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Un signore anziano sta sputando sentenze contro le nuove generazioni. La sala d’attesa è gremita, l’uomo ha la mascherina che gli protegge solo il collo e il rischio è che, a corredo delle invettive, ci siano saliva e roba in grado di ammalare il prossimo. Non so quando sia iniziata la nuova era. Una volta i vecchi si lamentavano dei ragazzini, dei giovanissimi, insomma, per tutti quei motivi per i quali lo scontro generazionale risultava indiscutibile. Da un po’ di tempo ce l’hanno con un altro tipo di giovani, quelli tra i trenta e i quarant’anni, gente che potrebbe essere i loro figli. Io ho scampato per un pelo il target di questa insofferenza anche se, parliamoci chiaro, non è che noi siamo tanto meglio. Ne deriva che la responsabilità di cotanta insulsaggine è di sua competenza, sua e dei suoi coetanei. Per noi, che a differenza dei trenta e quarantenni abbiamo figli già alle soglie della vita da adulti, si vedrà. L’aggravante è che sono un insegnante, quindi il mio ruolo di educatore potrebbe essere fallimentare il doppio, così, finché posso, evito di intervenire e di darmi la zappa sui piedi. Il vecchio sostiene che la sua accezione di giovane d’oggi è responsabile per aver reso la tecnologia inaccessibile ai non addetti ai lavori digitali. Dice che prima o poi ci sarà un governo di tecnici informatici, uomini che si accentreranno il potere immenso di rendere sempre più complessa la tecnologia tagliando fuori dai giochi chi è poco avvezzo. Un golpe subdolo che già iniziato con lo SPID.

Nell’atrio in cui ci troviamo – nel sogno non si capisce bene, la scena potrebbe svolgersi nell’attesa di una delle ennesime dosi di vaccino ma anche all’ufficio postale, dove i vecchi come lui, alla fine di ogni mese, ritirano ancora la pensione in contanti e siamo nel 2022 – c’è un vecchio pc desktop acceso con un salvaschermo attivo, una scritta multicolore in 3D programmata per rimbalzare dall’alto in basso, da destra a sinistra, parole di cui non riesco a cogliere il significato, il monitor non è sufficientemente inclinato nella mia direzione. Lo chassis è di quel bianco panna sporca che i laptop multicolore e metallizzati di oggi hanno contribuito a farci dimenticare insieme al fatto che, una volta, ogni postazione di lavoro era occupata da catafalchi antiestetici di quella stazza. Un vero pugno in un occhio al design di interni.

Tra le varie accuse proferite, l’uomo sostiene di avercela con i giovani – ribadisco, quei giovani – per aver reso impossibile il recupero delle password. A quel punto non ci vedo più. Con uno slancio mi alzo dalla panca su cui aspetto il mio turno per cantargliene quattro. Ma come si permette?, voglio gridargli. Recuperare le password è una procedura semplicissima!, sto per urlargli addosso. Il fatto è che, nella mia esperienza di amministratore della piattaforma di didattica digitale della scuola in cui insegno, i genitori che si dimenticano le credenziali sono tantissimi. Non ho tenuto uno storico, ma non avete idea di quante richieste di aiuto abbia ricevuto. Calcolo a mente una stima ma questa indecisione è fatale: non faccio in tempo a mettermi in piedi che lo smartphone mi cade dalle mani, vola in terra e scivola veloce, grazie alla gomma del guscio con cui l’ho rivestito, dall’altra parte della sala. Una bella figura di merda per un esperto di computer. Decido di stare zitto, ho già sprecato il mio spazio di attenzione con quella goffaggine. Raccolgo il telefono, ne pulisco il dorso con le mani e finalmente, tornando al mio posto, riesco a leggere cosa c’è scritto sullo salvaschermo.

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