se siamo così tanti ci sarà un motivo

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Quello dell’invecchiare è un processo a cui nessuno di noi è abituato, questo paradossalmente perché ci investe sin dal primo istante di vita, ma gli stadi che si susseguono ci sono estranei perché non li abbiamo mai vissuti prima se non di esperienza riflessa. Quindi pensiamo di sapere come ci si comporta da ragazzini quando siamo bimbetti, come si fa a fare gli adulti da adolescenti, come saremo da anziani già da adesso. Così vederci riflessi negli altri che ci sono stati più o meno vicini in tutto questo percorso e vedere gli altri come non li avevamo visti mai mano a mano che questa via si dipana è quantomeno sorprendente, perché poi alla fine le persone, gli amici, i nostri cari sono sempre gli stessi ed è bello seguire questo gioco delle parti quando vedi qualcuno con frequenza ma a intervalli non vicinissimi e quindi ogni volta è una volta nuova in una reciproca epoca di vissuto. E credo che la magia che mantiene costante e vicendevole la voglia di conoscersi sempre più approfonditamente nei nuovi ruoli che con il tempo si acquisiscono – persone che diventano genitori, inquilini di una casa di proprietà, disoccupati, esperti degustatori di vini, vittime di lutti famigliari, riconosciute autorità nel proprio settore, emigranti poi ritornati e, valido per tutti, consapevoli portatori sani di capelli bianchi quando i capelli ci sono ancora – sia quello che nei manuali di saggezza popolare viene universalmente riconosciuto come una delle cose per le quali vale la pena vivere. Del resto non si potrebbe fare altrimenti. Oh be’ sì certo, uno può decidere che è meglio morire soli che male accompagnati. Ma noi che a scadenza regolare rinnoviamo l’iscrizione a questo club di massa degli animali sociali, finché ce ne sarà data la possibilità e ne avremo i requisiti, amiamo metterci intorno a un tavolo magari anche una volta ogni due o tre anni, e lì basta poco per ristabilire i punti di contatto e tutto quello che precedentemente si è costruito insieme e che con il tempo è diventato patrimonio comune. Poi ci si guarda negli occhi mentre a turno ciascuno di noi parla e racconta e ride, ed è semplice rivedere accesa la stessa luce che ci ha consentito di unire gli spiriti non si sa bene quanto ma tanto tempo fa, e malgrado involucri sempre in mutamento – chi meglio e chi peggio – basta poco ed ecco che lì dentro si trova la stessa materia prima, ogni volta, in quantità inesauribile.

le stelle sono tante, milioni di milioni

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Poco più avanti c’è un villaggio turistico a numerose stelle di cui ho sentito parlare da persone del posto e da gente qui in campeggio. Ho saputo, per esempio, che un preventivo ricevuto da una famiglia di quattro persone – due adulti e due bambini – per il periodo centrale di agosto, quindi altissima stagione, ammontava a quattromila euro a settimana e questa famiglia, che di settimane ne voleva fare almeno un paio, ha ovviamente rifiutato l’offerta. Ottomila euro per due settimane. Ma anche che la suddetta struttura, che ha milleduecento posti, proprio nel periodo da quattromila euro a settimana aveva solo cinquecento ospiti, il che mi sembra più che plausibile perché, e sono testuali parole della parrucchiera del borgo vicino al campeggio in cui mi trovo, oramai in Sardegna viene solo chi se lo può permettere, è sparito il ceto medio.

Un’affermazione che mi ha fatto piacere per due motivi. Da una parte perché mi ha involontariamente categorizzato in una non ben definita aristocrazia del turismo che comprende chi ha il grano e chi, come me, non lo ha ma a furia di cercare e provare combinazioni alla fine riesce a trascorrere sulla costa più bella d’Italia le proprie ferie estive dignitosamente, senza sbracare ma comunque in condizioni assolutamente più che accettabili e a costi contenuti. Dall’altra mi ha fatto altresì piacere venire a conoscenza del fatto che la parrucchiera in questione avesse ben chiaro nella sua testa dall’acconciatura discutibile il concetto di ceto medio sfoggiando competenze non comuni su tematiche sociologiche.

Ma sono venuto anche a sapere che quel villaggio vacanze è gestito da uno o più affermati ex giocatori di calcio, tanto che qualcuno qui ha avvistato persino Martina Colombari sotto uno di quei ennemila ombrelloni di classe ma così fitti che non si capisce dove finisce una famiglia e dove inizia quella successiva, e per quattromila euro la settimana questo tipo di promiscuità non mi sembra all’altezza di tutte quelle stelle che il villaggio vanta. Voglio dire, suppongo che i clienti di quel club per Vip non gradiscano avere i figli degli altri tra le scatole mentre si godono la ressa di loro simili. Perché un conto è avere a distanza ridottissima un preadolescente con il taglio con la cresta che oggi va così di moda che gioca con il telefonino, un conto è avere Martina Colombari in costume che prende il sole. Ma non è tutto.

Chi passa lungo il bagnasciuga lì davanti durante le ore mattutine può imbattersi, oltre a qualche starlette nostrana, nella gente comune arricchita intenta in alcune attività studiate ad hoc per il divertimento strutturato degli ospiti, e non sta noi giudicare le persone che provano spensieratezza a comando e solo in determinati orari prestabiliti. Si va dall’immancabile acquagym per carampane alla celebrazione collettiva di una ricorrenza importante come il milionesimo clic su youtube del video del pulcino pio con un ballo di massa in acqua diretto dal capo villaggio in tre varianti: normale, in lingua portoghese (o sardo, non ho capito bene) e a velocità aumentata, che poi è il massimo e tutti si scompisciano dalle risate.

La morale è che strutture turistiche grandi e di un certo livello hanno momenti ludici all’altezza. Il che vale anche per il volume della musica diffusa, che alla sera, quando qui nel campeggio dei poveri vige il silenzio e i tedeschi sorseggiano la loro birra accompagnati dalle loro mogli, che a differenza del villaggio dei ricchi italiani non hanno unghie pittate e plasticate e non sfoggiano tatuaggi, qui arrivano le note del piano bar del villaggio dei ricchi a sovrastare gli spettacoli serali improvvisati e rappresentati senza nemmeno un microfono e un impianto di amplificazione.

Che poi uno si aspetta chissà che musica ascoltino, Martina Colombari, gli ex calciatori e i Vip del villaggio da quattromila euro la settimana con i loro figli dai nomi impresentabili altrove come Ludovica e Ottavia. Ieri sera si percepivano distintamente le strofe e il ritornello de “L’ora dell’amore”, il che la dice lunga sull’età di chi lo stava eseguendo e di chi stava ascoltando e magari ne ha fatto pure la gentile richiesta. Mentre di là qualcuno ballava il celebre lento dei Camaleonti poggiando le proprie guance liftate sul petto depilato di un partner occasionale, di qua io e un compagno di vacanza ricordavamo gli Zuco 103. No, così per dire.

alcuni aneddoti dalla settimana prossima

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Fate attenzione, però. C’è molta gente che poi arriva a un punto che non ne può più e passa gli ultimi giorni di vacanza anticipando quello a cui si troverà a far fronte di lì a poco, come se avesse applicato una sorta di dissolvenza stile transizione di Power Point tra due blocchi della propria vità, sporcando un po’ di qua e di là sperando che questo tipo di contaminazione – c’è un po’ di lavoro nelle ferie e e c’è un po’ delle ferie nel lavoro – porti giovamento e abbatta lo shock della fine di un qualcosa. Fate attenzione perché hanno un che di contagioso e il morbo che questi infiltrati del futuro sono in grado di trasmettere è un male contagioso e ti mette l’ansia. Cominciano a dare un’occhiata alla posta del lavoro, pensano a come risistemare tutta la roba in auto, credono sia meglio dare una riassestata ai capelli prima di ripresentarsi in ufficio e si chiedono se il barbiere di fiducia sarà già rientrato. Ma anche tutta la sfera domestica è fonte di questa deviazione nostalgica, anzi nostalgia deviante, perché puoi anche non essere uno che ha sempre la valigia in mano e/o la seconda casa in cui trascorrere i finesettimana ma alla fine durante l’inverno negli ambienti in cui abiti ci stai poco, quasi sempre con la luce accesa, molto spesso in fasi transitorie prima di buttarti a letto o di uscire per il lavoro. E questi li capisco di più, dopo due o tre settimane di assenza sentono la mancanza delle loro cose, magari hanno lasciato i gatti alla cura di amici e parenti, poi le routine a cui non pensano proprio perché sono routine e si eseguono meccanicamente ma quando non si eseguono per un po’ poi uno ci pensa, ai gesti e alle attività per allontanarsi dalle quali si paga e profumatamente. Poi metti che l’acqua è più fredda e la vita all’umido nel continuo susseguirsi di mare e docce e piedi da sciacquare inizia a stargli stretta e così questa gente che ha già attivato la procedura di reinserimento pensa che forse avrebbe fatto meglio a prevederla questa cosa che poi l’estate stufa e l’anno prossimo giurano che prenoteranno almeno tre-quattro-cinque giorni in meno perché più di così loro lontani da casa non ci sanno stare. Io di gente così ne ho anche un paio in famiglia. Una grande che rimpiange più che altro il suo materasso matrimoniale e le comodità da appartamento, l’ebbrezza di camminare senza sentire la sabbia tra le dita dei piedi e altre amenità minimali. Una piccola a cui mancano le amiche del cuore, le compagne di classe e addirittura non vede l’ora di ricominciare la scuola. Roba da pazzi, dico loro. Perché ci sarà tutto il tempo che vorranno per i piaceri dei doppi vetri, della lavastoviglie e dell’adsl. Del tempo pieno in aula e delle merende in cameretta, Diciamo così basta a questi anticipatori del dopodomani, che mesi prima di partire iniziano il conto alla rovescia e scelgono con cura le creme solari e poi, quando il soggiorno è agli sgoccioli, cominciano con i buoni propositi per la stagione a venire. Fermiamoci qui in questo istante che sa di iodio e di maestrale e impegnamoci una buona volta a scandire solo il presente momento per momento, onda dopo onda, venditore ambulante dopo venditore ambulante.

sensazionale: ecco il prodotto che salverà l’industria musicale

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La formula è semplice e nasce da una domanda. Ma davvero c’è tutto questo bisogno di digitalizzare tutto (e sottolineo la ripetizione di tutto)? E, soprattutto, perché mantenere sul mercato l’ormai obsoleto compact disc, che oltre a essere antiestetico, con tutta quella plasticaccia anni ’90, è così freddo al tatto, difficile da posizionare in casa – a meno di non utilizzare appositi contenitori, altrettanto antiestestici e difficili da essere assorbiti in stili di arredamento. Continua a leggere. (da alcuni aneddoti dal mio futuro del 26/09/2010)

Disclaimer: in estate chiunque si barrica dietro un autoreply di chiuso per ferie e mette in sua vece un ologramma giusto per tenergli caldo il suo centimetro quadrato di spazio on line per il ritorno. Sapete, di questi tempi meglio non lesinare in sicurezza, i posti si fanno presto a perdere e mettere un surrogato di sé stessi può essere una strategia vincente. Così noi che apparteniamo a una sottospecie di categoria di esodati ma solo perché abbiamo preso parte come milioni di altri alle partenze molto poco intelligenti, ma allo stesso tempo non vogliamo che vi dimentichiate di noi, abbiamo pensato di pubblicare in questo periodo di vacanza qualcosa di già edito, nostro o altrui, o qualche pezzo a cui siamo particolarmente affezionati. Ciò non toglie che l’ispirazione, dai mari della Sardegna, faccia capolino di tanto in tanto.

dillo con una canzone

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Mi si lasci spendere qualche parola di conforto per le persone i cui nomi sono celebrati da canzoni di successo e subiscono come costante della loro vita gli accostamenti ai personaggi a cui la canzone stessa è stata dedicata dall’autore o, peggio, i più discutibili adattamenti. Sappiamo infatti che le parodie delle liriche pop sono uno dei peggiori esempi di umorismo fatto in casa, diffidate da chi vuol farvi ridere con questo tipo di personalizzazioni a meno che i vostri conoscenti non frequentino la scuola media inferiore. Massima solidarietà invece a chi ogni volta in cui viene presentato a qualcun altro è esposto per l’ennesima volta al celebre ritornello di questo o quell’altro cantante, nei casi estremi con l’intento galante di fare colpo, credendo che il destinatario di tale citazione ne sia grato quando invece, nel migliore dei casi, ne ha i coglioni pieni. Quindi mi riferisco, partendo dalla mia generazione, a tutti i Paoli maledetti che non l’hanno detto mai e ai Vincenzi che, troppo stupidi per vivere, correvano addirittura il rischio di morte, entrambi tra i cavalli di battaglia dei caratteri più esilaranti. Ci sono stati poi i Luca inquilini del piano superiore e, più di recente, gli stessi che erano gay. Poi le Francesche che non erano loro perché ci si sbaglia sempre quando si vedono. Gli accorati inni evergreen a Giulia, che in diverse epoche è stata prima cara e unica, poi brava e infine immensamente sé stessa, che è un po’ l’apoteosi. Le Sare che cadono in letargo per poi svegliarsi a primavera. Le Caterine che, alate, arrivano al mattino e le Valentine che – solo loro – possono appurare se qualcuno si dilunga troppo sullo stesso argomento. Quindi, cara Valentina, chiudo qui aggiungendo solo che mi è venuto in mente tutto questo perché ho conosciuto una Albachiara, che vi assicuro non si sentiva nemmeno respirare, probabilmente non voleva essere rumorosa e, visto il nome, farsi notare il meno possibile.

come all you rambling boys of pleasure and ladies of easy leisure

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è che tutto questo correre e spintonarsi alla Camera mi ha fatto venire voglia di pogare un po’, come ai vecchi tempi. Scommetto che anche voi non vedete l’ora. La situazione si fa tesa? Quale migliore occasione per scatenarsi, quindi… (continua a leggere)

Disclaimer: in estate chiunque si barrica dietro un autoreply di chiuso per ferie e mette in sua vece un ologramma giusto per tenergli caldo il suo centimetro quadrato di spazio on line per il ritorno. Sapete, di questi tempi meglio non lesinare in sicurezza, i posti si fanno presto a perdere e mettere un surrogato di sé stessi può essere una strategia vincente. Così noi che apparteniamo a una sottospecie di categoria di esodati ma solo perché abbiamo preso parte come milioni di altri alle partenze molto poco intelligenti, ma allo stesso tempo non vogliamo che vi dimentichiate di noi, abbiamo pensato di pubblicare in questo periodo di vacanza qualcosa di già edito, nostro o altrui, o qualche pezzo a cui siamo particolarmente affezionati. Ciò non toglie che l’ispirazione, dai mari della Sardegna, faccia capolino di tanto in tanto.

keine gegenstaende aus dem fenster werfen

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Mentre tutti voi state salendo solo ora sul carro del vincitore, quello targato con la D di Deutschland, sappiate che io sono a bordo da tempo e vi ho pure tenuto i posti migliori dato che oltre ad accodarci ai potenti abbiamo la capacità di metterci alla destra del conducente, senza parlargli sennò poi ci danno la multa e di questi tempi in quanto a debiti direi che ne abbiamo già abbastanza. E poi è meglio non dare troppo nell’occhio che con il pagliaccio che abbiamo designato nostro rappresentante durante gli scorsi diciassette anni e rotti abbiamo fatto già abbastanza caciara, anche se vedo che ora siamo passati dalle pose di Berlusconi a quelle altrettanto farsesche di Balotelli, ti vedono con i capelli scuri e ti fanno la gag a torso nudo degli Europei e insomma se uno pensava di poter passare almeno un’estate senza essere preso in giro si sbaglia di grosso. Nessun tedesco ti indica come sostenitore di Monti e quindi impegnato a fare qualcosa di proattivo per salvare il tuo Paese e l’Europa intera.

A me i tedeschi stanno simpatici da un po’, e se seguite questo poco più che diario adolescenziale online ricorderete che sono stato pure in vacanza a Berlino qualche mese fa, ed è ovvio che questa strategia di captatio benevolentiae nei loro confronti ha un fine strumentale, cioè quello di farmeli amici che non si sa mai che tra un po’ tutti i nostri averi saranno loro. Le nostre case, i nostri monumenti e i nostri luoghi turistici, che poi questi ultimi già sono a loro uso e consumo e anzi non ci si spiega come dopo il modo con cui li abbiamo accolti nei decenni successivi a quando ce ne eravamo liberati – con disorganizzazione e strutture fatiscenti – ancora oggi vengono a spendere i loro euromarchi qui sulle nostre spiagge, preferendole ad altre malgrado la scarsa cura con cui teniamo le nostre cose. Io addirittura scelgo periodi estivi per le vacanze in Italia in cui sono certo che di italiani ce sono pochi e invece tedeschi ce ne sono tanti. Quest’anno poi mi trovo a cavallo tra il rientro dei miei connazionali e il loro arrivo, per ogni piazzola occupata da italiani se ne riempiono dieci di tedeschi, ed è un piacere averli vicino perché parlano poco tra di loro e sono attrezzatissimi il che può essere utile quando invece hai bisogno perché tu fai campeggio da principiante.

Anche se devo dire che quest’anno i tedeschi mi hanno un po’ deluso. Non tanto riguardo ai mezzi con cui hanno occupato il campeggio in cui sono ospite anche io e che è lo stesso dell’anno scorso, perché è sempre un piacere vederli arrivare con i loro Volkswagen Transporter o Caravelle metallizzati e in quattro e quattr’otto tirare su la tenda maggiolina, montare gazebo e mettere sulla piazzola set di sdraio e tavolini e biciclette che costano quanto la mia automobile. Addirittura ne è arrivato uno con una roulotte che, una volta sganciata dalla potente macchina trainante, sempre Volkswagen, aveva una specie di telecomando che pilotava un motorino della roulotte e questa si è praticamente sistemata da sola. A dir la verità il proprietario era un austriaco, ma non lo scrivo perché so che austriaci e tedeschi sono un po’ come noi e i francesi.

I tedeschi quest’anno lasciano un po’ a desiderare dal punto di vista della forma fisica. Quelli dell’anno scorso praticavano ogni genere di sport possibile all’aria aperta, mancava forse solo il lancio con il paracadute perché nessuno si era portato l’aeroplano dietro. Quest’anno invece li vedo tutti più sedentari. Ce n’è uno, che c’era anche lo scorso anno, che fa windsurf estremo che però poi compensa ogni uscita con almeno due Ichnusa da 66 cl a pranzo e a cena. Quello dall’altra parte invece le birre se l’è portate dalla Germania. La prima cosa che ha scaricato dal furgone sono state due casse da sedici bottiglie di weiss tedesca ciascuna di una marca mai vista prima con tanto di bicchiere dedicato. Alla sera, prima dell’immancabile grigliata di carne o pesce per i suoi tre o quattro o cinque figli si trinca un litro di birra ma è un’abitudine che non gli fa bene e lo si capisce quando si mette di profilo. C’è un altro poco più in là, anche lui con la famiglia numerosa come tutti e lo stomaco abbondantemente dilatato, che dalla stazza te lo immagini all’Oktoberfest con il boccale traboccante di schiuma intonare canti nostalgici, questo lo penso io considerando i vistosi i tatuaggi e la stazza della moglie. E poi molti vestono slip da mare, che qui in Italia consideriamo una delle mode più tamarre mai viste, anche se i loro sono più alti e tecnici dei nostri.

C’è infine un tizio tedesco di fronte che mi è simpatico perché ha una bambina piccola – la terza – che piange a dirotto da mane a sera e rompe abbastanza il cazzo ai vicini, me compreso. E mi fa piacere che i più rumorosi del campeggio siano dei tedeschi e non degli italiani con i loro mandolini amplificati e che comunque i gestori, che già su alcune regole infrante da loro non dicono mai nulla, ben se ne guardano dall’intervenire nei confronti di clienti che ogni giorno possono permettersi la spesa al market del campeggio che notoriamente è molto più cara che altrove.

Comunque, questo tizio dalla bambina che strilla senza interruzione mi ha notato mentre prendevo dalla spazzatura uno di quei teli verdi tutti bucherellati da utilizzare per mettere in ombra la piazzola in perfetto stato, che è una cosa che faccio perché non ci trovo nulla di male. Raccattavo mobili vintage dalla rumenta del centro storico di Genova, vuoi che mi schifi tirare su attrezzatura da campeggio? Anzi, mi sembra di evitare uno spreco, agendo così. Bene, di teli in realtà ce n’erano due ma prenderli entrambi mi pareva troppo, e così quando ha visto che ne portavo via solo uno il tedesco di fronte è arrivato anche lui a prendersi l’altro, dicendomi una cosa buffa nella sua parlata così autoritativa che non ho capito ma che poteva tranquillamente essere “li avevo visti anche io i teli nella spazzatura ma mi vergognavo a prenderli per primo perché sono un tedesco, e aspettavo che un miserabile italiano povero e che continua a vivere ben al di sopra delle sue possibilità lo facesse prima di me”.

suvvia

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Io poi questa cosa delle automobili proprio non l’ho mai capita. Cioè, capisco che l’uomo abbia un enorme attaccamento innato al proprio mezzo di trasporto, e penso all’uomo e al suo cavallo, al suo asino, l’animale che gli allevia la fatica del lavoro ma soprattutto dello spostamento fisico, l’animale che gli permette di macinare chilometri senza sforzo. Perché la velocità in fondo è potere, l’idea dromocratica che controllare fisicamente posti distanti sia in qualche modo affermazione e presenza sul territorio, la condizione più prossima all’ubiquità, il sogno dell’umanità intera vecchio quanto il genere umano stesso. E chiaramente maggiore è la velocità, più elevato è il potere di sorveglianza. La visione del chi tardi arriva male alloggia, appropriarsi per primi sugli altri, chi lo sa. O comunque, se il tempo è denaro, meno ne perdi per gli spostamenti meglio è. Continua a leggere. (da Alcuni aneddoti dal mio futuro del 25/08/2011)

Disclaimer: in estate chiunque si barrica dietro un autoreply di chiuso per ferie e mette in sua vece un ologramma giusto per tenergli caldo il suo centimetro quadrato di spazio on line per il ritorno. Sapete, di questi tempi meglio non lesinare in sicurezza, i posti si fanno presto a perdere e mettere un surrogato di sé stessi può essere una strategia vincente. Così noi che apparteniamo a una sottospecie di categoria di esodati ma solo perché abbiamo preso parte come milioni di altri alle partenze molto poco intelligenti, ma allo stesso tempo non vogliamo che vi dimentichiate di noi, abbiamo pensato di pubblicare in questo periodo di vacanza qualcosa di già edito, nostro o altrui, o qualche pezzo a cui siamo particolarmente affezionati. Ciò non toglie che l’ispirazione, dai mari della Sardegna, faccia capolino di tanto in tanto.

passo dopo passo

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C’è un curioso quanto consolidato fenomeno che riunisce almeno quattro generazioni di italiani – nonni, adulti, adolescenti e bambini – e che probabilmente è il solo che li mette insieme tutti in un unico luogo che, per darci un tono, chiameremo il dancefloor. A questo fenomeno è stato dato un nome che oggi fa rabbrividire chiunque intenda la danza come sfogo individuale delle membra secondo la propria indole, catarsi dell’identificazione fisica con questo o quel ritmo, elevazione massima dell’emotività derivante dall’assimilazione melodica e reinterpretazione allo stato brado di successioni di pattern armonici tramite quel tipo di espressività che è singolare tanto quanto ogni mappa genetica. Per non parlare di chi intende la danza come spintonarsi l’uno contro l’altro dopo un paio di birre. E mi riferisco ai balli di gruppo, che quando uno li vede si chiede chi l’abbia inventati e la risposta è semplice perché la danza collettiva è antica quanto l’uomo. Allora il colpevole va ricercato in chi ne inventa di nuovi perché oggi sono uno dei principali veicoli di guadagno tramite diritto di riproduzione del brano musicale ad essi associati, che è rimasto uno dei pochi modi che hanno i compositori di trarre qualche profitto in campo musicale ai tempi della dematerializzazione e della digitalizzazione dei contenuti. Azzeccare un successo che ogni sera in ogni villaggio turistico o altro locale adibito al divertimento di massa venga riprodotto ed eseguito tutti insieme guidati da un master alla guida di ogni mossa è quasi meglio di una hit da classifica che, al secondo o terzo mese, lascia il posto al tormentone successivo. Qui no perché i tempi sono più dilatati, vige ancora il sistema del passaparola e dell’adattamento alle richieste del pubblico da parte della struttura come principali canali di diffusione perché tutti vogliono ballare insieme questo o quel pezzo e quelli universalmente conosciuti come gli animatori devono adattarsi volta per volta alla nascita di un nuovo trend. Ma non ne faccio una questione morale giacché gli ascolti riflettono bisogni reconditi e chi sono io per trarre giudizi. Mi limito a invitarvi a notare il compiacimento collettivo che deriva dalla sincronicità dei movimenti e dall’esecuzione di massa dei passi, quasi che l’associazione di un gesto a rimarcare una parola o un verso o un passaggio strumentale possa essere comunque comune a individui così eterogenei non solo per età ma anche per altri fattori. O forse no, il fattore comune è l’appurare che un ritmo possa essere rappresentato fisicamente solo così, come il danzatore alfa comanda, un patto non scritto tra uomini e donne che dà vita a un rituale magico e guai a sgarrare, pena l’allontanamento dalla pista. Con i tedeschi che ci guardano stupiti e non capiscono. Perché, ci si chiede, a uno debba essere detto quali movimenti eseguire per provare sensazioni di divertimento con la garanzia che il divertimento stesso sia assicurato resta un arcano, come l’origine del ballo di gruppo in sé.

raggira la moda

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Parte da questo blog una nuova e costruttiva iniziativa di protesta. Quanto vi apprestate a leggere è il manifesto del Movimento Attivista del non-Shopping. Ci ribelliamo contro l’abbigliamento cheap, che è cheap solo nella qualità, nella fattura, nella composizione e nei dettagli ma non nel prezzo, perché comunque costa, i saldi sono farlocchi, e dopo una stagione è impresentabile e lo devi gettare via. E ci ribelliamo anche alle griffe, perché fuori della nostra portata, inaccessibili economicamente, e, detto tra noi, non è che ci stiano poi così bene. Noi del Movimento Attivista del non-Shopping vestiamo da sempre quattro capi in croce, sempre gli stessi, almeno dalle superiori. Continua a leggere. (da Alcuni aneddoti dal mio futuro del 23/07/2011)

Disclaimer: in estate chiunque si barrica dietro un autoreply di chiuso per ferie e mette in sua vece un ologramma giusto per tenergli caldo il suo centimetro quadrato di spazio on line per il ritorno. Sapete, di questi tempi meglio non lesinare in sicurezza, i posti si fanno presto a perdere e mettere un surrogato di sé stessi può essere una strategia vincente. Così noi che apparteniamo a una sottospecie di categoria di esodati ma solo perché abbiamo preso parte come milioni di altri alle partenze molto poco intelligenti, ma allo stesso tempo non vogliamo che vi dimentichiate di noi, abbiamo pensato di pubblicare in questo periodo di vacanza qualcosa di già edito, nostro o altrui, o qualche pezzo a cui siamo particolarmente affezionati. Ciò non toglie che l’ispirazione, dai mari della Sardegna, faccia capolino di tanto in tanto.