dov’è la vittoria

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Il conto alla rovescia è agli sgoccioli. Cinque, quattro, tre, due, uno, via! Iniziano ufficialmente le olimpiadi di Roma 2012. Il regista Gabriele Muccino ha allestito una cerimonia che a detta di tutti sarà indimenticabile. Lo spettacolo ha inizio con un montaggio video mozzafiato, riprese accelerate di un viaggio allegorico che nasce con le sorgenti del fiume Tevere che i commentatori televisivi nemmeno sanno dove sono ma tanto a nessuno interessa, la geografia quasi nemmeno si fa più a scuola. La telecamera corre veloce lungo gli argini ricchi di discariche abusive e di accampamenti di nomadi, in alcuni punti ci sembra che si immerga addirittura sott’acqua e lì non si vede nulla se non qualche pantegana. Lungo il percorso si intravedono alcuni simboli del made in Italy nel mondo, il logo di Dolce&Gabbana e l’inconfondibile marchio della comunità massonica. Un passaggio sotto a un ponte ci rivela un’opera d’arte raffigurante i cinque cerchi olimpici composti da lucchetti, chiusi gli uni dentro gli altri. Prima di giungere a destinazione nello Stadio Olimpico in cui decine di migliaia di esponenti del mondo della politica, dei sindacati e delle istituzioni hanno avuto un posto omaggio per assistere all’inaugurazione, la telecamera si sofferma a Castel Gandolfo, dove Papa Benedetto XVI concede la sua benedizione affinché le gare possano compiersi secondo i valori di Santa Romana Ecclesia. Vinca chi ci crede di più, insomma.

Ma eccoci nel vivo dello spettacolo. Il regista, ricordiamo che si tratta di uno dei massimi esponenti del cinema italiano contemporaneo, ha cercato di sintetizzare nel poco tempo a disposizione l’orgoglio nazionale attraverso tutte le nostre principali eccellenze. Il latifondismo, la camorra, il fascismo (superlativa la metafora della fiamma tricolore/fiamma olimpica sempre accesa), la corruzione, le stragi di stato, l’evasione fiscale, e i casi delle più recenti personalità assurte a modello di italianità come Berlusconi e Grillo, si succedono rappresentati in gag e balletti interpretati dai nostri principali esponenti dello spettacolo, gente del calibro di Panariello, Carlo Conti, Paolo Bonolis, Ezio Greggio, le veline di Striscia la Notizia, il Gabibbo, le Iene. Ed ecco un momento di grande commozione: si celebra il sistema sanitario nazionale proprio nei giorni in cui è stato messo a segno un colpo significativo alla lotta contro l’errore medico.

Ma non è tutto. Muccino ha voluto anche sottolineare l’enorme considerazione in cui il nostro Paese tiene i nostri giovani dedicando un capitolo della cerimonia alla musica giovane, che ha fatto dell’Italia un leader dei trend da seguire in tutto il mondo. Grazie all’escamotage di uno dei telefilm più seguiti dai teenager, Don Matteo, ecco il meglio di quarant’anni di It-Pop: dagli anni ’60 di Celentano e Morandi agli anni ’70, di Celentano e Morandi, fino agli anni ’80 e i ’90 di Morandi e Celentano, fino all’ultimo ventennio, dominato da un revival di Morandi e Celentano e alle recentissime apparizioni televisive di Celentano e Morandi, oramai tornati di moda. E la musica italiana è ancora protagonista mentre i rappresentanti di tutte le nazioni e di tutte le discipline olimpiche fanno il loro ingresso nello stadio, al ritmo dei nostri interpreti rock che il mondo ci invidia di più, a partire da Bocelli, Pavarotti, Gigi D’Alessio, Dolcenera e Laura Pausini. Gli spalti, non omologati per accogliere un numero così imponente di spettatori in tripudio, esultano al passaggio della nazionale italiana, il cui vessillo è portato da una gruppo di calciatori scelti tra gli esempi meno attendibili di comportamento lecito e coinvolti nello scandalo delle scommesse. E sulle note di “O sole mio”, interpretata da uno dei tanti cantanti vincitori di Amici, la cerimonia volge al termine. Da domani sarà già tempo di medaglie d’oro, di agonismo, di voglia di emergere, di guidare l’Europa e il mondo intero.

ma se la Francia ha un presidente che si chiama Hollande, l’Olanda no perché è una monarchia

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Io sono uno di quelli che dai francesi si farebbe colonizzare a partire da oggi stesso, anzi oggi a maggior ragione visti i risultati delle elezioni presidenziali. Se non altro perché li ho sempre avuti come esempio a quattro passi di cura del suolo pubblico, che è un po’ come avere un vicino di banco di quelli che studiano sempre la lezione e tengono in ordine i quaderni, quello di brutta dove fare le operazioni e le prove e quello di bella da mostrare alla maestra senza nemmeno un baffo di inchiostro (i quaderni, non la maestra). Questo per dire riconosco l’inferiorità, invadeteci pure, siete i benvenuti. E a tutti gli italiani che sì avrete pure i formaggi e i vini più buoni ma intanto ce l’avete anche voi il presidente fanfarone che gli piacciono le belle donne. Intanto le belle donne sono una ex modella che se l’è sposata e che, voglio dire, in quanto a classe una come la Minetti non potrebbe neppure limarle le unghie dei piedi. Secondariamente l’hanno eletto, non gli è piaciuto, e l’hanno mandato a casa al primo mandato. Noi quanto ce lo siamo tenuti Berlusconi? Diciassette anni?

numero civico

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Sono rientrato da un viaggio a Berlino con centinaia di foto tutte uguali, che mentre le facevo e non mi rendevo conto mi hanno sfidato a fare le stesse a Secondigliano o nella a me più vicina Quarto Oggiaro che sempre di edilizia popolare si tratta. Voglio vedere se in periferia a Milano faresti foto a palazzi così, mi hanno amichevolmente ammonito. Chiaro che si trattava di una figura retorica di cui ora mi sfugge il nome, perché gli appartamenti residenziali nei quartieri dell’ex Berlino Est sono ben altra cosa dalle aree dormitorio e dai sobborghi costruiti a opera delle cooperative multicolore durante la nostra guerra civile fredda di urbanizzazione che si è svolta negli scorsi decenni, almeno da queste parti. Non so, forse è che ci sembra che fuori sia tutto più bello. Continua a leggere

ritiro bagagli

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Quando rientri perché sei stato via sembra che nel frattempo tutto sia diventato un po’ così così, se torni da un posto che ti ha lasciato senza fiato e che non era in Italia poi non ne parliamo. Le vie non le vedi nemmeno, gli ambienti sono più claustrofobici e le voci e gli accenti ti sembrano dell’età della pietra, il linguaggio di una società che è rimasta secoli indietro a cose obsolete tipo il marketing ad ogni costo, l’arte dell’arrangiarsi perché non saper fare le cose non costituisce un problema o usare l’automobile sempre e comunque e comprarle addirittura una stanza tutta per sé perché altrimenti a tenerla fuori si rovina. Per non parlare dei concetti superati di eccellenza come le gambe depilate, l’uso del bidet, i maccheroni al sugo o l’arrogarsi il primato dell’eleganza nel vestire quando si vede anche dal finestrino di un aereo che sta atterrando quanto siamo poveri e privi di gusto.

esci il maglione e provalo pure

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Il profondo sentimento di invidia che mi pervade per il fatto che ti sei trasferita qui, nella capitale del primo mondo che in questo momento storico si chiama Berlino, dura solo quei pochi istanti in cui sembri voler sfogarti anche solo da un punto di vista linguistico con qualche tuo ex compatriota, possibili acquirenti che si aggirano con fare rispettoso della merce esposta tra scaffali e file di capi appesi agli appendiabiti in questo posto davvero carino che è metà bar e metà boutique di abbigliamento ennico, come si dice talvolta per scherzare su chi non riesce a pronunciare la ti prima della enne. Ma quando dici come battuta che noi italiani siamo penosi con il nostro inglese da scuola elementare l’idillio finisce perché so che hai ragione. Continua a leggere

delle due, l’una

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Nelle città in cui si è in vacanza si passeggia e poi ci si siede per bere una birra stanchi per aver camminato tutta la mattina, ma stanchi in quel modo soddisfatto di quando ci si muove un un Paese affranto da un dolore straniero, un Paese che da te non si aspetta nulla se non i tuoi soldi in cambio del privilegio di passeggiare e bere birra ed essere esentato temporaneamente dalla responsabilità della sofferenza particolarmente antica di questa città. Se non che tu sei parte della sofferenza, tu sei stato il problema o almeno una sua versione, ma ormai si tratta di un legame di cui non ne rimane più traccia se non in qualche monumento, nella coscienza di una società, almeno si spera, e nel linguaggio che se chiudi gli occhi è lo stesso che ha tormentato una buona parte del mondo intero, a un certo punto della storia universale. Poi lo sdegno ha raso al suolo una identità che però è resuscitata più forte, ma questa volta è una forza positiva, sempre intransigente ma moderna, anzi la più moderna di tutte le altre. Tanto che tu sei diventato una macchia su un libro di storia e un punto sul libro di geografia e ora anche un punto interrogativo sui quotidiani economici, se mi permettete. Ma in genere l’ordine dei problemi ha schiacciato il fatto che siamo gli unici a urlare, gli unici a usare telefoni cellulari in modo così compulsivo, gli unici a trattare i nostri figli come se fossero i padroni della nostra vita agli ultimi posti delle priorità, una classifica che ai primi posti vede svettare cose tipo tutte le culture del pianeta che convergono qui e la propulsione della storia, la più recente, che ha fatto di Berlino un’enclave di tutto quello che sarà e che non riusciremo mai a diventare, retrocessi nel nostro ecosistema autoreferenziale sul quale viviamo di rendita almeno da un paio di migliaia di anni. Ma basta guardarsi in giro, non è così, proprio per niente.

soltanto questo muro non ha freddo qui

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E niente, da domani sarò in vacanza a Berlino, sapete uno di quei viaggi in cui non ci si riposa per nulla perché c’è tantissimo da vedere e non ti fermi un attimo. Spero di non rimanere deluso risolvendo finalmente il dubbio che mi perseguita dal 1981, e cioè che domani a Berlino quando arriverò sarà giovedì 5 aprile esattamente come qui. Chissà Garbo poi che cosa ci voleva dire.

ve lo meritate celentano

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Potete immaginare come ci si sente ad amare la musica mentre qui c’è il Festival e di là ci sono Erikah Badu e Mark Ronson dal vivo al Letterman Show.

felici e-content

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Mi rivolgo a voi, aziende italiane che pubblicate annunci di lavoro in lingua inglese per posizioni che di inglese hanno solo il nome altisonante ma che sono basate in Italia e per le quali la conoscenza della lingua inglese è utile solo a farcire di inutili locuzioni anglofone le presentazioni Power Point per i vostri italianissimi clienti e lasciarli a bocca aperta con la vostra presunta caratura internazionale, pardon, globale. Voi società giovani e dinamiche che avete riquadri dei vostri organigramma occupati da manager che parlano inglese con la cadenza del dialetto della loro regione di provenienza e che inviano comunicazioni corporate in lingua italiana farcite di congiuntivi discutibili e di evasioni semantiche di termini che un tempo avrebbero causato la bocciatura all’esame di scuola media inferiore. Voi organizzazioni che volete darvi un tono e ricevere resume dai canditati alle posizioni scoperte solo in lingua inglese nell’illusione che un giorno l’inglese marketing, lingua che voi masticate anche a pranzo a condimento di pietanze che da vecchi additerete come causa della devastazione della vostra flora intestinale, rimarrà come unica traccia della civiltà di provincia di cui siete padri fondatori, in un tempo ben oltre i termini delle fatture dei vostri fornitori pagate a 120 giorni. Ecco, voi che poi comunque dovrete farvi tradurre da qualcuno le informazioni sugli skill e l’experience dei candidati malgrado l’annuncio sia rivolto a un target tutto locale, mi dite che senso ha il requisito “fluent Italian written and spoken is essential”?

un po’ di area nuova

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Stavo giusto per scrivere le mie solite considerazioni onanistiche questa volta sulla situazione di stallo della musica italiana, una fase che sembra aderire perfettamente al livello da pantano in tutto il resto e che anzi forse non è un caso bensì una conseguenza. Sapete, quei miei post retorici e senza capo né coda che iniziano proprio con frasi del tipo “stavo per scrivere un post su” e che poi non si capisce bene dove voglio andare a parare, quindi continuano con invettive tipo che quando ero giovane io quelli sì che erano anni di attività febbrile, la tensione e gli Almamegretta di qua e ancora prima i CCCP e poi dopo la verve dei Subsonica e ora solo Caparezza che comunque tanto giovane non è più, e che palle che mi fanno Le luci della centrale elettrica e Dente. Quindi vado al punto da cui è scaturita l’ispirazione, ovvero la lettura di due interventi. Il primo su Polaroid, un paio di gruppi italiani che probabilmente l’Italia non se la filano nemmeno. Compongono, pubblicano on line le loro cose, contattano etichette dall’altra parte del mondo e vanno in stampa o vengono comunque diffusi e suonano oltre confine. Anche loro nel novero delle risorse che fuggono all’estero, altrove oltre a un mercato c’è anche il gusto che qui manca, il tutto proprio grazie alla maglie strette della rete. Poi ho letto su Inkiostro di questa iniziativa che mette insieme un po’ tutto quello che non mi piace, a parte Max Collini e gli Offlaga Disco Pax che, comunque, sono un fenomeno al di là della musica in senso stretto, su questo ne converrete. Il resto proprio esula dai miei gusti e vabbé non credo che per nessuno di loro sia un problema. Questo insieme, a differenza del primo, è ancora legato al modo tradizionale di fare le cose, almeno credo. Il concerto, i locali, il booklet, la stampa verticale, l’ambiente off che conta, il primomaggio and so on. Di certo è che non è nemmeno solo colpa di quei pochi rimasti che si dilettano a suonare. Mancano gli stimoli: sia quelli che ti accendono la creatività, sia quelli che ti fanno lavorare sodo per materializzarla in arte, in questo caso musica. E così mi è venuta in mente questa intervista che ha più di trent’anni agli Area. Dalla loro scomodità intellettuale parlavano dei problemi di chi vive e suona. L’aspetto esilarante è che è sufficiente cambiare qualche termine un po’ datato o anacronistico, ma avere un guppo è ancora così.