doppio live

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Se c’è in sala qualche non-proprietario di gatti, vorrei chiedergli com’è svegliarsi al sabato e la domenica dopo le sei del mattino. La narrazione che ci facciamo noi che dovremmo avere una sorta di pensione di invalidità – pagata grazie alle decine di migliaia di euro che abbiamo speso in scatolette puzzolenti (spesso vomitate e poi ri-mangiate per poi essere ri-vomitate) e interventi chirurgici presso cliniche veterinarie senza scrupoli – dicevo che la narrazione che ci facciamo noi proprietari di gatti è che tanto, durante la settimana, ci saremmo svegliati comunque con la sveglia mezz’ora più tardi. Ma il sabato, chissà come dev’essere quella sensazione di intorpidimento fisico che non provo più da quando ero giovane e felice non-proprietario di gatti del cazzo in casa, che consiste nello svegliarsi alle dieci del mattino, con il sole già alto e l’hinterland operoso che già impenna con il tosaerba nel giardino delle villette a schiera o fa la coda alle bancarelle del finto mercato contadino.

Questa mattina, poi, ho percepito quel rumore di motore termico in folle che emette la mia gatta di merda per attirare l’attenzione, unito alla sensazione di nasino umido sulle palpebre e sulle guance, proprio prima della scena finale di un sogno pazzesco. Mi trovavo con la mia collega di team a zonzo in un brocantage parrocchiale. L’allestimento era rigoroso, con tutte le cianfrusaglie ordinate per genere su tavoloni centrali, in una enorme sacrestia presa d’assalto da nostalgici curiosi e da antiquari senza scrupoli. Il successo dell’iniziativa mi faceva desistere dall’idea di trovare qualcosa di interessante, laddove qualcosa di interessante per me, anche in sogno, consiste in dischi in vinile e giradischi di valore a un prezzo stracciato. Fino a quando il sogno prende una svolta: in una stanzetta seminascosta noto due contenitori traboccanti di trentatré giri. Malgrado le copertine che riconoscono avvicinandomi non siano di mio interesse – noto un inesistente disco dei Van Halen dal titolo “77”, che a freddo interpreto con il fatto che anche nel sogno non mi venisse in mente un analogo titolo numerico che poi è “1984”, quello di “Jump” per intenderci, e che comunque anche in sogno non acquisterei mai, considerata la mia intolleranza all’hard rock – decido comunque di spulciare tra i vinili. Estraggo dagli scatoloni qualche disco dal prezzo molto interessante che metto da parte e poi ecco la vera perla della spedizione: un doppio live dei Cure risalente al tour di Wish. Ha una curiosa cover gatefold a specchio con un’etichetta adesiva che riporta il prezzo di 29,00 euro, le dimensioni sono circa 10 pollici, e nella parte interna riporta stampate le copertine della discografia della band di Robert Smith esistente al momento della pubblicazione di quel bootleg. Ricorda certe buste delle ristampe economiche di una volta, con il catalogo dei titoli a disposizione.

Noto però uno dei volontari dell’iniziativa di beneficienza sistemare le cose lasciate alla rinfusa dai visitatori durante la giornata. Mi avvisa che, al giro successivo di riordino, il mercatino chiuderà. Mi affretto così alla cassa ma mi accorgo di aver lasciato i vestiti e lo zaino in una cassetta di sicurezza, come quelle dei guardaroba fai da te dei musei, all’ingresso dell’oratorio. Mi precipito di corsa attraversando il cortile per recuperare il portafogli e rivestirmi. Come le scene oniriche delle serie tv più blasonate, l’aria è costellata da una specie di nevischio che non si capisce se sia innocuo come nel sottosopra di “Stranger Things” o tossico come in “Chernobyl”.

Trovo i miei jeans su un appendiabiti e, mentre li indosso stando in equilibrio a fatica (non ero proprio in mutande ma indossavo, al posto dei pantaloni, una specie di tuta bianca di carta leggera che usano quelli che verniciano le automobili), chiedo alle due attempate dame di San Vincenzo che presidiano la reception le chiavi della cassetta di sicurezza che, ovviamente, non hanno. Le chiavi restano ai visitatori come è giusto che sia. Mentre mi allontano le ascolto biasimare gli adulti dei tempi che corrono per l’inadeguatezza della loro capacità di stare al mondo, commentando la mia richiesta. Mi volto e rispondo loro che almeno, ora, nessuno muore più di appendicite, che non so cosa voglia dire e non è nemmeno riconducibile a una sequenza di numeri da giocare al lotto.

Torno di corsa al mercatino perché voglio recuperare in fretta, prima che chiuda, le chiavi della cassetta che deve avere per forza la mia collega, pagare i dischi e tornare a casa ad ascoltare il bottino inatteso di quella giornata, anche se so che in tutto mi costerà non meno di sessanta o settanta euro e che mia moglie avrà da ridire, ancora una volta, sui soldi che spendo in dischi. Non sono ancora rientrato nella sacrestia quando mi assale il dubbio, il vero plot twist del sogno: forse il disco live dei Cure l’ho lasciato nella stanzetta, che è un comportamento sconsigliatissimo nei mercatini, oltre che dal comune buon senso. Se trovate un disco che vi interessa, ricordatevi di estrarlo dal contenitore e proseguire la ricerca tenendolo con voi, anche se non siete sicuri che alla fine lo acquisterete. Se lo rimettete a posto o, come credo di aver fatto io nel sogno, lo appoggiate sopra alla fila di dischi nel contenitore, sicuramente qualche altro interessato se ne approprierà. E, manco a dirlo, succede proprio così: tra i dischi che ho chiesto ai volontari alla cassa di tenermi da parte per precipitarmi a recuperare il portafoglio, il doppio live dei Cure non c’è. Corro nella stanzetta dei vinili ma lo zelante inserviente che mi ha messo fretta ha già riordinato i titoli rimasti fuori posto. Dovrei rimettermi a scartabellare tra le centinaia di copertine – sempre che invece, nel frattempo, qualcuno non se ne sia accaparrato – ma non c’è più tempo. Nelle bancarelle dell’usato difficilmente i dischi sono collocati in ordine alfabetico. Il mercatino chiude e la mia gatta ha fame.

E tutto torna. Mentre, in piedi al lavandino della cucina, cerco di limitare la nausea da puzza di scatoletta alle sei del mattino, riconduco il disco del sogno a quelli che ho cercato – per puro passatempo – in rete durante il corso di formazione online che ho seguito ieri, nel tardo pomeriggio. Fare della formazione è un’arte perché il grafico che riporta la curva dell’attenzione di chi sta ad ascoltare è sacrosanto e comprovato ed è importate aver pronto qualcosa di completamente diverso per ravvivare l’interesse di chi ti segue. Ne so qualcosa io che mi dilungo ben oltre i venti/trenta minuti regolamentari con i miei bambini portandoli allo stremo. E, ironia della sorte, il corso in questione è dedicato al rapporto tra arte e scienza. Ho deciso di iscrivermi perché, tutto sommato, mi sento riconducibile alla categoria degli artisti che detestano la scienza, essendo troppo complicata e faticosa da studiare, figuriamoci da insegnare, cosa che purtroppo sono costretto a fare. Il fatto è che in questi giorni, a scuola, stiamo trattando la riproduzione delle piante, e proprio mentre la spiegavo ho condiviso con la classe la considerazione di quanto questa fondamentale funzione sia un’arte a tutti gli effetti. Pensate a come ci accoppiamo noi esseri umani. Per le piante sarà altrettanto piacevole? La struttura dell’apparato dedicato, la polpa del frutto che protegge i semi ma che è stata pensata così buona per far sì che poi vengano sparsi attraverso le nostre feci, la messinscena delle api che si impiastrano di polline, sono altrettanto appaganti? Ma anziché trattare di queste cose, lo specialista che teneva il corso ci dimostrava l’esatto momento della storia e della filosofia in cui arte e scienza si sono separate, che ha (o è) coinciso con l’esatto momento in cui il corso si è giocato la mia attenzione. Ho aperto una scheda di Chrome e mi sono messo a cercare dischi che vorrei acquistare tra Amazon e negozi di dischi online tra i quali paragono i prezzi. E pensare che i dischi live io nemmeno li compro. Non mi piacciono proprio.

2 pensieri su “doppio live

  1. qatia

    Se ti può essere di qualche consolazione, io esco col mio cane ogni mattina fra le sei e le sei e mezza per i suoi bisogni corporali. Quando però la natura chiama fuori orario, la bestiola non esita a svegliarmi a qualunque ora: l’ una, le due, le tre di notte. Il peggio è come stamattina, quando s’è presentato alle 5 bruciando ogni possibilità di recupero prima della sveglia puntata alle 6. E insomma sappi che ti dice bene con quel gatto, ma bene assai 😉

  2. plus1gmt

    Grazie, immagino che con un cane sia molto peggio. Per non parlare dei cambi ora legale/ora solare, che nessuno ha mai spiegato agli animali 🙂

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