la musica nell’anno di mani pulite (e igienizzate)

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Allora com’è andato questo 2020, chiedono gli alieni che sbarcano sulla terra per le loro ricerche di mercato. Di merda, risponde all’unisono il genere umano ormai rassegnato, sempre che a parlare con la mascherina davanti alla bocca si comprenda qualcosa. La retorica ci ricorda che è dai momenti di tensione che nascono le opere d’arte più durature, anche se avremmo preferito un po’ meno ispirazione in cambio di contesti più banali come l’anno scorso, quello prima o tutto il resto che si è avvicendato ma rigorosamente non antecedente al 1946. Ci saremmo accontentati di uscire, andare al cinema, darci i baci sulle guance quando ci si incontra, abbracciare i nostri genitori anziani senza paura di dar loro il virus di grazia e, comunque, di prodotti culturali atrettanto eccezionali. Invece ci siamo trovati dieci mesi su dodici sul cosiddetto filo del rasoio. In ambasce per una pandemia bella e impossibile dal sapor estremo-orientale, poi barricati in casa a guardare il mondo da un oblò annoiandoci un po’ mentre la natura si riappropriava dei suoi spazi mandando in avanscoperta scoiattoli e cinghiali, quindi eroi tutti giovani e belli decisi a rinascere nell’estate per mandare poi tutto in vacca nell’autunno successivo fino agli ultimi scampoli dell’anno, quando ancora non sappiamo che minchia succederà e cosa potremo o non potremo fare da dopodomani.

Consoliamoci allora, per quanto possibile, con i dischi usciti quest’anno. Ho scelto un po’ di album che è difficile posizionare in una classifica. Sarebbero tutti numero uno, al vertice di qualcosa che non saprei definire, ciascuno con i suoi punti di forza e con le sue debolezze.

C’è stato tutto un fiorire e rifiorire di post-punk e suoi derivati.
Su tutti “Stray” dei Bambara

“Container” dei The Wants

“A Hero’s Death” dei Fontaines DC

“There Is No Year” degli Algiers

“Ultimate Success Today” dei Protomartyr,

“Just Look At That Sky” dei Ganser

“The Menace Of Mechanical Music” dei Team Picture

“Fantasize Your Ghost” delle Ohmme

“Auto-Pain” dei Deeper

“Void Moments” dei FACS

“Unmask Whoever” degli Activity

“Every Bad” dei Porridge Radio

e anche “Kompromat” degli “I Like Trains”.

Mi sono anche piaciuti molto “Kitchen Sink” di Nadine Shah

“100% Yes” dei Melt Yourself Down

“Shabrang” di Sevdaliza

i dischi omonimi dei Muzz di Paul Banks

e dei Keleketla! (ovvero i Cold Cut in salsa afrobeat)

“Live Forever” del sorprendente Bartees Strange

l’elegante “Off Off On” di This is the Kit

l’esotico “Zan” di Liraz

il cerebrale “Automatic” dei Mildilife

e “Konke” dei sudafricani Seba Kaapstad.

Di italiani nemmeno uno? Due, in verità. “L’ultimo a morire” di Speranza

e “Canale paesaggi” dei Post Nebbia.

Ci vediamo nel 2021. Almeno, questo è il buon proposito.

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