la casa che ti porti dentro

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Uno dei punti di forza del mio bar sono le foto incorniciate e appese, a partire da quella con Enrico Ruggeri. Sono tutte foto scattate qui. Ne ho una con un paio di calciatori dell’Inter degli anni 90 e poi alcune che mi ritraggono agli albori della mia attività professionale, quando muovevo i primi passi nella ristorazione da ragazzo, a fianco di mio padre che mi insegnava il mestiere. A luglio c’è tempo per questo genere di riflessioni. Non ci sono le mamme e le nonne che prendono il caffè dopo aver accompagnato a scuola o all’asilo i bambini, non ci sono i ragazzi che vanno al liceo, mancano persino gli impiegati che, a turno, vanno in ferie chissà dove e mi spiace un po’ doverlo scrivere perché so già che di tutto questo racconto qualcuno scriverà qui sotto commenti del tipo “beati loro che sono in ferie, a me mancano ancora tre settimane”, che è a suo modo la vecchia storia della luna e del dito. Luglio è invece il mese dei traslochi. Tra ieri e oggi, solo nella via dove ho il bar, ne ho visti sei in portoni diversi. Ci sono società che cambiano sede, una so che ha chiuso i battenti. Ci sono un paio di famiglie che sloggiano e dalle finestre ho visto portar via poltrone che, dovessi traslocare io, lascerei lì senza pensarci due volte. Una delle ditte di traslochi era francese. Mi chiedo quanto possa costare fare armi e bagagli e trasferirsi all’estero. Un’altra era della zona ma, curiosamente, il personale era tutto napoletano e per certi aspetti pittoresco, almeno prima che si mettessero a litigare con la portinaia del 19. Una cliente mi ha raccontato che sono volate parole grosse. Viene qui spesso. È malata da tempo ma spero tanto che vinca la sua battaglia. Oggi si è presentata come al solito sulla carrozzina spinta dalla figlia ma priva del foulard che usa per coprire la testa ormai calva. Dice che fa troppo caldo e nelle giornate in cui il sole la risparmia può farne anche a meno. Sono state insieme al Genius Bar, che anche se si chiama così non mi fa concorrenza perché, non so se lo sapete, altro non è che il centro di assistenza della Apple. È rimasta sorpresa dall’efficienza con cui funziona quel posto: prendi un appuntamento, spieghi il problema, se non riescono a risolverlo ti danno un iPhone nuovo. In realtà non è proprio così, ha aggiunto sua figlia, perché non dev’essere ancora scaduto il primo anno di garanzia. Io ho paura delle cose che si rompono ma, al cospetto di una persona malata, non mi va proprio di dirlo perché mi è chiaro che i veri problemi sono altri, non tanto la tecnologia che non funziona quanto il corpo umano.

le prime cose che mi vengono in mente se mi chiedete che cosa ci trovo di bello in questa stagione

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Tenere al riparo dal vento le pagine del libro dei compiti delle vacanze, all’ombra incerta delle frasche che lasciano filtrare il sole caldo nelle prime ore del pomeriggio. Le figure che restano impresse nella vista rientrando in luoghi al chiuso dopo ore trascorse alla luce chiara del giorno. I suoni delle onde del mare percepiti da sdraiati con le orecchie quasi a contatto con la sabbia. La strenua ricerca di sapori e cibi da consumarsi freschi, le insalate di pasta, il vino bianco mosso. L’alba e il tramonto e la difficoltà di distinguerli l’uno dall’altro. I viaggi brevi sulla cabriolet. La facilità con cui ci si sveste nelle situazioni in cui lo si richiede, l’assenza di vincoli dei tessuti che è un po’ la metafora della libertà che vige nei mesi dell’estate e certa promiscuità dovuta ai costumi da bagno. La faccia che brucia ancora anche se fuori è già settembre ma nessuno ci vuole credere. Le attese con quaranta gradi e il baccano delle navi mentre si aspetta l’imbarco, con i tedeschi sui California a lato che hanno sempre famiglie molto più giovani e numerose delle nostre. La birra. Le sere in montagna che sono già un preludio dell’autunno con le felpe e i calzettoni. I concerti nelle piazze delle città toscane e i gruppi americani che si stupiscono sempre che le vibrazioni di basso e batteria non facciano venire giù i campanili del trecento. Le zanzare. La città che si arrende al regime imposto dai pochi che restano a lavorare, i parcheggi che si trovano e le auto che si ritrovano a sera roventi, l’aria condizionata sui mezzi pubblici e le ragazze con la pashmina sulle spalle. Gli short, che è sempre un bel motivo per apprezzare l’estate. I recidivi delle calzature invernali anche a luglio perché i Dr. Martens da spiaggia non li hanno ancora inventati. I viaggi al nord a cercare il freddo e le cassette di Battiato. I nonni che accolgono i nipoti, i genitori che al venerdì sera li raggiungono per poi tornare direttamente in ufficio il lunedì mattina, tutti gli altri che ormai certe cose non esistono più. Trascorrere il ferragosto in casa, soli, che è bello anche così.

ci vediamo prima o dopo il temporale di oggi?

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Tra le varie sole del nuovo secolo e degli ultimi anni, in aggiunta a tragedie del calibro di un mondo senza David Bowie, una classe politica che non vale nemmeno lo sporco delle unghie dei piedi di quella della Prima Repubblica, il fatto che molti di noi me compreso non hanno più trent’anni e ci sono scarse possibilità che a ciò vi si possa porre rimedio, metterei nella top ten anche la macro-sola del cambiamento climatico a cui la nostra area geografica è soggetta. Non tanto perché qui in Italia ormai sembra di essere in Africa di vent’anni fa e non solo a causa dei flussi migratori, mi riferivo ovviamente alla temperatura media più alta, ma perché il meteo è diventato di una prevedibilità ammorbante. Le stagioni o almeno quelle due che sono rimaste (un dramma per gli estimatori di Vivaldi e per i pizzaioli) sono sempre più la fotocopia di quelle dell’anno prima, per non parlare dei giorni. Qui a Milano ormai siamo in un eterno format a loop in cui ti svegli la mattina quando fa fresco ed è velato, poi arriva il sereno e il caldo del giorno fino al rannuvolarsi del primo pomeriggio, a cui segue un peggioramento delle condizioni con nubi scure e minacciose che, in concomitanza con la fine dell’orario di ufficio – almeno del mio – scaricano tutto il loro livore temporalesco con goccioloni a mitraglia che in quattro e quattr’otto trasformano il rientro a casa degli impiegati in un trekking avventuroso comprensivo del guado di più corsi d’acqua tropicali. Il tempo di inzaccherarsi le scarpe estive per bene e poi attacca con la pioggerellina che non sai mai se peggiorerà oppure no e se c’è spazio per andare a correre prima di cena. Dopo il tramonto non si sa bene che cosa succeda a meno che non facciate lavori notturni, ma poco importa perché al risveglio, il giorno dopo, riparte tutto uguale al giorno prima nemmeno vivessimo in un film con Bill Murray. Il guaio di questo ripetersi è che annienta il trascorrere del tempo creando un unico giorno lungo per tutti i trenta giorni di giugno fottendoci un mese di estate, di vacanze, di conversazioni all’aria aperta all’imbrunire, di gitarelle in bici e soprattutto di equilibrio psicologico. A me girano i maroni, sono sempre depresso e nervosissimo, mi vien voglia di spaccare tutto e di mandare affanculo chiunque soprattutto la mia vicina di scrivania che al telefono ha un volume di voce inumano. Quindi, per il bene vostro e mio, datevi da fare e inventatevi qualcosa che porti il bel tempo che si meritano soprattutto i nostri ragazzi che hanno appena finito la scuola. A proposito: l’elenco dei compiti delle vacanze fricchettone (camminare in riva al mare, ballare, innamorarsi, bere come delle fogne, shanti, buona vita ecc…) aveva già rotto il cazzo l’anno scorso, grazie.

lo strano caso del mostro di Loch Ness avvistato al largo della costa sarda

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Tra le conseguenze più apocalittiche del riscaldamento globale non ci sono solo le alghe invisibili che trasformano il mare più bello del Mediterraneo in una distesa verde oliva e calda tanto che sembra di tuffarsi in una friggitrice in azione o la presenza di squali e balene che si spiaggiano attirati dalle proposte dei villaggi all inclusive. Supera tutti in fatto di stranezza la presenza di quella specie di mostro di Loch Ness avvistato al largo della costa cagliaritana da un turista italiano, l’unico che, inforcati gli occhiali, ha dato subito l’allarme. D’altronde c’è sempre qualcuno che, per primo al mondo, fa una cosa, il vero e unico pioniere, l’incontestabile precursore, ma fatta eccezione per il primo uomo sulla luna o cose di questo genere soventemente non gli viene riconosciuto nulla se non qualche pacca sulla spalla e strette di mano di congratulazioni dai testimoni più prossimi. Chi è stato il primo uomo ad accendere un apparecchio per la riproduzione di compact disc? Chi ha acquistato per primo al mondo una Fiat Stilo? Chi ha intuito per primo il potenziale del tartufo grattato sulle pietanze? Chi ha inventato il gesto delle corna a supporto delle canzoni heavy metal?

Il problema è che il turista di cui sopra aveva inforcato gli occhiali sbagliati ed è stato subito smentito da una famigliola toscana subito accorsa a valutare il pericolo. Non si trattava di una specie di mostro marino ma della vera novità dell’estate 2015: una diavoleria di surf a propulsione di acqua aspirata e sparata attraverso un tubo da una moto, una specie di sci nautico al contrario di cui però mi sfugge il nome e che non saprei descrivere diversamente. Anzi, si: il surfista sta in equilibrio sopra a questa tavola che sembra uscita da “Ritorno al futuro 2” e, sfruttando la potenza del getto che esce a tutta velocità sotto (l’acqua viene pompata dalla moto e mandata tramite tubo), compie acrobazie in aria, si tuffa e risale per ripetere le sue evoluzioni ad libitum.

Da lontano però vi giuro che sembrava proprio un serpentone, sarà che mi ha fatto subito venire in mente l’episodio dedicato al mostro di Loch Ness di uno dei pilastri del mio background culturale, ovvero “Storia e gloria della dinastia dei paperi”, che poi era un mostro meccanico progettato da Archimede per sottrarre beni a chi sostava sulle rive del lago scozzese e tenere i curiosi alla larga dagli averi di Paperone. Ma non è tutto. L’allucinazione sulla riva unita a una pizza oltremodo pesante poco più tardi mi ha generato un mostro ben più spaventoso: la notte ho sognato proprio un gigantesco drago marino che, uscito dall’acqua, si lanciava nella caverna a riva in cui io con la mia famiglia e alcuni amici di vacanza stavamo campeggiando. L’epilogo però ha reso giustizia al sottoscritto: il surfista e il pilota della moto, ancora intenti il giorno successivo in queste evoluzioni troppo a ridosso della riva con l’evidente obiettivo di pubblicizzare l’ennesima stronzata per attirare turisti e spennarli a dovere, sono stati infine avvicinati dalla Polizia costiera e giustamente multati per aver causato un incubo mica da poco a un turista dalla digestione delicata.

corsi di laurea dell’università della strada, sessione estiva

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La focacceria, l’all-you-can-eat cinogiappo, il baretto all’angolo, il kebabbaro, la piadineria, i piatti pronti dell’Esselunga, l’altro bar di fronte, il nuovo posto che fa gli hamburger. Undici mesi di nutrizione approssimativa si vedono tutti sotto la maglietta di Batman mentre si vaga nel quartiere vuoto alla ricerca di qualcosa di aperto. Si notano perché il dodicesimo mese, che è agosto, c’è poco di interessante da fare e da vedere rimanendo in città, allo stesso modo in cui i telegiornali si allineano al mood che Studio Aperto invece segue tutto l’anno. I colleghi salutisti che principalmente si portano il cibo da casa si riconoscono anche parzialmente dalla forma fisica e sono loro i primi ad accusare un sistema economico che si interrompe per troppi giorni e così spesso, in occasione delle ferie estive e delle vacanze di Natale, come elemento che ci differenzia dai paesi del nord. Poi ci sono i figli che seguono le mamme al lavoro per non restare a casa da soli e, seduti alle postazioni libere a giocare con il pc, si distinguono a malapena dai colleghi più giovani che indossano bermuda e magliette in ufficio. Le porte chiuse celano invece gli amanti delle temperature estreme che mandano al massimo i condizionatori come pratica di mortificazione corporale. Ci sono compiti fondamentali da svolgere. Il back-up della posta, la pulizia del desktop, la copia sul server dei lavori, pratiche che sono la versione LinkedIn di bere molta acqua, non uscire nelle ore calde, consumare cibi leggeri. Ci si saluta tutti come se non ci si dovesse più vedere per anni, d’altronde è il minimo in un ambiente lavorativo in cui ci sono colleghe che, al rientro dal weekend, quello per il quale si sono augurate reciprocamente “buon uik” non più di 48 ore prima, si abbracciano come se fossero trascorsi decenni. In queste dinamiche quelli che non amano le smancerie scappano al volo l’ultimo giorno fingendo un treno da prendere o un aereo che si sta per perdere per evitare l’appuntamento annuale dei baci sulla guancia a persone che, per il resto del tempo, schifano nemmeno fossero infette da malattie contagiose. Anche il tempo perso dà un senso di perdita differente perché tanto, se è vero che si ferma l’economia, la pennichella in più non aumenta certo il debito pubblico. Poi arriva il punto più nero, il segnale che più in basso di così non si può scendere: persino la portinaia va in vacanza e il palazzo resta sempre chiuso, a sottolineare chi occupa veramente il piano terra della società contemporanea.

nord chiama sud

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Mia figlia, che per la prima volta nella sua – e di conseguenza mia – vita si trova in Scozia per un paio di settimane full immersion di lingua inglese, al telefono mi dice che sta grandinando. Potrebbe trattarsi di un dettaglio che va a finire immediatamente nel contenitore in cui giacciono alla rinfusa tutte le cose che dal sud del mondo desideriamo del nord e viceversa. Orde di gente dalla pelle trasparente che firma carte false pur di riempirsi di eczemi con quello che rimane del clima mediterraneo da una parte versus qualche sparuto romantico dalla pelle olivastra, certo lascito di qualche infiltrazione saracena avvenuta senza andare tanto per il sottile nei confronti di qualche mia antenata in qualche secolo addietro, che sogna la gioia della malinconia perpetua dovuta a condizioni meteo generose in quanto a variabilità. Proprio come in Scozia e comunque a quelle latitudini lì. Mentre ogni anno in estate qualche burlone aumenta di una tacca il manopolone della temperatura media in posti già poco accoglienti per afa e zanzare come la pianura intitolata al dio Po, il canale diretto tra settentrione e meridione dell’Europa si ravviva di scambi di genere umano e, in via del tutto eccezionale, quest’anno anche di un vivace battibecco su chi debba pagare cosa o quanto non restituire a certi Paesi a quanto si dice poco virtuosi ma, di certo, con un senso della democrazia piuttosto sviluppato. C’è chi sostiene che chi non ha voglia di lavorare per il caldo passa il tempo un po’ come preferisce. Sta di fatto che, referendum o no, noi europei siamo una cosa unica checché se ne dica. Una faccia una razza ma non ditelo a quelli alti e biondi e civili del nord che a noi, sbruciacchiati in questa enorme terronia canicolare, non ci vuole proprio copiare nessuno. E invece chi la pensa così sbaglia di grosso. C’è un cantante producer e chissà cosa norvegese, un certo Erlend Øye e si, avete ragione, è proprio la metà dei Kings of Convenience, che si è dilettato a interpretare “Estate” di Bruno Martino, uno dei brani più invernali di tema estivo e infatti spesso equivocato. L’estate di Bruno Martino infatti finisce ancora prima di iniziare, annegata nel dolore esistenziale. Erlend Øye lo ha capito molto più di noi, a dimostrazione che il ponte tra nord e sud è sempre frequentatissimo in un senso e che, in cambio, siamo pronti con i bagagli in mano per emigrare in posti più civilizzati. Almeno più operosi perché fa più fresco e, talvolta, grandina.

col calcio si può diventare biliardari

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Con l’approssimarsi dell’estate diventiamo un po’ tutti meno intransigenti, abbassiamo le barriere, osserviamo con occhi diversi le cose e cerchiamo di entrare nel mood della pausa che ci aspetta. Forse è per questo che, proprio con la bella stagione e il caldo, ammesso che arrivi, quell’oscura entità che sappiamo esser sempre all’erta per colpirci quando abbassiamo la guardia nel gusto e, soprattutto, nel portafoglio, è pronta per scatenarsi e colpirci ogni anno con qualche nuova subdola operazione. Non mi riferisco solo ai tormentoni musicali e alle offerte urlate negli spot televisivi che poi, sappiamo tutti, alla fine c’è il trucco. Pensate a uno degli ennemila spot di Pif che è tanto caro e simpatico ma che, a furia di vederlo ogni due per tre con il telefono in mano, inizia a rompere i maroni. A me vedere gente che getta in acqua uno smartphone da centinaia di euro o lo fa saltare in aria con il tiro a volo o lo fa cadere sotto la pressa dell’asfalto, anche se è uno scherzo da Carosello, un po’ mi fa venire da prudere perché è vero che se sei sgamato alla fine lo smartphone nuovo te lo paga la compagnia telefonica, ma davvero con questo continuo usa e getta di tecnologia di dispositivi elettronici non so dove andremo a finire. Io ce l’ho il mio smartphone da qualche centinaio di euro. L’ho finito di pagare a rate il mese scorso e me ne guardo bene dal cambiarlo almeno per i prossimi cinque anni, figuriamoci a rottamarlo.

Nel filone invece dei mai più senza, che poi uno si chiede davvero quanto manchi alla fine della nostra civiltà, ci sono le copertine colorate per le macchinette del caffè. E se già inorridite a vedere gli animali con i vestitini addosso, figuriamoci un elettrodomestico con il quale, volendo, ogni volta potreste giocare come si giocava a mettere togliere mettere togliere gli abiti della Barbie. Non ho idea del prezzo, sicuramente saranno alla portata di tutti, eppure da quando ho visto la pubblicità la prima volta vi assicuro che le Pixie Clip hanno scalzato al primo posto degli oggetti che contraddistinguono il declino dell’occidente la sigaretta elettronica. Direi anche la Smart, ma da quando ho scoperto che una collega ne possiede una evito di fare altre brutte figure anche perché, una volta, la collega mi ha dato pure un passaggio e il passaggio me lo sono preso (ciao Stefi).

Poi vabbe’, ci sono il top dei top delle esagerazioni per il divertimento di massa che man mano che l’umanità a quanto pare ha sempre più voglia di ridere (e che cacchio avremo poi tutti da ridere) c’è qualcuno che, a ridosso dell’estate, ne pensa una più del diavolo. Ricordate le palle trasparenti in cui ci si va dentro e si può camminare sull’acqua? Non vorrei sbagliarmi ma ne esiste anche una versione con la quale si gioca pure a pallone, ogni giocatore chiuso in una sfera di non so cosa. Bene, quest’anno c’è qualcosa di più esilarante. Signore e signori, ecco a voi in esclusiva per l’Italia il calciobiliardo, “un’assoluta novità destinata a riscontrare un enorme successo anche in italia come in America in cui è stato da poco sperimentato con enormi riscontri.” Ci si vede l’estate prossima.

avere il terzo settore contro

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Dal giardino di qualche villa privata qui intorno giunge copioso un profumo che ricorda quello di una macchia più meridionale con quel misto di eucalipto, liquirizia, menta e chissà quali altre specie vegetali. Un gioco a premi su questa attitudine olfattiva a discernere ogni singola essenza da un insieme sarà già stato inventato e avrà fatto la fortuna di qualche autore di programmi televisivi. In ambito sapori oggi c’è pieno di cose del genere, forse l’odorato è un senso di serie B e non attira introiti pubblicitari, anche se sono certo che proposta a qualche multinazionale di prodotti di bellezza si tratta di un’intuizione in grado di suscitare l’interesse che merita. Comunque la peculiarità di tutto questo è che ci troviamo nel quartiere Città Studi di Milano, ben lontani dalle coste della Sardegna dove il profumo della macchia non ti dà tregua. Sono in visita nella sede della fondazione del momento, quella di cui parlano tutti costituita da operatori che si occupano di fornire help desk culturale alle persone che, in estate, sono costrette loro malgrado alla città forzata per tutti i problemi che la gente in questa epoca di recessione può soffrire. Mancanza di risorse ma anche, e soprattutto, solitudine. Uno dei coordinatori mi fa notare che nella stessa scala del loro centro operativo vive una ex starlette dei programmi Mediaset, una specie di modella olandese che ha trovato successo in Italia e che non è difficile incontrare a spasso sulla sua bici con i freni a bacchetta. Ma si tratta solo di una delle poche distrazioni che i volenterosi ragazzi lì dentro si possono permettere. Lo scopo, d’altronde, è nobile. Con il caldo e le vacanze c’è poco da fare se sei costretto a stare chiuso in casa. Dopo un po’ anche la tv a pagamento ti stufa, non c’è nemmeno l’ombra (che con questo clima torrido non sarebbe per nulla sgradita) di musicarelli sulla tv pubblica e di tutta la pubblicità di impianti di condizionamento sui canali privati ne hai le palle piene. Ma anche l’Internet non se la passa bene. Blogger e influencer sono al mare e i loro siti languono privi di novità succulente, il palinsesto dei portali di informazioni lo si conosce a menadito tra i consigli su come ripararsi dalle temperature elevate, qualche episodio di cronaca nera, l’esodo e le partenze intelligenti, animali abbandonati e tutti i numerosi tormentoni sfruttati al massimo per ogni tipo di gadgettistica intellettuale. L’intuizione nobile è stata proprio quella di un impegno volontario a scrivere contenuti che possano occupare il tempo di chi non riesce a fare a meno di stare con il pc acceso. L’operatore che si è prestato all’intervista mi descrive la rubrica che cura in prima persona su uno dei principali quotidiani nazionali che riguarda le tendenze con cui ciclicamente si commentano gli interventi altrui sui social network. In estate il pubblico è nervosetto, mi dice, quindi meglio assecondare sarcasmo e provocazione. Hanno comunque la fortuna di ricevere sovvenzioni da alcuni gruppi editoriali, da blogger molto in vista e hanno il supporto tecnico di una delle più diffuse piattaforme di publishing. Fanno persino le veci di alcuni autori molto cliccati postando per loro durante il periodo di ferragosto. Ed è a quel punto che gli faccio notare che un servizio di blog-sitting più articolato potrebbe essere un ulteriore sviluppo remunerativo per la fondazione. Probabilmente non ha gradito il mio commento, si è sentito sminuire la sua attività o comunque ha frainteso quello che volevo dire, fatto sta che è in genere è meglio che certe cose le tenga per me.

né Kim Ki Duk, tantomeno Vivaldi

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So quello che pensate quando sentite un neonato piangere inconsolabile in un luogo pubblico e affollato: che il mondo è pieno di neo-mamme inadeguate. Bene, siete fuori strada e il vostro metro di giudizio è stato erroneamente influenzato dall’età della madre che sembra non saper come porre fine a quella situazione imbarazzante più per noi che per lei, che in quando donna e di età tanto giovane da poter essere celebrata in una canzone degli Specials – vi ricordate “Too much too young” quando dice “Now you’re married with a kid when you could be having fun with me”- ha tutto il diritto di vestirsi sportivamente succinta come fanno tutte le altre sue coetanee, che di prolificare non passa loro nemmeno nell’anticamera del cervello. Probabilmente l’essere seminuda non è il massimo della pudica comodità se devi chinarti, accucciarti, muoverti e allungarti per i reiterati tentativi di far cessare le lacrime filiali, pulire nasi e menti, sostituire pannolini e raccogliere ciucci. Ma il pregiudizio pervade l’opinione pubblica quando non ha di meglio da fare, d’altronde è l’estate stessa a non offrire granché. Siamo tutti per aria, ormoni compresi, e non perdiamo occasione per far notare l’insostenibile leggerezza del disordine esistenziale e professionale dei mesi a ridosso delle ferie rispetto al rigore – in tutti i sensi – e al metodo che ci si impone con la brutta stagione. I figli vanno a scuola, svolgono le loro attività – sportive e non – nel tempo libero, fanno i compiti. Ci sono orari da rispettare e ogni cosa ha un suo posto. C’è il buio prematuro che mette fine a ogni velleità sopra le righe. A luglio è tutto strano e disarticolato, ci sono persone che si portano in ufficio le selle delle bici perché nell’era dell’interoperabilità va di moda il furto di componenti da riciclare altrove. E volete sapere di chi è la colpa di tutto questo? La colpa è di Bruno Martino, che non è vissuto abbastanza a lungo da scrivere una canzone altrettanto adeguata per l’inverno. Pensate quante citazioni in più ci sarebbero su Facebook. Ma se siete in vena di frasi trite e ritrite da dedicare ai vostri contatti, siete sempre in tempo a riscoprire l’opera più celebre di Antonio Vivaldi, che dicono essere strumentale.

Milano, Nebraska

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Le cose stanno così: vedi una ragazza carina che legge Internazionale e vorresti dirle che è bello vedere persone che leggono Internazionale, vedi una ragazza carina che rompe gli indugi su quale opuscolo scegliere in un chiosco improvvisato da una setta religiosa, prendendo quello intitolato “Sopravvivere al dolore”, e non ti viene nemmeno da commentare. Sembra pure intelligente ed è vestita con un tailleur manageriale così le creduloneria scaramantica con l’occidente industrializzato cozzano oltremodo. Il pregiudizio si completa con l’associazione automatica tra i settimanali di informazione di sinistra e l’intelligenza, l’impegno e la serietà, anche se poco dopo vedi la rivista riposta in borsa che ha lasciato spazio a una mano a 2048.

Ognuno dedica attenzione a quello che crede, noi osservatori dovremmo invece smetterla con l’affibbiare etichette a cose e persone, c’è da dire però che il tempo per attraversare da una parte all’altra quell’enorme spazio in cui convogliano tutti gli ingressi alla stazione della metro di Porta Venezia non è poco, e qualche riflessione antropologica ci sta tutta. Gli uomini vestiti business con i sandali, per esempio, quelli di mezza età con le bermuda in jeans ricavate da un pantalone passato di moda con il taglio sfilacciato o, peggio, con il risvoltino sopra il ginocchio, le fantasie hawaiane sui quadretti multicolore, madri con i nomi dei figli tatuati sulle braccia, i soliti corpi di ballo improvvisati che si esercitano nelle coreografie di gruppo seguendo le istruzioni di quello che sembra il più coordinato di tutti e io che non capisco mai se sono ragazzi sudamericani o asiatici, il che è problematico.

Poi mi ferma un vecchio che sembra uscito da Nebraska – il film – con lo stesso stato confusionale che mi ricorda quello di mio papà prima che il male gli facesse dimenticare tutto, e mi chiede come si esce da lì sotto con la stessa espressione delle persone anziane quando fuori ci sono quaranta gradi anche se oggi ce ne sono a malapena venti. Gli faccio notare infatti che fuori piove a metà, c’è proprio il confine lì sopra, in linea con le geometrie del quadrilatero della moda che ha un lato in Corso Buenos Aires. Prima che scendessi lì di qua c’era il sole e qualche nuvola, di là, proprio da dove l’uomo vuole tornare in superficie, c’è l’apocalisse. Io ho un ombrello Ikea di quelli che non gli daresti due lire ma alla fine sono gli unici che non si rompono mai, e penso che potrei anche lasciarglielo tanto sto per infilarmi su un treno per tornare a casa, ma non è mio, l’ho preso in ufficio e ho promesso di restituirlo il giorno dopo. L’uomo mi dice che pioveva anche prima (ma prima quando?) e si allontana lasciandomi un po’ in ambasce.

Mi arrendo così all’idea che non è che tutti siamo sprovveduti, è che tutti ci inventiamo preoccupazioni che non servono. Pensate solo alle ragazzine che girano tenendo in mano smartcosi da centinaia di euro, magari passa uno di corsa e se li porta via. Ma nessuno sembra farci caso, né a loro, né ai ballerini che si muovono su una musica che non c’entra nulla con l’hip hop, né al chiosco dei testimoni di chissà chi e nemmeno a me. Il vecchio di prima, nel frattempo, chiede la stessa informazione che gli ho appena dato io a qualcuno di più rassicurante. Forse quello spazio è troppo grande anche per me.