plastica

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C’è certa gente che sceglie la macchina per aspetti come il tettuccio trasparente. Vi confesso che per me è la priorità top, e, davvero, tutto il resto è optional. Il rischio, ora, è che mentre guido – specie se c’è bel tempo – mi venga da stare con il naso all’insù a godermi un punto di vista inusuale sul cielo sereno. Un ulteriore fattore di distrazione, come se non ne avessi già abbastanza, come se già non fosse sufficientemente faticoso combattere contro l’angolo cieco che è quel punto tra parabrezza e finestrino dove amano nascondersi i pedoni quando attraversano la strada e le auto che si approssimano alle rotonde. Ci sono persino detrattori del tettuccio trasparente di altro tipo e sostengono che, quando piove, fa un effetto parete in plexiglass dopo la doccia, avete presente? Ho soggiornato in appartamenti il cui proprietario aveva messo a disposizione, per gli ospiti paganti, uno di quegli attrezzi che usano i lavavetri ai semafori per asciugare le superfici trasparenti del box doccia al termine dell’uso. Non scriverò certo qui, in questo posto in cui mi leggono migliaia di persone, che non mi è mai passato per l’anticamera del cervello l’idea di dotarmi di uno strumento in grado di peggiorare l’esperienza d’uso di una delle abitudini più rilassanti della vita. Chi ha voglia, tutto bello pulito e profumato, di mettersi a fare le pulizie? Dobbiamo però partire da alcuni amari dati di fatto: piove sempre meno e, di conseguenza, al massimo il tettuccio trasparente della mia nuova Yaris raccoglierà i lasciti di qualche volatile. E, le docce, sempre per lo stesso motivo, a breve saranno giustamente dichiarate fuorilegge. Una delle domande che mi fanno i miei alunni durante l’ora di scienze riguarda proprio questo principio: gli insegnanti menano il torrone da sempre con il ciclo dell’acqua e allora come è possibile che di acqua ce ne sia sempre di meno? In quale fase del processo si trova la falla?

Un secondo spunto di riflessione sulla difficile relazione tra plastica è acqua può essere ricondotto alle cartellette con i buchi che si utilizzano nei raccoglitori con gli anelli. Nelle scuole italiane ce ne sono quasi più che bottigliette vuote da mezzo litro di acqua di plastica nel mare, ma impiegati di segreteria e docenti che non si arrendono mai alla dematerializzazione dei documenti continuano ad acquistarne, sui cataloghi di prodotti dedicati alla scuola più blasonati. Saprete meglio di me, tra parentesi, che non è che il personale scolastico può comprare come vuole su Amazon, vero? C’è tutta una procedura da seguire che talvolta si protrae per mesi rendendo l’acquisto, una volta portato a termine, superato.

Comunque l’impiego che si fa di queste cartellette è vario ma, nelle scuole come la mia in cui c’è personale coraggioso che si batte per abolire le fotocopiatrici, inizia a palesarsi un problema di inutilizzo e conseguente surplus. E sono sempre più comuni i cartelli di segnalazione manoscritti dal personale ATA e posizionati in esterno, collocati dentro una cartelletta di plastica con il bordo con i buchi, con l’obiettivo di proteggere il contenuto dell’avviso dalla pioggia. Pioggia che, anche se rara, finisce per introdursi dentro e ad annacquare l’inchiostro dei pennarelli con nuance sorprendenti. C’è anche chi sostiene che i raccoglitori con gli anelli siano pericolosi per gli alunni delle classi più basse, probabilmente qualcuno si è fatto male, in passato, o si tratta solo di una leggenda metropolitana come centinaia di altre che riguardano la scuola italiana.

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