la pagina bianca – day#55

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Qualche giorno prima del lockdown ho ritirato una decina di romanzi in biblioteca. Quando poi ha chiuso tutto mi sono sentito un naufrago condotto dalla corrente all’approdo su un’isola deserta rigogliosa di risorse: vedevo all’orizzonte la possibilità di sfondarmi di tempo libero e avevo con me tutto il necessario per farlo. Ho pensato che tra quel bottino e qualche volume rimasto in casa, quei libri che ho sempre considerato di seconda scelta e che diventano, in tempi di carestia culturale, grasso che cola, mi spettavano almeno un paio di mesi di autonomia garantiti.

Trascorsi i primi giorni di ambientamento nella nuova dimensione della clausura per assicurarmi la più confortevole delle permanenze, ho afferrato il più ambito dei libri e ho allestito la mia postazione da lettura preferita, una comoda poltroncina anni cinquanta con spalle rivolte alla luce del balcone, piedi sull’antistante divano e gatta rigorosamente in braccio.

La gatta faceva le fusa e io, nemmeno alla seconda pagina, già russavo con altrettanta enfasi. Ho riprovato la sera stessa, sotto le coperte e con la abat jour accesa. Il risultato è stato ancora più deludente e svegliarmi con il libro sul petto altrettanto frustrante. Da allora ho tentato tutte le combinazioni possibili. Sul balcone, seduto alla scrivania, con la musica in cuffia, appena sveglio, prima e dopo pranzo. Tutte i tentativi si sono rivelati fallimentari.

Mi sono confrontato così con qualche amico. Perché è così difficile leggere quando fuori c’è una pandemia, diventa primario portare a casa la pelle, l’economia globale va a rotoli, non si può nemmeno uscire il cane per pisciarlo e tutto non tornerà mai più come prima? Nei miei buoni propositi, era la settimana di carnevale e già i più realisti decretavano l’anno scolastico bello che finito, addirittura auspicavo nel rimettere mano a tutta la ricerca proustiana, ché ormai sono passati almeno dieci anni dall’ultima ripassata. Ho una bellissima edizione vintage con la costa bordò anni 50 che mi invidiano tutti. Macché.

Il fatto è che tutto questo alimenta un cul-de-sac: vorrei leggere ma non ci riesco, mi vengono i sensi di colpa perché non riesco a leggere, mi impongo di leggere ma mi addormento dopo poche righe e torno da capo.

Quindi niente. È giusto essere severi con noi stessi perché non riusciamo a fare quello che dovremmo dimostrare di fare? Che cos’è che ci blocca, che ci rende la lettura che è l’esperienza che più di ogni altra permette di evadere dalle brutture del mondo (magari per tuffarci in quelle di un mondo inventato ma comunque è bello così) un gravoso calvario da compiere con la zavorra di una situazione che accomuna gli svariati miliardi di esseri umani nella stessa angoscia? Le pagine restano fitte di segni incomprensibili, gli occhi provano a districarsi, la mente attiva le sue difese, il respiro si fa affannoso, il lettore si fa piccolo piccolo, il libro gli cade addosso, l’impatto della copertina rigida è letale.

Noi del comitato dei lettori forti così promettiamo che dal 4 maggio, quando riaprirà tutto (le librerie pare lo siano già) torneremo a macinare storie con quel ritmo che fa di noi dei maratoneti della narrativa. Dal 4 maggio, eh. Siete testimoni che l’ho detto.

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