numeri che non sono passati inosservati al pubblico della prima giornata del SMX 2014, un vero e proprio happening della comunità di professionisti del marketing digitale. Centinaia e migliaia di fan della crema alla nocciola e dei biscotti industriali – prodotti di cui anche mia figlia è ghiotta, sia chiaro – che hanno speso del tempo per dimostrare la loro approvazione a quel tentativo di conversazione tra brand e audience. C’è quindi uno storytelling della Nutella e delle Gocciole, ci sono risorse dedicate che hanno fatto di quello il loro lavoro, che per carità ha la sua dignità tanto quanto un tornitore, un maggiordomo o un dog sitter. Comunque appena abbiamo percepito e sedimentato il senso di quella slide, è proprio in quel momento che siamo diventati bacchettoni. Ed è una fortuna, Roberto, che io e te non viviamo in una società di integralisti religiosi o che non siamo in quei posti sperduti delle Louisiana dove ci sono quei pazzi da True Detective che quando vanno in tilt si comprano i mitragliatori al supermercato sotto casa. A me e a te ci girano i coglioni già quando arriviamo al nuovo quartiere fieristico e leggiamo gli striscioni “Benvenuti in Europa” sulle transenne intorno ai cantieri con gente che chiede l’elemosina e proprio dopo un treno in ritardo di mezz’ora e fermo sotto una galleria in cui il telefono non prende. Oppure ci innervosisce la presenza di un frigobar pieno di bottiglie di Carlsberg gratis proprio oggi che siamo nel pieno del periodo no-alcol, una specie di fioretto che non si sa bene per chi o per cosa è in corso. E c’è pure la festa di Twitter, stasera, a inviti e io e te non siamo stati invitati, nel locale di un’altra creatura di questo pazzo pazzo occidente che è uno di quei Masterchef di successo che – e qui ci starebbe una bestemmia – fino all’altro ieri pasteggiavamo a tagliolini in brodo e polenta e oggi siamo vittime di questa follia collettiva consapevoli che poi, Cracco o non Cracco, tutto dopo si trasforma in merda. Così mentre divampano sempre più focolai della guerra dei poveri nelle nostre banlieue che hanno nomi evocativi del calibro di Torpignattara, mentre la scelta tra le personalità che dovrebbero offrirci la sintesi della politica va dalla destra postfascista alla destra populista anti-euro fino alla destra post-razzista – quella che ci vuole far credere che i posti come Torpignattara erano belli come San Gimignano prima che arrivassero gli stranieri con i loro costumi inadeguati – ecco nel bel mezzo del progresso di diversi colori tra i quali il nero e basta (cit.), anzi no anche il verde dei nostri conti bancari, proprio oggi in cui questo rifiorire di narrazioni sui pomodori pelati capita in un momento storico in cui a malapena siamo in grado di capire il senso di un avviso sul libretto delle comunicazioni tra la scuola e la famiglia dei nostri figli. Ecco, in questo squallore illuminato solo dai nostri smartcosi accesi giorno e notte, il problema sembra essere il posizionamento esistenziale delle aziende, una volta definito il quale noi, sul nostro social network preferito, possiamo finalmente decidere se stare con il prodotto ed essere brand ambassador, oppure no. Non dare il nostro like alla pagina. Trollare chi si spende per intavolare discussioni costruttive con il community manager del Philadelphia. Non c’è da stupirci così se diamo diventati bacchettoni e va bene esserlo in qualunque disciplina che ci consenta di annullarci fisicamente in qualche modo, come quelli che si preparano per fare le maratone nelle varie città del mondo e si allenano anche tre volte al giorno. Occorre davvero un rigore ma parlare di morale non me la sento, perché sia io che te, Roberto, siamo costretti a dare anche il nostro contributo in questo mondo che ha dell’osceno e, a dirla tutta, non capisco però quale sia stato il punto in cui era evidente che sarebbe andata così e nessuno ha fatto nulla per impedirlo.

zero punto zero, ovvero la vita prima di Internet

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E voi, la vita prima della rivoluzione Internet ve la ricordate? Quella in cui era tutto sulle nostre spalle a partire dalla responsabilità delle opinioni perché non c’era nessun modo per esprimersi senza metterci la faccia fino alle telefonate fatte alle ragazze, con la speranza che nessuno rispondesse al loro posto, tanto meno il padre. Federica, per esempio, aveva il papà maresciallo dei Carabinieri, e quando sentivo la sua voce buttavo giù. La madre di Tiziana, invece, che aveva scoperto la nostra tresca sul nascere, mi aveva detto chiaramente che non voleva che la figlia intrecciasse relazioni con tipi come me, tutti vestiti di nero con la cresta cotonata. Ma non è solo questo. Che cosa facevamo prima? Con cosa impiegavamo tutto il nostro tempo libero prima di diventare tutti blogger, grafici, battutisti di twitteratura o commentatori dell’attualità? Che cosa ce ne facevamo di tutta questa libertà dalle schiavitù digitali e di tutta questa privacy? Potremmo chiudere qui con una bella generalizzazione, dicendo cioè che ci siamo dimostrati omuncoli della peggior specie se abbiamo dimostrato in fondo che non aspettavamo altro che dei sistemi di intrattenimento statici audiovisivi e più o meno gratuiti per gettare alle ortiche secoli di arti e mestieri e abilità varie. Quanto parliamo di meno, per esempio. E non ditemi che la messaggistica istantanea e i social network permettono invece di mantenere rapporti remoti altrimenti impossibili da coltivare. Vero, ma non era questo il punto. Ditemi: quanto parliamo di meno? Tra di noi. Quanto ci confidiamo di meno, quanto cerchiamo dentro le cose che fanno divertire, quanto riusciamo a inventare per stupire il prossimo esaminandoci nell’intimo. Non ne faccio un metro di giudizio etico, né sto dicendo che la cosa mi piaccia di meno o di più o preferisco oggi a ieri o viceversa. Parliamo di meno perché il significato orale si discosta troppo dalla rappresentazione grafica e visuale, e a causa della frustrazione di non poter emettere una proposizione fatta e finita simultaneamente con un tasto invio che ci dia la consapevolezza del suo insieme, ma dovendoci esprimere parola per parola e sillaba per sillaba, con tutto l’andamento temporale che ne deriva così monodico nell’era del multitasking, inconsciamente facciamo un passo indietro e tentiamo un gesto, un escamotage, un imprevisto o un link stesso a un contenuto multimediale a potenziare la debolezza delle parole pronunciate, a cui non siamo più abituati. Ecco, ditemi voi: com’era la vostra vita prima di Internet?

lo dice la rete

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Il meteoterrorismo (da non confondersi con il meteorismo) è quel fenomeno per cui operatori del turismo e associazioni di categoria si lagnano perché la gente si informa sul tempo che farà, manco a dirlo ma solo per quel che concerne vacanze e weekend. Uno dei tanti valori aggiunti della facilità con cui certi dati possono essere reperiti con semplicità dagli utenti mentre dall’altra parte è la rete stessa – ma come altri canali di informazione – che non perde occasione per farsi sentire al suo pubblico. Nel senso che non conta se una notizia è fondata, provata o riguarda un’opinione. L’importante è spararla grossa e attirare clic, pubblicità, lettori e ascoltatori. Un gioco vecchio come l’uomo prestato alla vendita, o no?

Ma sono anche i consumatori ad approfittare della visibilità del web per imbrattare pagine .php dei loro punti vista che ci mancherebbe, il nostro ingegno crea e ricava spazi fisici o virtuali e poi li riempie di sé. Il dilemma è se crederci, alle cose che la gente scrive in rete. La saggezza popolare, quella dei modi di dire, oggi ha il suo equivalente nei tweet e i pareri che una volta uno raccoglieva al bar oggi si rintracciano con Google. Pensate alla portata e al valore economico dei Trip Advisor e delle omologhe piattaforme di opinion leading a stellette che fanno la fortuna e la sfortuna di esercenti e imprenditori. Siamo liberi di ritenerle affidabili o no. Se tutti vanno verso una direzione ci sarà un motivo, fare di testa propria molto spesso si rivela fruttuoso, altre volte mica tanto. Vedi centinaia di automobili intruppate in un unico casello, pensi che idiozia e ti dirigi verso un altro libero. Può capitare che nessuno sappia che si possa usare la carta di credito senza commissione e quindi tutti hanno scelto quello cash, può capitare invece che siano tutti rotti e quello con la fila sia l’unico funzionante. Difficile da prevedersi.

Tutto questo pippotto è perché mia moglie ed io ci siamo lasciati prendere da un’offerta in un megastore di elettrodomestici: acquistando due prodotti, quello meno caro lo paghi la metà. A complicare le cose c’era il fatto che l’offerta scadeva di lì a due ore, quindi c’era poco tempo per prendere una decisione. Da qualche giorno avevamo iniziato a valutare la rottamazione della lavatrice ma era più urgente un frigo no-frost. La storia dei due piccioni con una fava. Va da sé che ci siamo invaghiti di una LG tutta cromata, come la motocicletta poteva essere tua dicendo di sì. Il confronto con le altre, leggendo le caratteristiche e a detta dell’inserviente, era più che vantaggioso. E poi a metà prezzo. Insomma, per farla breve abbiamo ceduto a frigo nuovo e lavatrice LG a metà prezzo.

Il giorno dopo l’acquisto mia moglie mi chiama disperata per numerose recensioni lette in rete riguardanti proprio quel modello di lavatrici LG con l’innovativo sistema di motore senza cinghia. Strappano gli abiti, a volte il bucato puzza più di prima del lavaggio, assistenza pessima. Ora mia moglie ed io siamo nel panico: la lavatrice LG tutta cromata ce la devono ancora consegnare e noi vorremmo già cambiarla. A volte è meglio rimanere nel dubbio, non conoscere la vera verità. Ma si può vivere così?

rai, pagine gialle e il web un po’ retro

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Ieri sera volevo mostrare a mia figlia un’esibizione live di Elio e Le Storie Tese tratta da un programma di Rai Tre di qualche tempo fa e ho constatato per la prima volta la tragedia, ovvero che la Rai ha fatto piazza pulita dei suoi contenuti su Youtube. L’essere fortemente asino in economia mi impedisce di comprendere il guadagno che può ottenere la tv di stato da questa operazione, sicuramente è stata ideata da gente molto più ferrata di me nel far andare bene le cose in un’azienda così grande. Sta di fatto che sottrarsi in questo modo a un comportamento standard come quello di cercare un video su youtube mi sembra un autogol senza confronti, almeno dal punto di vista dell’immagine. A me non è venuto infatti naturale andare sul sito della Rai a cercare il filmato che mi interessava, ho rimediato con un contenuto alternativo ma ero pronto a desistere in caso di insuccesso. Togliersi da Youtube è un po’ come eclissarsi in casa e aspettare che qualcuno venga a cercarti ma tutti i tuoi amici sono abituati a trovarti in piazza e, piuttosto che chiudersi nella tua cameretta, preferiscono rimanere all’aperto e divertirsi con qualcun altro. Spero che il paragone renda. Ma quello delle scelte reazionarie deve essere proprio il periodo. Ho collegato infatti la mossa suicida della Rai a uno spot che mi è capitato di vedere qualche sera fa. Si tratta della campagna con cui Seat Pagine Gialle promuove un suo innovativo servizio alle imprese, quello della creazione di siti web. Che idea all’avanguardia, vero? Nel 2014, quando i siti li sanno fare persino i ragazzini delle medie con un qualunque CMS, c’è qualcuno che pensa che una piccola azienda – dopo aver visto lo spot durante un prime time in tv – possa considerare conveniente rivolgersi a un colosso per attività come queste. Mi sono chiesto così quale sia l’obiettivo con cui management come quelli di Rai e Seat Pagine Gialle abbiano scelto di muoversi su modelli di business talmente anacronistici che anche un incompetente come il sottoscritto li ritiene fuori dal tempo, oltre che fuori dal mercato. Se c’è qualche esperto in sala, la sezione commenti è aperta apposta per darmi qualche spunto di interpretazione. Grazie.

venti sconosciuti che si fanno un handjob per la prima volta, guarda subito il video

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La regola numero uno nell’Internet e nelle vostre attività di personal branding – chiamiamolo così – sui socialcosi dovrebbe essere quella di controllare bene per filo e per segno quello che state per condividere, verificando che non sia una cosa superata e già ampiamente discussa, non sia una bufala, non sia un trucco, o una notizia priva di fondamento, un articolo dal titolo roboante ma senza contenuti contestuali. Quindi contare fino a venti e a quel punto riconsiderare se ciò che state per postare rientra nei parametri dell’idea che volete che chi vi legge o vi frequenta virtualmente abbia di voi. Se seguite questa procedura chissà quante volte avrete ringraziato quegli attimi di riflessione e quella pastiglia di temperanza il cui effetto è vedere con l’occhio adulto – adulto dal punto di vista della vostra anagrafica sull’Internet – per avervi impedito una figura un po’ così. Ma se della vostra reputazione, come spesso accade e magari è anche giusto, non ve ne può fregare di meno, tanto vale lasciar prevalere la smania dell’arrivare primo, tanto la moltitudine non vi si fila di striscio, se lo fa non legge quello che pubblicate, se vi legge lo fa distrattamente, se lo fa con attenzione non capisce il senso dell’articolo, se lo capisce si ferma al titolo perché è roboante, se non si ferma al titolo e legge tutto con attenzione e voglia di approfondire non rischiate nulla perché si tratta dello zero virgola zero zero zero uno per cento ovvero di quei pochissimi contatti talmente affezionati a voi che si berranno qualunque cosa pubblicherete. Ma nel duemila e quattordici si verificano ancora episodi di clic a cazzo su contenuti costruiti apposta per screditarvi con il prossimo duepuntozero. Magari siete attirati da uno specchietto per le allodole che ha le sembianze di un banner e che riporta una procace quanto disinibita testimonial di non so quale fatto straordinario che stuzzica la vostra ehm diciamo curiosità. Dietro quell’annuncio ovviamente non c’è nulla, al massimo qualche sito che vi promette guadagni facili. Invece la traccia dell’azione che può risultarvi fatale – dal punto di vista della considerazione che gli altri hanno di voi – sarà immediatamente condivisa e visibile a tutti se l’errore che avete appena commesso ha come splendida cornice Facebook, che tutto sommato è il posto dove è più facile perdere il controllo, smarrire la morigeratezza, dare sfogo ai più bassi istinti e decidere del proprio destino. Il mio consiglio, ma sono certo che anche su questo siete sufficientemente responsabili, è quello di seguire la stessa procedura di cui sopra – pensarci bene, contare fino a venti e quindi valutare ancora una o due volte se ne vale davvero la pena – prima di schiacciare qualunque cosa sia visibile e interattiva in una pagina Internet, onde evitare di dover fornire imbarazzanti chiarimenti sulle vostre inclinazioni. E comunque quella del bacio tra gente che non si era mai vista prima era una pubblicità. Vi sta bene.

Internet spiegato a casa, meglio così

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Il caso dell’Internet spiegato ai ragazzi mi sembra più uno dei tanti episodi di scarsa attenzione alle cose che riguardano un’età e un periodo scolastico dei nostri figli molto particolare, che invece dovrebbe al vertice delle nostre priorità ancora prima dell’adolescenza, del cosa gli faccio fare da grande e dell’organizzazione del loro matrimonio. Gli sforzi che dedichiamo alla salute fisica dei bambini dovrebbero corrispondere a un impegno alla tutela della loro crescita intellettiva, emotiva e sentimentale. Non ricordo chi chiedeva provocatoriamente se qualcuno darebbe da mangiare del cibo avariato ai propri figli. Allo stesso modo, dareste loro strumenti di apprendimento scadenti o poco efficaci? Vi propongo però una riflessione. Il divario tecnologico e digitale tra scuola primaria e secondaria e vita privata non è mai stato così ampio, a meno che non abbiate i mezzi per mandare i vostri bambini alle scuole dei ricchi e dei preti. Per dire, qui da me siamo abbastanza messi male con pc di almeno un paio di generazioni prima, disponibilità di LIM per alunno con percentuali vergognosamente inopportune ma anche insegnanti decisamente inadeguati da questo punto di vista. E la descrizione dell’Internet sul libro del 99 proposta ai ragazzi del 2014 è estremamente esemplificativa. Resta il fatto di stabilire in che modo l’Internet deve entrare nelle scuole. Cosa devono fare i ragazzi con la connettività? A cosa serve a loro essere sempre on line anche a scuola, e non solo a casa durante il tempo libero? Internet, da un punto di vista didattico, dev’essere uno strumento e, come tale, dovrebbe essere erogato nel modo meno obsolescente possibile, almeno in un mondo ideale in cui la scuola pubblica ha i soldi per poterselo permettere. Però attenzione perché so già dove si andrà a finire, con tutto questo tecno-entusiasmo. Non dimenticate che le famiglie – quelle italiane, eh – sono pronte ad acquistare qualsiasi dispositivo di nuova generazione e a investire in tecnologia (Internet, telefonia, tv) a scapito di qualsiasi altro bene di necessità e soprattutto lamentandosi ogni anni del costo dei libri di testo dei figli. Ma di questo passo, in un futuro nemmeno troppo lontano, ci sarà solo una materia di studio a scuola, e cioè come utilizzare la rete o quello che ci sarà allora, per accedere all’archivio di dati e informazioni di tutte le materie, dove trovare con il minimo sforzo e il massimo dei risultati tutto quello che ci serve sapere senza imparare, tanto ogni concetto sarà disponibile in tempo reale lì, in quello che nel testo del 99 avevamo definito cyber-spazio. Oggi, e domani lo sara ancora di più, Internet è un bene come la luce e il gas e la benzina, lo diamo per scontato e rimaniamo allibiti quando non c’è, quando non va, quando qualcuno ce ne parla ancora come di una emanazione divina. E non ci sono ore dedicate, a scuola, per insegnare ai ragazzi luce, gas e benzina. Se Internet si riduce all’uso di uno smartcoso, i ragazzi possono tranquillamente impararne l’uso da sé e, in classe, tornare a dare spazio al congiuntivo e alle equazioni.