mani in alto

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In molti la chiamano “mensa inferno”, un po’ perché potrebbe essere il set per una bolgia dantesca e un po’ perché certe manifestazioni, come la minestra di riso e prezzemolo vomitata sul tavolo e nei piatti dei compagni di classe da parte di qualche palato sensibile in eccesso, potrebbero richiamare le più celebri pellicole con Satana protagonista in visita, sotto spoglie non sempre riconoscibili, dalle nostre parti.

In realtà da una mensa di bambini della primaria non ci si può certo aspettare un’atmosfera da ristorante stellato, anche se il cuoco della società che ha in mano l’appalto passa con le sue crocs bianche e il cappello da talent enogastronomico a fine pasto per chiedere, a noi insegnanti, se è andato tutto bene. La qualità non è delle peggiori, anche se mi è capitato di mangiare certi piatti che, per farli insapore, bisogna proprio impegnarsi.

Da quando c’è il Covid le cose sono un po’ cambiate perché osserviamo due turni e, di conseguenza, la densità abitativa di quello che, a parer mio, è uno degli ambienti dal maggior rimbombo acustico mai visti sulla Terra, ora è dimezzata. Il risultato è che la mensa è un po’ meno mensa inferno e, con gli avventori che vi soggiornano indossando la mascherina, sembra più la pausa pranzo di un lazzaretto che una scuola. Nonostante ciò, noi insegnanti – che ora mangiamo isolati in una postazione individuale separati anziché in mezzo ai bambini come prima, che era una cosa divertentissima – cerchiamo di mantenere il più possibile ordine e silenzio.

Il fatto è che i bambini, dopo cinque ore di lezione, hanno voglia di chiacchierare tra di loro. Del resto il rito del convivio lo abbiamo inventato noi adulti. Immaginate che palle stare a tavola con dei musoni che non spiccicano una parola. Nei giorni in cui mi trovo a pranzo in compagnia di Teresa che ha l’altra terza e di una collega della quinta che so che la pensa come me, lasciamo abbastanza correre anche quando i nostri alunni fanno un po’ di confusione. Il lunedì invece c’è la maestra Danila che già di per sé non è molto simpatica e, in più, è particolarmente rigida nel rispetto delle regole.

A scuola da noi c’è un’antica usanza che è quella di far alzare la mano a tutti i bambini in mensa quando si supera il limite dei decibel tollerato dall’insegnante. Bambini e insegnanti alzano la mano e sospendono il pasto. Per me non è problema, perché anni di punk industriale a un volume inumano in sala prove mi hanno reso mezzo sordo e con l’acufene. La maestra Danila invece ha una soglia di sopportazione molto bassa e basta una risatina sopra le righe per farla scattare in piedi sui tacchi con la mano alzata. Nel giro di qualche secondo il clamore sfuma verso il silenzio e lascia il posto alla solita paternale con quel tono da maestrina gnegnegne che, davvero, sopporto a fatica. Devono alzare la mano tutti, bambini e maestri, per riportare la quiete e, terminato il sermone, si può continuare a mangiare in pace.

Quest’anno ho deciso di non seguirla più in questa pratica fuori dal tempo. Non la seguo più perché a pranzo ho voglia di farmi i cazzi miei, come tutti i miei alunni. Resto pronto a zittire chi si mette a riprodurre i barriti come fa Marco che è un provetto imitatore di animali, ma per il resto, se i bambini hanno voglia di chiacchierare, li lascio fare. Maestra Danila alza la mano, tutti alzano la mano, io continuo a mangiare, ho fame, sono in pausa pranzo, e se fossi al tavolo con i miei alunni li guarderei negli occhi mentre tengono le mani in alto e solleverei invece le mie sopracciglia, come a dire che maestra Danila ha ampiamente rotto i coglioni.

Un pensiero su “mani in alto

  1. Mi fa paura constatare come molti insegnanti che ho conosciuto, di ogni ordine e grado, abbiano questo mito dell’ordine finalizzato all’ordine, della disciplina perché sì. Insegnare a dei bambini una cosa inutile come che devono fare determinate cose perché sta bene farle, che bisogna obbedire alle regole sempre e comunque. È inquietante e sono felice che tu ti ribelli.

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