la lista definitiva delle auto più in voga tra gli anziani (me compreso)

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Una delle più note e storiche riviste nazionali dedicate al mondo dei motori e alle quattro ruote (metonimia che mi guardo bene dallo scrivere senza lo spazio nel mezzo proprio per evitare querele o qualunque rimostranza dai diretti interessati) ha pubblicato la classifica definitiva delle auto più in voga tra gli anziani. Ci vuole poco e potete farlo anche voi in auto-nomia (questa è sottile ma spero l’abbiate colta tutti, vero? Dai, ho messo persino il trattino proprio per far notare la battuta), basta mettersi sulla strada oggi che è domenica e, armati di una qualsiasi app oppure del vecchio sistema della carta e penna, contare quanti e quali modelli vedete che rallentano il traffico e il gioco è fatto.

Certo, un esperimento più completo comporterebbe una casistica anche del sabato, quando coppie di veterani della patente già dalle prime ore del mattino si cimentano nella guida verso la società giovane e dinamica che si gode a tutta velocità il meritato giorno di riposo.

Comunque, per farla breve, anch’io mi sono messo a compilare questa sorta di statistica e vi dico che le auto più in voga tra gli anziani sono le intramontabili Fiat Punto, le Ford di qualsiasi foggia e colore, la nuova Citroen Picasso di quel giallo oro che, vista all’alba, è facile scambiarla per il sole che sorge e, a prova che tra gli anziani mi ci metto anch’io, la mia auto preferita che è la Volkswagen Touran grigia, che appartiene a una fascia di prezzo superiore alle altre (non a caso non me la posso permettere almeno fino a quando non riuscirò a trarre qualche profitto da questo blog, ma se continuo a farcire i miei post di tutti questi incisi tra parentesi dubito che a qualcuno gli venga voglia di investire nella mia perizia di scrittore) e infatti gli anziani che se la comprano oltre a essere più abbienti degli altri e di me sanno per certo che si tratta di una vettura per sempre, sapete quello che si dice sulla tecnologia tedesca (e questa, inutile dirlo, è una captatio benevolentiae bella e buona per i social media manager della Volkswagen, che possono rintracciare il mio post e segnalarlo ai loro datori di lavoro, non si sa mai che ci esca una sponsorizzazione con una Touran anche usata, non è un problema, potrebbe però essere una strategia di street marketing vincente).

Detto ciò, e spero di non aver offeso nessun proprietario delle auto citate o qualche giovane che, invece, ha acquistato una di queste proprio per sentirsi giovane, a chi non è mai capitato di aver fretta e di trovarsi un ottantenne a bordo di una Punto, una Ford qualsiasi, una Picasso color oro o una Touran davanti ai quaranta all’ora? Mentre i giovani si sfidano a battaglie di arrivo prima io al casello, e so per esperienza che c’è gente che va persino alle mani per lavare onte di questo tipo, mentre i padri di famiglia anziché lavare le onte lavano i loro SUV agli autolavaggi di periferia, mentre le giovani maestre elementari trovano parcheggio ovunque con le loro Smart (ciao Stefania), i futuri anziani come me che fanno le cose che si fanno in macchina il sabato mattina sono costretti a rallentare il loro piano di cose da fare il sabato mattina proprio a causa delle Punto, della Ford qualsiasi, delle Picasso color oro o delle Touran con coppie di anziani a bordo che si trovano a quaranta all’ora sullo stesso tragitto.

A me piacerebbe così accelerare, superare l’auto che va ai quaranta all’ora in questione, costringere l’ottantenne a fermarsi, scendere dalla macchina, chiedergli di abbassare il finestrino e, in modo molto pacato, spiegargli che non dovrebbe andare così piano, che a Milano c’è un sacco di gente che va di fretta e che lo so che è sbagliato ma che purtroppo è così. Gli direi che dovrebbe pensare di più agli altri, a quelli che è facile scorgere in coda dietro di lui con una semplice occhiata verso lo specchietto retrovisore, che mettersi in mezzo e non lasciare spazio è un comportamento che non va bene perché è un po’ egoista e capisco tutto, anche che è bello prendere la macchina il sabato e la domenica mattina ma diamine, durante gli altri giorni della settimana quando le strade di periferia come quelle sono deserte perché alle dieci del mattino siamo tutti al lavoro non è forse meglio organizzarsi per concentrare lì tutte le scorribande a quaranta all’ora e, al massimo, rallentare i mezzi che puliscono le strade?

constatazione amichevole

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I testimoni oculari sono pronti a confermare la loro deposizione, qualora fosse necessario. Il signore con il completo blu è uscito in retro dal parcheggio al volante della sua Fiat gigantesca (quella specie di furgone che spacciano come fuoristrada) e ha agganciato con il paraurti quello della Chevrolet a fianco che, per un curioso sistema di pezzi agganciati e saldature varie, ne è uscita scorticata come un crostaceo a cui cade l’intero carapace. Il proprietario della Chevrolet – o di quello che ne è rimasto – è uscito di corsa dal bar in cui degustava un marocchino e una pasta alla crema e ha inveito decisamente in eccesso nei confronti del signore con il completo blu che, sgomento dal danno provocato, sembrava esitare in una sorta di trance dentro l’abitacolo della sua Fiat. Fino a quando è sceso, si è lasciato travolgere da una valanga di insulti dalla controparte dall’alito intriso di colazione, quindi si è voltato a osservare la campana della chiesa di fronte anche se non suonava, ha estratto una rivoltella di piccolo calibro da sotto la giacca del completo blu e si è sparato alla tempia, rimanendoci sul colpo. Io sono tra quelli che si sono chiesti se l’assicurazione paghi lo stesso l’automobilista danneggiato in questi casi. Ma ai carabinieri, intervenuti in tempo record, sono state riferite le più disparate interpretazioni, anche se non ce n’era bisogno e i fatti erano abbastanza incontestabili. Il mondo è pieno di persone convinte di essere i depositari della verità sulle macro-questioni decisive come la religione, la guerra e la pace nel mondo, l’ambiente e perché la gente pone fine volontariamente alla propria vita. Nulla di paragonabile a chi va divulgando l’algoritmo che spiega le code in autostrada: basta uno che fa una frenata, quello a fianco suona, rallenta e si mette a guardare, la macchina dietro mette la freccia per uscire verso l’Autogrill e il gioco è fatto: dieci km di mezzi su gomma di ogni foggia si bloccano formando il serpentone più odiato della storia che separa gli ultimi della fila svariate ore dal rientro domestico. Ma per farvi capire quanto mi ha sconvolto la cosa, sappiate che poco dopo ho rischiato di fare il pieno di diesel a una macchina a benzina. Ho estratto anche io la pistola, ma quella della pompa self service che era già in piena erogazione dentro al serbatoio, perché mi era sembrato di aver commesso uno degli errori più fatali della storia dell’umanità: sbagliare il rifornimento di carburante a quattro ore di distanza da casa di un’auto che non è la tua.

in effetti, visto il colore e la forma, potrebbe essere una zucca sottoposta a tuning

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Non so se vi è capitato di leggere qualche giorno fa la mia storiella sulle automobili, che uno può pensare che sto raschiando il fondo del mio barile esperienziale per portare avanti questo blog se ho parlato persino di due delle varie macchine che mi hanno accompagnato fino a qui, e perdonate anche questo tono da grande intrattenitore come se fossi uno di quei anchorman televisivi o un Letterman da venticinque ascoltatori. Così vorrei tornare sull’argomento (quindi fate in tempo a cambiare su rai 5 che ci sono le repliche di Letterman sul serio) perché manco a farlo apposta poco dopo aver scritto quella cosa lì sono entrato dopo dieci anni in una concessionaria. Non stupitevi di questo sesto senso che parlo di una cosa e poi succede, sono un po’ paragnosta e non sono storie. Quando c’è stata la scossa di terremoto, la settimana scorsa, l’ho percepita con ampio anticipo ma non l’ho detto a nessuno perché con il pavimento flottante in ufficio farei la figura di una mitomane qualsiasi. Comunque, mi era capitato di ascoltare l’audio di uno spot in tv, facevo dell’altro e così ho realizzato con una latenza da sistema operativo a 16 bit quello di cui si trattava. Intanto si parlava di automobili, e non c’era David Gahan che cantava “People are People”. E non mi è rimasto granché in memoria se non la marca, Opel, e un numero, anzi, una rata mensile: 99 euro. Senza interessi. Senza anticipo. Niente di niente.

Sembra impossibile, mi ha detto mia moglie. E io a confermarle che no, avevo capito bene. 99 euro senza interessi e senza anticipo. Ora, è vero che la nostra Picasso è un vero trattore, ci ha portato ovunque e non ci ha mai dato problemi. Ma i 120 mila km di cui parlavo qualche giorno fa ci sono tutti. Abbiamo cambiato la cinghia ma siamo nel pieno degli assestment, pardon, le revisioni un anno sì e un anno no. Nell’eterno alternarsi schizofrenico di “la cambiamo” e “non abbiamo i soldi”, quando si intravede una via di uscita all’indecisione ecco che ci si fa un pensierino. Così abbiamo fatto visita a un concessionario qui vicino per chiedere un approfondimento a conferma dello slogan facile con cui lo spot aveva acchiappato la nostra curiosità. Ma sapete come sono i venditori di auto, vai lì per chiedere una cosina e ti ritrovi a sgranocchiare un pezzo di croccante seduto alla loro scrivania. Loro inseriscono dati e variabili e tempi e condizioni di finanziamento e i loro sistemi gli restituiscono un foglio dove devi scendere fino all’ultima riga e capire se ci stai dentro o se sei fuori dal gioco o se, come fanno in molti, sei in grado di rischiare. Magari non mangi più ma ti muovi da casa all’Esselunga con 50 mila euro di gippone sotto il culo.

E loro, i commerciali, si schermiscono dicendoti che gli tocca la parte del poliziotto cattivo, ovvero quella di tarpare le ali di libertà dei clienti che arrivano lì con la speranza di spendere 99 euro al mese per una macchina e basta e che invece non finisce così. Perché intanto i 99 euro sono per un modello di auto che non è quello che volevi prendere tu ma è quello entry level. E soprattutto il finanziamento a tasso zero non è su tutto l’importo ma su una parte, alla quale occorre aggiungere un acconto, che per la macchina che ci interessava era di 8 mila euro, e una maxi rata finale, dopo i quattro anni a 99 euro al mese, anche quella piuttosto cospicua. “Ma di che vi preoccupate”, ci dice a quel punto il venditore, “c’è anche da tener conto della rottamazione dell’usato. L’avete qui?”, ci chiede. E a quel punto un po’ ci vergogniamo. Perché è parcheggiata lì fuori tra le macchine in vendita tirate a lucido. Per come l’abbiamo tenuta, i graffi, le ammaccature, lo specchietto retrovisore tenuto con il nastro adesivo, tanto che veniamo informati del suo valore e così torniamo a casa lasciando un poco convincente proposito di pensare all’offerta. Un’auto che costa più di 20 mila euro, ottomila alla firma del contratto, quattro anni a quasi 300 euro al mese di rate, il resto alla fine. Tutto a tasso zero, eh.

La morale della storia sulle automobili, e vi prometto che non tornerò più sull’argomento,  è che la spia “avaria motore” della Picasso che avevamo già fatto controllare e che è tornata ad accendersi, una volta risaliti in macchina non si è accesa più. Forse la Picasso ha pensato che volevamo liberarci di lei e ha finto di essere in salute. Ma non preoccuparti bellezza, pensavo di dirle. Sarai la nostra auto ancora per molto, almeno altri 120 mila chilometri.

120.000 km, uniproprietario

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Apprezzo la professionalità di un vero sales quando ci si siede ad un tavolo e si affrontano tutte le sfaccettature del business indipendentemente dal valore dello stesso. Una manciata di dollari o la maggioranza delle quote di una multinazionale, per la nerditudine commerciale a grandi linee non cambia di molto. Le tappe della vendita, che passano dalla proposta, alla descrizione a parole della stessa, alla contrattazione e alla persuasione dell’affare fino alla firma del contratto, sono le stesse per tutti. Con tutto il lato estetico ed emozionale e gli annessi e connessi, ciò che nell’immaginario cinematografico comprende l’offerta del sigaro, i piedi sulla scrivania, la PNL non però in caso di piedi sulla scrivania perché dipende dall’altezza dei contraenti, lo sfoggio di segretarie provocanti che portano il caffè e via dicendo. Uno dei pochi lati positivi della crisi economica è quello di aver fatto saltare i nervi ai falchetti da quota, spero apprezziate il calembour, quelli belli aggressivi che devono raggiungere un tot in un tempo prefissato ma, cari miei, senza le palle e il sangue freddo e la pazienza non si arriva da nessuna parte.

I veri professionisti sono quelli che si attaccano a tutto pur di fare profitto, e non è assolutamente un giudizio etico. Ricordo ancora il concessionario che mi ha venduto la prima automobile acquistata con i miei guadagni, una Ford Escort SW blu usata, di quelle che ne sono state vendute a milioni in Italia, era impossibile fino a qualche anno fa guidare qualche chilometro in autostrada senza individuarne almeno un paio di esemplari. Lui, il venditore, lo chiamavamo Acefalo per via delle sue doti intellettive che manifestava al di fuori del contesto del registratore di cassa del suo autosalone di provincia, un lessico famigliare che riassumeva altresì tutte le perplessità di mia moglie e mie riguardo al suo successo con le donne, dato che gestiva in modo piuttosto spregiudicato un menage alternato con due compagne entrambe consapevoli della dicotomia relazionale, il tutto con l’aggravante di un figlio avuto da una terza donna precedente alle due e sparita chissà dove. Avevo tampinato Acefalo per alcuni mesi perché volevo essere sicuro di fare un affare, acquistare un’automobile al meglio delle condizioni e al prezzo più basso possibile, uno dei principali paradigmi della nostra società in caduta libera. Acefalo sopportava il mio pressing solo per il trait d’union, quel mio cognato lazzarone che poi ha truffato me e la mia famiglia dell’unica casa di proprietà, e so che penserete per quale motivo uno debba rendere pubblici i cazzi propri in questo modo e la risposta non è semplice e sarà un capitolo a sé stante.

Comunque, ricordo come se fosse ieri il nostro Acefalo seduto alla sua scrivania, mia moglie ed io dall’altra parte della stessa, e lui che abilmente dirottava la conversazione e le decisioni che ne sarebbero derivate privilegiando, come da manuale, le istanze della mia consorte. Mimando con le mani il gesto dell’iscrizione su stele delle ragioni sapienti che lei sosteneva, cosa che io faccio quotidianamente, sia ben chiaro. Una mano che impugnava un martello invisibile e l’altra uno scalpello inesistente e una lastra di marmo su cui andava a comporsi il successo di quella trattativa. Il cui valore non avrebbe poi superato i tremila euro, e che a posteriori mi sono chiesto quale potesse essere il senso di dedicarci così tanto tempo, così tanta energia, e una enfasi così marcata mentre al di fuori di quel gabbiotto c’erano fior fior di evasori totali che intestavano fuoristrada e berline da decine di migliaia di euro sulle spalle di società ma a uso e consumo di fine settimana trascorsi a lavarle negli appositi esercizi self service.

L’operazione di vendita comprese anche una fase di passaggio di consegne, un vero e proprio indottrinamento sul come si conduce una sedici valvole che è meglio tenere sempre con le marce alte anche se non si va forte. Lui che guidava nei dintorni di quel capannone di periferia e mi faceva il gesto di stare in silenzio, aguzzare l’udito e sentire le variazioni del borbottio del motore, quella che doveva diventare la mia principale preoccupazione non appena ne fossi diventato il proprietario con tutti i crismi. Finì che mi consegnò le chiavi come se mi avesse appena messo a disposizione la verginità di una minorenne. E devo dire che poi non è andata male, la Escort ha fatto la sua parte con dignità e se non fosse per i consumi mostruosi e anacronistici l’avrei tutt’ora.

Perché a un certo punto sono passato a una Xsara Picasso bifuel, scelta proprio per tagliare i costi del carburante e per avere a disposizione un portabagagli più consono a cose come passeggini, carrozzine, biciclettine e monopattini. Insomma ci siamo capiti. Ero riuscito a vendere la Ford a 1.600 euro a un idraulico di Quarto Oggiaro che per pagarmela in contanti aveva estratto dalla tasca dei calzoni un rotolo in cui ci saranno stati almeno ventimila euro in pezzi da cento, duecento e cinquecento. Lui aveva una BMW e mi disse che le collezionava, e la mia Ford Escort sarebbe servita ai suoi aiutanti come mezzo di lavoro per le trasferte sul territorio.

E l’aspetto interessante di tutto questo è che al momento dell’acquisto di questa vettura che possiedo tutt’ora, questa volta nuova di pacca, scelta appositamente color auto sporca in modo da non essere costretto a vergognarmi per la mia sciatteria, al momento della consegna c’è stato un altro individuo, probabilmente altrettanto acefalo di Acefalo, che dandoci del tu pur essendo palese il gap anagrafico ha descritto a mia moglie e a me nei minimi particolari tutte le funzionalità di una macchina poco più che entry level, come se ci fossimo trovati nell’abitacolo dello Shuttle. Ma questo è forse ciò che i più definiscono metter la passione nel proprio lavoro, l’impeto che trattiene i rappresentanti di aspirapolveri dal suicidarsi, i giovanotti azzimati nelle sale dei medici generici di paese nel restare convinti dei principi attivi contenuti nelle loro borse in finta pelle tra anziani che fanno a gara a chi ce l’ha più grave, alle impiegate degli uffici amministrativi che consumano il pranzo in ufficio perché nel raggio di chilometri e chilometri dal lavoro non c’è nemmeno un bar gestito da cinesi, che loro con tutti il cash flow che hanno a disposizione gli investimenti li fanno in centro e poi delle Escort e delle Xsara Picasso non sanno proprio che farsene.

suvvia

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Io poi questa cosa delle automobili proprio non l’ho mai capita. Cioè, capisco che l’uomo abbia un enorme attaccamento innato al proprio mezzo di trasporto, e penso all’uomo e al suo cavallo, al suo asino, l’animale che gli allevia la fatica del lavoro ma soprattutto dello spostamento fisico, l’animale che gli permette di macinare chilometri senza sforzo. Perché la velocità in fondo è potere, l’idea dromocratica che controllare fisicamente posti distanti sia in qualche modo affermazione e presenza sul territorio, la condizione più prossima all’ubiquità, il sogno dell’umanità intera vecchio quanto il genere umano stesso. E chiaramente maggiore è la velocità, più elevato è il potere di sorveglianza. La visione del chi tardi arriva male alloggia, appropriarsi per primi sugli altri, chi lo sa. O comunque, se il tempo è denaro, meno ne perdi per gli spostamenti meglio è. Continua a leggere. (da Alcuni aneddoti dal mio futuro del 25/08/2011)

Disclaimer: in estate chiunque si barrica dietro un autoreply di chiuso per ferie e mette in sua vece un ologramma giusto per tenergli caldo il suo centimetro quadrato di spazio on line per il ritorno. Sapete, di questi tempi meglio non lesinare in sicurezza, i posti si fanno presto a perdere e mettere un surrogato di sé stessi può essere una strategia vincente. Così noi che apparteniamo a una sottospecie di categoria di esodati ma solo perché abbiamo preso parte come milioni di altri alle partenze molto poco intelligenti, ma allo stesso tempo non vogliamo che vi dimentichiate di noi, abbiamo pensato di pubblicare in questo periodo di vacanza qualcosa di già edito, nostro o altrui, o qualche pezzo a cui siamo particolarmente affezionati. Ciò non toglie che l’ispirazione, dai mari della Sardegna, faccia capolino di tanto in tanto.

più di due anni di lavoro

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È appena terminato un programma mattutino su Rai Uno dedicato alle automobili, una vetrina patinata delle prove su strada, virtù, confort e optional delle vetture attualmente in commercio con tanto di analisi comparata. Tralascio il motivo per cui il vostro sia stato sottoposto alla visione e perché mi trovassi in presenza di un apparecchio televisivo acceso alle 8:30 del mattino, non vogliatemene, non sono a casa mia. In realtà l’escamotage per lasciar passare in secondo piano quello che mi ha spinto a una riflessione terra a terra, quelle che ti vengono appena sveglio e confuso dal metterti in moto – è proprio il caso di dirlo – per la nuova giornata anche se è un giorno festivo, dicevo l’escamotage pensato dagli autori del programma è mostrare borghi e paesi incantevoli, oggi eravamo in Toscana, lungo lei cui strade e vie i conduttori al volante ci espongono la loro recensione. Potete immaginare l’oggetto della mia riflessione terra a terra, ovvero il costo della Fiat Freelander, della Range Rover o dell’Audi e non ricordo l’auto oggetto del test, prezzi a partire da 30 mila o 35 mila euro ma che per il modello utilizzato per la trasmissione, con tutti i crismi e gli accessori del calibro del filtro anti-polline, arrivano a 50 mila euro. La conduttrice snocciola le cifre da listino come se fosse una cosa normale, e magari poi lo è, ditemi voi, e addirittura pronunciando 50 mila euro mi ha fatto pure l’occhiolino, ne sono sicuro. No, perché poi passi dalle immagini del programma alla splendida cornice, quella che contiene le immagini e cioè la tv, oltre la quale ci sono ambienti modesti e persone con stipendi normali, allarghi il quadro e passi al dettaglio della prima pagina di un quotidiano sul tavolo che dice che un italiano su tre taglia le vacanze. Continuiamo questo gioco di immaginarci con una telecamera in mano, e zoomiano fino a fuori di qui, e riprendiamo edifici più o meno popolari abitati da famiglie con figli già grandi e impiegati in questo o quello stage a quattro o cinquecento euro al mese. Mentre dentro la splendida cornice, sempre quella della tv, siamo riusciti a catturare un fermo immagine, quello in cui una cifra, 50 mila euro, campeggia su un’automobile di lusso lanciata lungo le strade della campagna toscana. Ora va bene che uno accende la tv proprio per allontanarsi il più possibile dalla vita di tutti i giorni, che poi non è vero perché ci sono quelli che usano il mezzo per avere maggiore contatto con quello che succede, ma mi sembra che il distacco dalla realtà ora sia davvero incolmabile. Forse è solo perché è Rai Uno, chissà.

suvvia

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Io poi questa cosa delle automobili proprio non l’ho mai capita. Cioè, capisco che l’uomo abbia un enorme attaccamento innato al proprio mezzo di trasporto, e penso all’uomo e al suo cavallo, al suo asino, l’animale che gli allevia la fatica del lavoro ma soprattutto dello spostamento fisico, l’animale che gli permette di macinare chilometri senza sforzo. Perché la velocità in fondo è potere, l’idea dromocratica che controllare fisicamente posti distanti sia in qualche modo affermazione e presenza sul territorio, la condizione più prossima all’ubiquità, il sogno dell’umanità intera vecchio quanto il genere umano stesso. E chiaramente maggiore è la velocità, più elevato è il potere di sorveglianza. La visione del chi tardi arriva male alloggia, appropriarsi per primi sugli altri, chi lo sa. O comunque, se il tempo è denaro, meno ne perdi per gli spostamenti meglio è.

Se sei ricco ti puoi permettere il mezzo più potente, il cavallo o l’automobile più veloce. In più c’è il fattore apparentemente identificato con la sicurezza. Cioè se oltre ad andare il più veloce possibile l’automobile mi garantisce la minore possibilità di rischio, tanto meglio. Il che si traduceva in prestanza fisica del cavallo, probabilmente, e oggi è reso con la robustezza e le dimensioni stesse del veicolo. Anche il confort, chiaro, gli optional, la sella e l’abitacolo. E la maneggevolezza, più facile da cavalcare o da guidare, ma se un tempo dovevi essere sufficientemente abile a domare un animale, oggi la forza non conta più, grazie al servosterzo, suppongo. Chiunque può possedere un Suv, sempre che se lo possa permettere, ovviamente. Anzi. E se il mezzo di trasporto fosse il completamento dell’individuo, l’ennesimo avercelo più grosso possibile. Più grosso non significa solo abbastanza imponente da spaventare gli altri. Ma si intende anche occupare più metri quadri possibili dinamicamente, nello spazio mentre si è in movimento. Mi sposto ma fai attenzione, guarda che sono sempre ingombrante, guarda che ho costantemente bisogno di questo territorio intorno sia che mi trovi qui, o lì, o laggiù.

Ma c’è un problema, proprio legato all’ingombro. Vi è capitato di vedere affiancate due automobili, una moderna e una di qualche tempo fa? E non mi riferisco a un Suv che sorpassa una bianchina, ma basta solo un’auto qualsiasi di quelle alla portata di tutti, una monovolume come la mia uovomobile parcheggiata vicino a una Fiat Uno, per esempio. C’è almeno un metro quadrato di superficie in più occupata. Se lo moltiplichi per il numero di automobili in circolazione, che magari dal tempo delle Fiat Uno è – boh – diciamo quadruplicato? Decuplicato? Prendi tutte queste auto e disponile insieme, una dopo l’altra, su questa autostrada, anche su tutte e tre le corsie che magari ai tempi delle Fiat Uno ce n’erano solo due. In più, aggiungici la variabile dei trasporti commerciali provenienti dall’est, persone con i loro tir che ai tempi della Fiat Uno non li lasciavano nemmeno uscire dal loro Paese, figurati dal patto di Varsavia, tantomeno per trasportare cose e merci nel cuore di Babylon.

Voglio dire, fa prestissimo a crearsi una coda costante e fastidiosa sul tragitto che devi compiere, lo stesso di cui io e la mia uovomobile siamo un piccolo trattino, l’anello più povero probabilmente di una catena di mezzi di trasporto euroquattro o eurocinque o eurovattelapesca. Una distesa di lamiere di lusso arroventate, il popolo dei cavalieri che portano chissà dove, con le loro scatolette di latta per le quali si sono magari indebitati, i loro cari prendendosene allo stesso tempo cura. Eccoli, i cavalieri con le loro macchinette aziendali da trenta o quarantamila euro che usano anche per andare in vacanza, tanto poi si consegna la scheda carburante al commercialista perché c’è un uso in percentuale promiscuo, si può scaricare. Si può scaricare. Ecco, anche questa cosa qui delle automobili io non l’ho mai capita.