un altro Sanremo senza new wave

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L’edizione del Festival di quest’anno va annoverata tra quelle in cui è stato facile individuare la canzone vincitrice al primissimo ascolto. Era già successo la volta in cui al primo posto si è classificato “L’essenziale” di Marco Mengoni e quella di “Occidentali’s Karma” di Gabbani, i primi due che mi vengono in mente. Brani la cui capacità di rimanerti attaccati immediatamente è superiore, proposti in una scaletta di motivi magari anche belli, ma non all’altezza. Era chiaro fin dall’inizio che “Brividi” si sarebbe confermata sul gradino più alto del podio. Solo Elisa avrebbe potuto tenergli il fiato sul collo, mentre la canzone di Morandi, oggettivamente, si è piazzata lì dove si è piazzata grazie all’endorsement di Jovanotti durante la penultima serata, quella delle cover. A proposito, la scelta generale dei brani da reinterpretare ha definitivamente fatto virare il Festival di Sanremo verso il format dei talent, quello di X Factor su tutti. Che ci azzeccano “Baby One More Time” o “Be My Baby”, pur eseguite in modo ineccepibile la prima e con un arrangiamento molto interessante la seconda, con le nostre canzonette? Pur essendo una trovata interessante, quella di cantare brani famosi, spesso molto più del resto della manifestazione, corre il rischio di banalizzare la gara. Mi pare che, anni fa, la scelta fosse circoscritta al repertorio di brani presentati nel corso delle edizioni precedenti di Sanremo. Tornerei a questa formula, la trovo più in linea e in grado di differenziare il Festival dal resto dei programmi canori che accompagnano il palinsesto sociale della modernità. Ecco quindi qualche appunto sui pezzi che si sono succeduti nel corso della serata conclusiva.

Matteo Romano: a vederlo così striminzito sul palco a cantare, prima, e a parlare, poi trasmette un’umiltà rara. Ha anche una faccia simpatica e sarebbe bello sapere chi sia. La sua canzone è carina e si merita un 7 anche se, di tutta la kermesse, forse è la meno virale, a dispetto del titolo.

Giusy Ferreri: una scelta strana, la sua, quella di presentare un brano di quelli che non decollano mai. Come altre interpreti della nostra canzonetta pop, ha una voce pazzesca ma la affibbiano sempre canzoni facilmente dimenticabili, al netto del reggaeton estivo. Una di quelle canzoni che aspetti tutto il tempo che si apra e invece resta imbrigliata in un’andatura da chitarra sulla spiaggia, un po’ come “La descrizione di un attimo” dei Tiromancino, per capirci, ma molto meno bella, con l’aggravante di un vestito che le sta malissimo. E poi mi spiegate il senso di quel cazzo di megafono? Voto 6.

Rkomi: boh, l’unica cosa che ho capito è che il suo vero nome è Mirko, basta fare quel gioco che si fa da bambini con ionico ripetuto senza soluzione di continuità. Mi era piaciuto la prima sera. In quella finale si è un po’ perso per poi ritrovarsi al termine dell’esibizione, con i ringraziamenti e i saluti. Mi dicono comunque che sia un discreto manzo. Voto 7

Iva Zanicchi: se ho fatto bene i calcoli ha 82 anni e se non si fosse candidata per Berlusconi ne potrei anche scrivere bene. Il pezzo è molto meglio di altri, un classicone che cantato da qualcuno uscito da Amici, magari con un arrangiamento moderno, prenderebbe di più di un 6.

Aka7even: questo, come quello del suo amico Sangiovanni, sarà uno di quei pezzi che spaccherà tra gli under 10 e che i miei alunni mi chiederanno durante l’ora di musica. Per compensare gli do un 6 stiracchiato. E poi è troppo alto per la sua voce. E lui assomiglia a Nicholas, il mio ex parrucchiere. Sarà un segno.

Massimo Ranieri: da anziano sembra Vecchioni da anziano. Un brano che non resta in testa nemmeno con il vinavil. Le città non bruciano più. Voto 6 ma per la carriera.

Noemi: la sua voce si è assottigliata come la sua figura e lei, conciata così, sul palco sembra la tipa di Roger Rabbit. Il pezzo ha buon ritmo. Si merita un 7, si sente che c’è di mezzo Re Mida Mahmood.

Fabrizio Moro: È grillista e si merita 2 anche per il plagio dell’Inno alla gioia di Beethoven che emerge da sotto. Bella la citazione di “Bella” di Jovanotti con la chitarra steel.

Dargen D’Amico o come si chiama: due anni di Covid e ci piace anche questa. Voto 8 ma dimmi che cosa c’entra il governo.

Elisa: nulla da dire sulla canzone. Candidata al podio malgrado il vestito, nell’insieme un paio di tacche sotto i due vincitori. Voto 9.

Irama si presenta vestito da Ponte Milvio con tutti i lucchetti sulla giacca. Raramente si sente un pezzo così brutto, nemmeno nel periodo buio del Festival degli anni settanta con Jo Chiarello e il suo brutto affare. Voto 2

Michele Bravi è invece una specie di Scialpi ma senza “No East No West, we are the best” e con un rampicante sulle dita. Stavo per stroncarlo poi mia moglie mi ha detto che ha una brutta storia personale. Canzone nella media, anzi un po’ di più. Voto 7.5.

Rappresentante di Lista: sembrano usciti da Candy Crush ma il pezzo spacca, un vero brano da 10, il vero tormentone dell’edizione venti ventidue e gli unici con il reprise fuori programma. Non capita tutti i giorni.

Emma: la Ferilli le augura buon lavoro perché la sua resterà, nella storia, la canzone del triangolino che ci esalta e della Michielin che dirige. Io però più di 6 non riesco a darle, lei mi sembra la versione femminile di Claudio Villa.

Mahmood e Blanco. Vincono loro. Il fantasanremo o come cazzo si chiama gli è sfuggito un po’ di mano con le bici sul palco. Il fatto è che in due concentrano l’80% della bellezza sanremese e forse il 99% dell’intuito pop della musica italiana. Sul pezzo nulla da dire, lasciamo parlare i miliardi di streaming che seguiranno. Il voto è un 10 meritato. Bella la doppia citazione nell’arrangiamento, all’inizio e durante il brano, di “Breathe” dei Pink Floyd.

Highsnob e Hu: le facce impiastrate con le scritte (a questo punto sarebbe più redditizio tatuarsi uno sponsor e farsi pagare vita natural durante) hanno rotto il cazzo ma loro sono molto più docili di quello che vogliono mostrare. Comunque nessuno mai aveva messo in un testo “ho perso la testa come Oloferne” e a farlo rimare con verme. Malgrado questo si meritano un 6, lei canta come Madame al netto delle sedute dalla logopedista.

Sangiovanni: il solito giro del pop-trap-rap di Malibu e non riesco a dargli più di 4, tanto ci penserete voi a premiarlo. Quando dice “sei una boccata d’aria” lo pronuncia così biascicato che si capisce “sei una mucca d’addaria” che, oggettivamente, non ha senso. Il tema di synth alla “Leave in silence” dei Depeche Mode è però orecchiabile. Salvo solo questo.

Gianni Morandi: se non ci fosse Jovanotti di mezzo non sarei così prevenuto. Lui per fortuna è un tipo alla mano, finché non se le compromette. La sua canzone subito sembra “Stasera mi butto”, anzi no, mi ricorda “Shake A Tail Feather” di Ray Charles con un inserto scopiazzato dagli archi di “Eloise” di Barry Ryan, a cui si aggiunge un crescendo che ammicca a “Il triangolo” di Renato Zero. Mai visti così tanti tributi concentrati in una manciata di minuti. Voto 6.

Ditonellapiaga e Rettore: l’ennesimo caso di artiste penalizzate nel naming. Una modesta rivisitazione di “Physical” di Olivia Newton-John nel ritornello. 6 politico per via di Donatella che, ancora, non vuol farsi chiamare così.

Orietta Berti: non è in gara ma forse avrebbe dovuta cantare “Finché la barca va”, a bordo della Costa Crociere.

Yuman: chiede un pugnetto alla Ferilli e canta la canzone peggiore se non ci fossero altre canzoni peggiori. Non so che voto dargli. Anche questa, nell’inizio, cita “The Great Gig In The Sky”.

Achille Lauro: ecco un nuovo cantore della domenica, una tradizione che va da Valentino, come Lauro in quota Vasco Rossi, ai Subsonica passando per Venditti. Per la terza volta porta lo stesso pezzo, gli do comunque 6 perché mi è simpatico. Caro Achille, il prossimo anno mantieni il look ma cambia format per piacere. Dai che ne mancano solo quattro e poi posso andare a dormire.

Ana Mena: c’è un po’ di Nina Zilli, almeno nel titolo, e un po’ di “Amandoti” dei Cccp e io ci sento anche un po’ di Ghali quando canta di voler bene all’Italia. Il target è il terzo mondo culturale dell’Eurofestival, con un ritmo tutto in levare d’altri tempi. Il voto è un 4 ed è un peccato perché la ragazza, esteticamente, ha un suo perché.

Tananai: è un incrocio tra Rkomi, Irama e Fabrizio Moro che canta come Achille Lauro ma stonato e con la giacca da camera. Il ritornello ricorda “Suburbia” dei Pet Shop Boys e gli archi nella strofa “Speedy Gonzales”. Ma io ho sonno e gli do 5.

Giovanni Truppi. L’unico intellettuale di quest’anno anche se si presenta in canottiera. Il titolo gonfia le aspettative, il brano è superlativo ma è pretenzioso e fuori contesto. La pelata è indubbiamente espressiva e le facce mentre suona e canta sono le stesse di Saturnino. Probabilmente esibirsi senza capelli porta a quel tipo di mimica. Il voto è un 9 anche solo perché non ricorda nessun’altra canzone.

Le Vibrazioni: volevano essere i Maneskine ma restano sempre immensamente loro, con quel pennellone che suona il basso, il batterista che sembra un cartone animato e il cantante che come se la tira lui nessuno mai. Il pezzo, però, è imbarazzante: 2, e ha solo il valore di essere l’ultimo. Anche quest’anno è finita.

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