Uno dei principali meriti – uno dei tanti – che vanno ricondotti agli Offlaga Disco Pax è quello di aver finalmente spodestato il primato dell’ironia citazionista appartenuto a Elio e le storie tese fino alla consacrazione degli ODP a band italiana più importante degli ultimi vent’anni. Con l’extra bonus che i racconti musicati di Max Collini sono mille volte più intelligenti, meno volgari e più raffinati rispetto a “Servi della gleba” e compagnia bella, principalmente perché, a differenza degli elii, gli ODP sono tutt’altro fuorché un gruppo di musica demenziale. Anzi, per fornire delle coordinate, con gli Offlaga ci troviamo nella narrativa indie-intellettuale ma alla portata di ogni curioso che voglia esser introdotto a quel modo di interpretare la realtà lì. Racconti su misura per gente nata tra i sessanta e i settanta, cresciuta con la new wave e il PCI, in un’Italia in cui il modello emiliano trattino romagnolo era la best practice per la cosa pubblica, da seguire a ogni livello. L’immaginario rosso e militante raccontato nei tre dischi della band reggiana, l’epilogo di un momento storico in cui si è guardato continuamente alla fine del secolo scorso come punto massimo e irraggiungibile di sviluppo e civiltà, si è imposto prepotentemente nel lessico famigliare di noi ultra trattino cinquantenni, coetanei di Collini e stra trattino maledettamente felici di ritrovarci nei suoi pezzi. Come sappiamo, il cammino degli ODP è stato poi interrotto bruscamente dalla scomparsa di Enrico Fontanelli. Max Collini lo si può seguire nelle sue iniziative estemporanee e sui suoi profili social, nei quali ha attirato una bolla intorno a sé in cui il Pci continua a prendere il 74% e la Democrazia Cristiana il 6%. Qualche sera fa Collini ha dato il meglio di sé con la lettura e l’esegesi di “Romagna mia”. Io mi sono capottato dalle risate, e ho deciso di rimandare alla sua comparsata anche da qui, perché è imperdibile.