le canzoni sono sempre lì

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Qualche centinaio di anni sarà sufficiente a dimostrarci – e confermarci – se l’avere tutte le informazioni sempre e subito a disposizione sia un bene o un male. Saremo esseri viventi con la mente atrofizzata o forse no. Liberi dal fardello del dover immagazzinare dettagli e procedure saremo iper-efficienti perché in grado di dedicare il 100% delle nostre risorse a mettere a frutto lo scibile umano e ad applicare tutto quello che in migliaia di anni abbiamo scoperto, interpretato e prodotto solo al momento in cui ci occorre. Al momento i contemporanei, lo sapete, si dividono tra entusiasti e detrattori. Di certo, in questa fase di trasformazione digitale, la coesistenza di antichità e modernità sembra sfuggirci di mano. I fenomeni che stiamo vivendo sono troppo diversi dai modelli che ci sono stati trasmessi nel passaggio di consegne dalle generazioni precedenti e applicare delle best practice non è per nulla facile. Il fatto è che i luoghi in cui conservare le informazioni e gli strumenti per consultarle sono sempre esistiti. Piuttosto è la portatilità del sapere che non riusciamo ancora a gestire. Oppure il modo lo abbiamo trovato ma la narrazione che ce ne fanno i nostalgici ci mette in difficoltà.

La percezione che abbiamo della musica trasmessa alla radio ha seguito lo stesso destino. Per anni abbiamo pensato che tutte le canzoni composte e pubblicate al mondo fossero lì dentro, da qualche parte, a disposizione di un intermediario che – per gusti propri o dinamiche commerciali imposte dalle case discografiche o altri complotti troppo elevati per essere compresi dalla massa – aveva il potere di riesumarle o lasciarle sopite sugli scaffali. Oggi ciascuno di noi ha a disposizione la propria radio personale che, come fanno i liceali con le versioni di latino che rintracciano nelle occasioni in cui ancora qualcuno chiede loro di mettere in pratica le regole di traduzione, evoca secondo un palinsesto il più in linea con i propri gusti. Il rischio è, come saprete, che manchi l’intermediario esperto in grado di ampliare le conoscenze dell’ascoltatore che, abbandonato a sé, finirebbe per non aggiornarsi più. Un rischio che abbiamo accettato di correre, sacrificando il richiamo dell’ignoto alla comodità. Il punto è che nell’abbondanza delle scorte – le piattaforme di streaming contengono qualsiasi rumore emesso dalla totalità degli esseri umani dalla loro comparsa sulla terra – non ci siamo ancora abituati al fatto che le canzoni sono sempre lì. Per questo ci sono ancora individui a metà strada di questo processo di cambiamento, persone che acquistano musica su supporti fisici (ma la stessa cosa vale per i libri o i film o per l’arte o per le cartine geografiche o anche solo le fotografie) per possedere le canzoni. L’equivoco è che la ricchezza consista ancora nella proprietà privata delle cose che ci piacciono per poterne disporne in ogni momento. Da qualche anno ascolto una stazione radio che è molto in linea con i miei gusti. Non ci sono speaker inutili ma è una infinita playlist piena di musica di cui sono in possesso e di altra tutta da scoprire. Non c’è molta differenza tra questo modello e Spotify, ma l’ascolto a sorpresa di un pezzo che amo è un piacere che continua a non avere confronti.

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