l’origine del mito del maestro di sci

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Il bello di certi sport individuali consiste nel rapporto uno a uno con l’allenatore o il maestro. A me capita di incontrare gente avanti con gli anni con i loro completi immacolati, la racchetta in mano e pronti per un paio di ore sul campo da tennis ed è in queste occasioni che dico a mia moglie che, da vecchi, insomma, intendo più vecchi di adesso, potremmo fare come quelle coppie nei film americani che scelgono il tennis come sport della terza età, magari da praticare insieme. Ma poi, in questa eventualità, dovremmo rinunciare al vantaggio dell’essere soli ciascuno con il proprio insegnante e perdere quella peculiarità che, come dicevo prima, è il vero vantaggio delle attività individuali.

Nuotatori, sciatori e podisti sono altri atleti fortunati nella loro disciplina singola. Ma il rapporto esclusivo è vincente, naturalmente, anche in altri ambiti. Pensate alle lezioni private, le cosiddette ripetizioni. Hai un prof tutto per te che percorre al tuo fianco il difficile cammino verso il recupero del tempo regolamentare sprecato facendo altro. Per non parlare dell’insegnante di strumento musicale. Si tratta di relazioni non banali perché l’alunno deve trovare il docente con cui trovarsi in sintonia per rendere al meglio il corso di studi o l’allenamento, nel caso dello sport. Viceversa chi dà lezioni si trova a doversi adattare a decine di allievi che, considerando che si tratta di lavoro, deve farsi piacere per forza.

Poi ci sono casi in cui la lezione è stata pensata per una classe o più persone e, invece, vuoi perché il corso non è abbastanza interessante o per chissà quale altro motivo, ci si trova lo stesso in due in aula. Maestro e allievo. Non senza qualche imbarazzo. Seguivo un seminario di greco antico all’università, che poi ho mollato a tre quarti perché, non avendo fatto il classico, non mi sentivo all’altezza. La cosa strana è che ero l’unico, io e la professoressa. Una volta, durante la lezione, si era sentita male. Niente di grave, ma accusava uno stato d’ansia e mi aveva pregato di chiacchierare per consentirle di distrarsi un po’ dai sintomi che la stavano preoccupando. Probabilmente, con un uditorio più nutrito, qualcuno con un senso pratico superiore al mio avrebbe tentato un metodo più efficace per farla stare meglio. O magari la causa del suo attacco di panico era proprio la singolarità di quella lezione, pensata per tanti allievi e invece esercitata per uno solo, con l’aggravante di dover spiegare rivolgendosi a una sola persona. Chi guardano i professori quando spiegano? C’è una pratica afferente alla PNL anche per queste cose? In ogni caso, è decisivo il valore umano dell’insegnante, quando lavora solo per te.

Un’ultima considerazione: suonavo jazz strumentale da solo in un ristorante, per sbarcare il lunario, che è la vera essenza del pianobar. Un sera, a cena, mi sono trovato a lavorare solo per una coppia di clienti di mezza età, di ritorno da un allenamento di tennis, con le loro racchette riposte in custodie costosissime ed eleganti. Gli unici in tutto il locale. Avete capito il problema: finito un pezzo la sala piombava in un silenzio surreale, e già le mie riduzioni degli standard del Real Book in versione facilitata e adeguata al posto non aiutavano certo il contrasto. La donna e l’uomo, poi, non sapevano se fosse il caso di applaudire, annuire, guardare me o continuare la loro conversazione. Prima del caffé, approfittando della coda di non so che brano, l’uomo mi aveva fatto cenno di avvicinarmi al tavolo. Lui e la moglie mi dissero di essere onorati per avere un pianista tutto per loro, per giunta con un repertorio di quel genere. Nonostante questo non lasciarono nessuna mancia, ma a questo c’ero già molto più abituato.

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