tecnologia indossabile

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Se volessimo introdurre un’analogia convincente tra dispositivi e capi d’abbigliamento potremmo tirare in ballo quelle maglie che vanno di moda da qualche anno principalmente tra i bambini. Si tratta di indumenti con disegni ricoperti di lamelle con i lati colorati diversamente che permettono di cambiare la resa dell’illustrazione passandovi la mano sopra. Quest’anno ne sconsigliamo l’utilizzo a scuola perché, prima del Covid e quando non c’era problema a tocchignarsi a vicenda, costituiva un divertimento tra i compagni curiosi di scoprire le due versioni o anche solo per abbandonarsi a qualche prima esplorazione dei corpi altrui. Oggi mettersi le mani addosso tra bambini, almeno a scuola, è vietatissimo, il motivo lo sappiamo tutti. Fatto sta che magliette e felpe di tale foggia sono diventate merce rara. Malgrado ciò, possiamo a tutti gli effetti ricondurre l’intento con cui sono stati ideati ai dispositivi touch.

Questo comunque non è niente in confronto al mio alunno cinese che si è presentato a scuola con un paio di Geox dotate di led posteriori su cui è possibile programmare la visualizzazione di un testo a piacimento. Intorno ai suoi piedi a comando scorreva il suo nome preceduto da un ingenuo augurio di buon compleanno in rosso su sfondo nero, se non ricordo male, nemmeno calzasse un gadget da posizionare su una Lancia Delta Integrale con l’obiettivo di renderla ancora più tamarra di quello che è. Se le avessi io scriverei insulti dedicati ai trend topic che la gente sui social esaspera e rende ricorsivi fino a farci impazzire, cose tipo “andate affanculo voi e Manuel Agnelli a torso nudo” o “mettetevi sta cazzo di mascherina e statevene a casa”, ma non ho idea del massimo di caratteri utilizzabili e se, soprattutto, sia possibile un livello così avanzato di customizzazione. Comunque le Geox con il led equivalgono ai totem per il Digital Signage, un fenomeno tecnologico che qualche anno fa sembrare costituire il futuro del marketing ma che, a dirla tutta, non ha mai interessato nessuno. Ma la vera evoluzione delle scarpe che si accendono sono quelle che si è fatto regalare il mio alunno rumeno per il suo compleanno. L’intera suola si accende di verde e di rosso – proprio nel senso di una di verde e una di rosso, non ricordo se la destra o la sinistra – con un bagliore che illuminerebbe completamente l’aula in caso di black out e che distrae anche gli studenti più diligenti.

L’indumento che però suscita maggiormente l’invidia di bambini e insegnanti (nella fattispecie io) è il maglione di lana a tema natalizio che mette ogni giorno la mia alunna egiziana. Il disegno della renna che ha sul petto è completato da un naso che, quando lo schiacci, suona “Jingle Bells”. Anche in questo caso il rischio pandemia frena i compagni più dispettosi dal premere il naso della renna per beneficiare a ripetizione del motivetto contestuale al momento dell’anno. La bambina però non presta sufficiente attenzione al posizionamento del pulsante sull’indumento e così, ogni volta che si appoggia al banco per scrivere o voltare pagina del libro, il tema di “Jingle Bells” (in quel timbro elettronico tipico dei gadget che sta alla musica come il linguaggio macchina sta all’html5) risuona nell’aula scatenando – ogni volta – la stupidera dei compagni. L’idea però di avere capi di abbigliamento che suonano mi ha conquistato moltissimo. Mi piacerebbe esser rivestito da tessuti che amplificano suoni, potentissime casse bluetooth dalla foggia di felpe o pantaloni. Ci pensate? Cammini e spari a tutto volume i tuoi pezzi preferiti sui passanti. Spero che la ricerca si concentri nel prossimo futuro su questo tipo di innovazione. Mi sembra davvero che ne valga la pena.

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