how soon is Christmas?

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I gradi di separazione tra me e Johnny Marr sono solo due, c’è Fabio De Luca a farci da intermediario, pensate un po’. E via Polaroid, ecco una deliziosa strenna natalizia da parte del nostro ex chitarrista degli Smiths (e degli Electronic, non dimentichiamolo) preferito, un pezzo per le festività in free download. Jingle all the way!

cosa hai intenzione di fare, uomo bianco?

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E comunque in epoche come queste di rigurgiti nazionalsocialisti, destre estreme che spuntano come i funghi venefici, apologie di svastiche, tatuaggi del fuhrer, gruppi apertamente nostalgici e altri che nicchiano ma al secondo bicchiere sono tutti tesi con il braccio in aria, non c’è niente di meglio che una soluzione finale alla John Belushi.

incline al raddoppio

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Fa un po’ vecchio ragionare in lire. Anche se in molti sono lì pronti a denigrare l’euro ormai si tratta di una valuta abbastanza consolidata, saranno dieci anni no? Ma quando vedo con la coda dell’occhio il cartellino nell’ennesima vetrina in allestimento (apro una parentesi, come vedete: che poi uno pensa che quello del vetrinista sia davvero un mestiere redditizio visto che tengono aperti cantieri ovunque, tutte le vetrine sono in allestimento più che la fabbrica del Duomo e mi viene da entrare e offrirmi volontario per terminare per loro, anche senza compenso, quell’opera incompiuta. Ma se osservi bene ti viene da pensare quale sia poi la parte da terminare, sembra tutto a posto e vuoi vedere allora che magari quella della vetrina in allestimento è una dicitura che si mette così, l’ennesimo trucchetto per aggirare qualche normativa per i titolari di negozi? mi accingo a chiudere la parentesi) dicevo che con la coda dell’occhio vedo il cartellino di un prezzo nell’ennesima vetrina in allestimento. Il cartellino dice pantalone 150 euro. Fa un po’ vecchio, ma trecentomila lire io non le spenderei mai per un paio di calzoni, non è solo prima della moneta unica che me ne sarei guardato bene. E ci sarà di mezzo la svalutazione, il rincaro dei prezzi e tutti i motivi per cui se acquisti quei pantaloni, un paio di scarpe, una camicia e un golfino in quel negozio alla fine superi i due milioni di lire, e fai i paragoni perché quando hai iniziato a lavorare uno stipendio da due milioni al mese, che oggi si sono liofilizzati nei mille euro dell”omonima generazione, quando ho iniziato a lavorare io due milioni al mese era un signor stipendio. Quindi dovrei lavorare un mese per vestirmi da capo a piedi e senza nemmeno un ricambio che prima o poi dovrò lavare qualcosa no? O faccio come si faceva ai tempi dei nostri nonni, che lavavano la sera per avere asciutto la mattina e pronto da essere indossato, un vestito e va bene così. E sapete che cosa ci si comprava con trentamila lire nel 75? Una cosa di valore, nel 75, perché trentamilalire di allora erano quasi i 150 euro di adesso, il prezzo di quei pantaloni che ho appena visto in vetrina, peraltro di taglio oltremodo discutibile. E io ricevetti in regalo a Natale di quell’anno il Subbuteo, sotto l’albero, che già non me lo speravo più perché da quando avevo saputo quanto costava lo avevo cancellato dalla lettera a Babbo Natale. Costava proprio trentamila lire, guarda un po’, e quello è stato il Natale più bello di tutta la mia vita precedente all’introduzione della moneta unica. Non chiedetemi cosa sceglierei, ora, se potessi, tra il Subbuteo e un paio di pantaloni così glamour.

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Secondo i miei calcoli a oggi devo averlo fatto almeno 16.000 volte, non sono poche. E ogni volta che mi ripeto subentra la contrapposizione tra il ristoro che si prova e l’incognita di quello che succederà entro poco tempo, almeno si spera, con il sopraggiungere del sonno. Il coricarsi è una delle consuetudini più radicate nell’esistenza di ciascuno di noi, si tratta di un rito che seguiamo tutti ogni giorno in tutti i giorni della nostra vita, e lo faremo fino alla fine, anzi con probabilità sarà quella l’azione decisiva. Non a caso ogni sera, per chi come me rispetta in modo tradizionale il susseguirsi di luce e buio, ogni sera durante quegli istanti di veglia a intermittenza giacciamo vulnerabili e consenzienti nell’attesa di smarrire i sensi, fino a quando saltiamo dall’altra parte e come se niente fosse ecco che si ritorna in sé, basta un suono o un movimento o un digrignare di denti o un piede gelido addosso. Ma il fatto è che il tempo in cui si è stati privi di conoscenza in alcuni casi è lungo, anzi c’è chi consiglia di coltivare l’abitudine a rimanere fuori di sé anche a blocchi di otto ore. Per me resta un mistero il fatto che si aneli così fortemente a questa cessazione temporanea della ragione, una modalità di stand by con la lucina accesa che consuma ma che è sempre meglio lasciare così.

il conto, alla rovescia

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In realtà il calendario dell’avvento è la rappresentazione grafica di una sequenza di giornate lavorative in costante aumento di complessità e stress, un’escalation di attività urgenti miste a imprevisti inevitabili che si sussuegono come nauseabondi blocchi al sapore di rosolio obbligatori da ingurgitare per tradizione e i cui avanzi vanno ad accumularsi giorno per giorno nelle tasche delle micro-economie aziendali e che traboccano fino all’ultimo tra conti da chiudere, budget da confermare o esaurire, progetti da ultimare come se non ci fosse un domani e il primo giorno dopo le feste fosse un’incognita, un aprire la porta degli uffici il due gennaio magari anche in piena emicrania da sbronza e giuro che non farò mai più, disattivare l’allarme e trovare il nulla post-atomico e dover ricostruire il mercato da zero. Fidatevi di me e di tutti gli altri sopravvissuti alle tempeste di fine d’anno passate e alle deflagrazioni da tutto subito prima delle vacanze. Sappiamo che non è così. Il primo giorno lavorativo dell’anno prossimo ci ritroveremo tutti allo stesso posto, non temete, ci telefoneremo come al solito e ci chiederemo da dove ripartire, e vedrete che sarà tutto come prima che iniziasse questa discesa che ci avete costretto a correre, a piedi e con le mani piene di borse piene di regali per voi, che nel migliore dei casi ci precedete in automobile e ci ringraziate con un biglietto, e nemmeno personalizzato.

ferdinand soundsystem

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Sapete, vero, la storia dell’album di cover dell’LP Tonight dei Franz Ferdinand e dello scioglimento degli LCD Soundsystem, quindi mi limito a segnalarvi il video della cover di Live Alone dei primi eseguita dai secondi e dell’ottimo video realizzato con amene riprese urbane e tanto footage dal futuro.

attendere prego

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A446 that’s my number, mi viene da cantare appena ritiro il bigliettino dalla macchinetta, ma l’euforia della coincidenza con uno dei miei pezzi reggae preferiti si smorza quando mi rendo conto che la coda all’ufficio postale si preannuncia lunga. La cifra presente sul display relativa alla categoria A, pagare un banale bollettino, ha un valore inferiore al mio di trenta unità circa. Così indugio in un eccesso di ottimismo cercando una sedia vuota. Solo ottimismo, appunto: l’unica libera è illusoria ed è occupata da un tizio di una bassezza d’altri tempi che aveva lasciato il suo posto solo per porgere una penna a qualcuno in piedi. Torna seduto, la differenza tra i due stati si coglie solo nel piano orizzontale, non in quello verticale. Riprende il suo dialogo con il vicino, che ha un cappellino in lana dell’Inter calcato sugli occhi. Fuori si gela, dentro la concentrazione di corpi e il riscaldamento hanno favorito la diffusione di un microclima tropicale. Quello che era rimasto seduto risponde a una domanda che era rimasta sospesa in una parlata incomprensibile, ma chiude l’intervento dicendo “fa la quinta media”, al che deduco che si stava riferendo alla scolarizzazione che avrà il nipote, di certo più adeguata della sua, e che si esprime in un dialetto italiano strettissimo. L’altro butta un occhio sul suo numerino, e sta.

La signora al mio fianco che sa di lacca a basso costo, sarebbe sufficiente una sniffata sulla sua nuca per alleviare questa attesa con una dose di oblio, compone grazie all’ausilio del T9 un messaggio, “non mi sembra vero che non lo rivedrò più” e si ferma lì, con il pollice sospeso come se volesse concludere in qualche modo, lasciandomi in suspense. Il led da cui compare il carattere lampeggia, e mi chiedo quale possa essere il seguito, ma il testo che compone prima di confermarne l’invio mi disorienta. “Se ci penso mi viene il magone”. Che strano, avrei detto si trattasse di una manifestazione di appurata felicità e mi aspettavo un finale tipo “ora possiamo uscire alla luce del sole”, invece l’argomento è tutt’altro. Mi sporgo per osservare il volto dell’autrice che vedevo solo di spalle, e una ragazza vicino con una pila di raccomandate da spedire coglie in flagrante la mia espressione di disappunto, così faccio una plateale ammenda con le sopracciglia e mi sposto più in là.

Giusto in tempo per essere spettatore dell’ingresso deciso di un noto presentatore tv e sedicente intellettuale nonché responsabile di una casa editrice, la cui sede è qui a pochi passi. Varca la soglia sorreggendo una borsa di carta con quel logo che non ha eguali e che trovo ogni volta su quei libri, ne leggo molti di quell’edizione lì. Lui smadonna sottovoce per la ressa e il tempo che perderà, e a me viene da fissarlo perché in effetti è un uomo affascinante e non è non solo per il potere che conferisce la celebrità. Non crediate che io non guardi gli uomini interessanti, anzi. Fama o no, il numerino è ancora più sfavorevole del mio. Si avvicina al bancone in cui si fanno passare i pacchi per le spedizioni e urta un ombrello che cade, lo raccoglie e lo porge a una signora anziana che si stava lamentando della multa che deve pagare. Le hanno addebitato una sanzione per aver mescolato rifiuti nello stesso contenitore specifico riservato strettamente a un’unica tipologia da differenziare. Lei ha ottant’anni, sbraita, fa del suo meglio ma può capitare che “uno si sbaglia”, anche nell’uso del congiuntivo. Sono certo che l’intellettuale celebre apprezzi appieno la spontaneità di quel quadro di situazionismo vivente.

Non seguono la scena i due giovanotti appoggiati al tavolinetto a fianco a me, quello in cui si potrebbero compilare i moduli se i contenitori sopra ne fossero provvisti. Sembrano divertirsi un mondo ricordandosi a vicenda i particolari di un episodio avvenuto tanti anni prima, quando loro, ora intorno ai cinquanta, erano giovani. Era un giorno di gennaio e aveva nevicato così tanto che era persino crollato un palazzetto in cui si tenevano i concerti, vero? Sì, il Vigorelli, gli risponde l’amico, avevamo tutti fumato di mattina e sembrava psichedelico anche solo muoversi nella neve così vestiti di nero. Gli unici punti scuri in tutto quel bianco, nemmeno le gazze, il che aumentava la visione distorta delle cose. Insomma che ci mettiamo a fissare da vicino non so perché la vetrina di un negozio di abbigliamento classico da uomo, e a quel punto giro la testa e mi vedo la faccia di Gino Bramieri a pochi centimetri dalla mia, tutto infreddolito e intabarrato in un montone che cerca di decifrare il prezzo di un abito scuro indossato con scostante eleganza dal manichino. Mi volto e vedo Gino Bramieri, proprio lui, che stringe gli occhi come chi non ci vede benissimo e non capisco se è vero oppure no, rimango lì fuorissimo a scrutare quei lineamenti conosciuti che in genere vedevi solo nei programmi su Canale 5, poi faccio qualche passo indietro e scappo, se c’è la fame chimica c’è anche il terrore chimico, no? Corro al riparo perché non capisco più nulla e sento che sto per esplodere. E scappo anche io, io narratore, chiaro, il segnale acustico precede di poco la notifica che il mio turno è arrivato. A446, that’s my number.

auguri per la tua professione

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Agenzia di comunicazione ricerca una figura creativa, rispettosa della tradizione e in grado di saper parlare diritto al cuore per rivestire l’importante ruolo di Christmas Manager. La posizione si occuperà dell’ideazione degli auguri che l’agenzia stessa invierà ai propri clienti e partner via e-mail e gli auguri che clienti e partner invieranno ai loro e delle eventuali iniziative collegate. Si richiede fantasia nel trovare idee differenti ogni anno senza cadere nelle banalità, capacità di suscitare commozione nel prossimo, abilità nella stesura di testi retorici quanto basta per colpire la sensibilità altrui senza cadere nelle smancerie, attitudine a mettere a nudo i sentimenti per dare vita ad appelli e comunicazioni credibili. Fondamentale la conoscenza della lingua italiana e delle tecniche di immedesimazione emotiva.

Ecco, tra le varie cose di cui mi occupo in agenzia, c’è anche questa. Ogni anno, da molti anni. E quando si parla di job rotation come fattore decisivo per la valorizzazione delle risorse umane mi viene in mente lo sforzo che mi occorre per portare a termine questa attività senza ripetermi. Poi alla fine me la sfango sempre, e ogni volta ne esco talmente provato da dimenticare di pensarci durante gli altri mesi. Ho tentato, qualche tempo fa, di lavorarci in estate, in un momento di relativa quiete. Ma maneggiare immagini e contenuti natalizi con la canicola è surreale. L’esperienza spreme il mio già scarso entusiasmo per il carrozzone di festoni e botti, e la vigilia di Natale, che solitamente corrisponde al primo giorno di ferie, mi guardo le mani, penso a tutte le belle parole che hanno scritto conto terzi e mi impongo di esprimere gli auguri veri, quelli personali, solo con abbracci reali e smodata fisicità.

natura morta con stella di natale

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Esci da un teatro parrocchiale dopo lo scambio di auguri tra le società sportive legate all’oratorio, tra cui la squadra di volley di tua figlia. Dopo due ore di canti di amore tra i popoli e parole di solidarietà, dopo la presentazione delle atlete e l’esibizione della scuola di danza che spero sia anche servita ai genitori delle aspiranti ballerine meno dotate come campanello d’allarme per indurli a scegliere attività più alla portata delle loro figlie, dopo la tombolata benefica i ricchi premi e i cotillons con preti e seminaristi, lo spettacolo finisce, ti avvii verso l’uscita, attraversi il foyer in quell’ambiente così pervaso di cristianità e ti capita l’occhio sul tavolo del salottino. E non puoi non fare una foto, mentre la gente intorno si chiede perché tu la stia facendo.

le correzioni

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Leggi una e-mail di lavoro alle otto di sera del venerdì, la leggi per caso perché cercavi un’altra cosa e hai aperto la posta dell’ufficio, l’hai vista tra i messaggi in arrivo e non hai resistito anche se eri ufficialmente già in pieno weekend, bicchiere di Menabrea in mano, piattino di patatine, abiti da relax e pantofole e famiglia che sta per mettersi a tavola. Leggi la e-mail e scopri di avere avere fatto una cazzata di quelle colossali, una svista che nemmeno uno che ha iniziato a fare il tuo lavoro l’altro ieri. Uno di quegli errori da pivello a cui in altri momenti non dai peso, ma stai lavorando di brutto (e per fortuna, visti i tempi) e quando segui tante cose può capitare, e questo te lo dici per assottigliare la responsabilità. Hai preparato un pubbliredazionale che doveva essere di 3.200 caratteri e lo hai già fatto approvare da tutte le parti coinvolte, una delle quali è un colosso nazionale delle tlc che ha una trafila assurda di liberatorie per ogni cosa che deve essere pubblicata a suo nome, e che devi consegnare martedì. Il problema è che ti sei fumato il limite dei caratteri, spazi inclusi, e lo hai fatto lungo il quadruplo. Questa cosa ti sembra inamissibile e ti rovina la prima parte del finesettimana, perché non sai che fare per porre rimedio. Così ci rimugini tutto il giorno, prepari anche la versione ridotta all’ingombro richiesto. Poi scrivi l’esperienza sul tuo blog, pensando che la controparte legga la confessione, la consideri un’idea simpatica e originale per espiare la colpa e ti scriva un commento tipo “non preoccuparti, non sono certo questi i problemi della vita”. Ecco, un finale così potrebbe essere l’inizio di un nuovo corso, potrei anche pensare che qui dietro (dietro al monitor) c’è davvero qualcosa.