natura morta e nemmeno io mi sento troppo bene

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Il problema non è tanto non essere in grado di descrivere le stagioni e tutto ciò che comportano. Questo genere di osservazione della natura e di ciò che ci circonda porta dei frutti solo se ciò che si cerca di raccontare è sufficientemente romanzabile. Ma alla lunga vedere sempre gli stessi posti nei quali scavando a fondo si trovano sempre gli stessi particolari rompe i maroni. Se vivete come me nei dintorni di Milano troverete ben pochi dettagli da cogliere e utilizzare come scenario per il vostro storytelling. Il cielo per esempio ha due modalità, acceso e spento, ovvero il sereno che si alterna al classico controsoffitto grigio hinterland, quel lastrone che copre le nostre vite indipendentemente dal mese in corso, senza variare nemmeno la tonalità. In questo contesto binario la gamma e le sfumature si riducono già di un buon ottanta per cento – sto sparando a caso – e nulla del contesto vi verrà incontro. Poi se siete come me e non notate se i fiori dell’aiuola nel mezzo della rotatoria o quella all’incrocio con il semaforo dove sosta il profugo senza una gamba che chiede l’elemosina sono fioriti, le foglie sono ancora appese ai rami o giù insieme alle cartacce che nemmeno gli operatori ecologici hanno il coraggio di districare, farete fatica a collocare anche solo un vostro pensiero in una cornice temporale. La differenza e l’alternanza la scandiscono solo l’abbigliamento, forse, perché senza nebbia e senza mare basta distrarsi un po’ e ci si dimentica persino del nome del centro commerciale in cui si sta facendo passare un sabato pomeriggio. Quando si posano le cavallette sul balcone e i gatti me ne fanno uno sgradito omaggio è il segnale che l’autunno ha preso ritmo, e il ciclo riprende mentre tutto intorno le persone starnutiscono fiaccate dall’allergia all’ambrosia. C’è poi il tempo dei furti in casa, arrivano le giostre in paese e si sa che gli appartamenti iniziano a stiparsi di regali di Natale sempre più costosi per figli sempre più tecno-dipendenti, tutto ciò fa gola agli acrobati come allo stesso modo spariscono borse e borselli dalle auto nei parcheggi dell’Esselunga mentre i clienti lasciano per qualche istante la spesa incustodita per riporre il carrello e negare l’euro al questuante nomade in servizio. A quel punto si entra davvero nel tunnel del grande freddo fino a quando la stagione delle pioggie porta sollievo a chi latita dagli autolavaggi per poi sublimare nell’esplosione delle infiorescenze con quell’odore che i più associano allo sperma umano che si diffonde ovunque. Nelle case e negli uffici che aprono le prime finestre mentre nel resto dello stabile i più anziani lottano per mantenere ancora un po’ il riscaldamento acceso. Nei pressi dei vivai dove si fa la coda per portarsi a casa un po’ di natura finta e artificiale dal ciclo di vita breve quanto la passione che i vegetali possono suscitare. Nelle esposizioni dei megastore di articoli sportivi in cui attrezzature e abbigliamento per il tempo libero vanno a ruba fino a quando ci si rende conto che acquistare e possedere un qualcosa di tecnico per una disciplina non è sufficiente a farci appartenere all’insieme di chi la pratica. La stagione più calda che oramai non ha più un vero e proprio nome, tanto dura poco e si palesa in modo disordinato, è quella delle donne seminude, dei maschi in ciabatte e dell’aria condizionata sparata ovunque, nelle auto come nei negozi, per una trasformazione climatica che non so a che punto porterà il genere umano e la sua capacità adattiva. Per il resto, nei contesti urbani e urbanizzati non c’è altro da dire. L’osservazione del comportamento della flora o della fauna ha lasciato il posto ai programmi delle tv a pagamento e alle lampade che si accendono e si spengono nelle abitazioni limitrofe alla propria che già stanno sparendo, coperte dalle luci condominiali accese ventiquattro per sette che prima o poi, oltre alle stagioni, uccideranno persino il giorno e la notte.

i prodigi dell’aspirina

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Nessuno parla mai dell’influenza, non mi riferisco ovviamente alle malattie invernali per le quali c’è la moda della vaccinazione. Non so voi, ma io devo solo ringraziare tutte le persone che mi hanno influenzato nel corso della vita perché se comunque posso anche stare ore da solo senza annoiarmi è perché ho una vasto repertorio di pensieri, immaginazioni e angosce a cui attingere e che derivano da quanto ho assimilato da chi ha avuto influenza su di me. Per non parlare di aspetti più superficiali, dai modi di dire alle cose da indossare, fino ai gusti più radicati che mi porto dentro da sempre. In tutti questi casi seguendo il filo si risale a un punto d’inizio, una matrice che è l’amico o la ragazza o il personaggio carismatico o il parente da cui sono stato attratto fino a prendere qualcosa da lui. E vi ringrazio tutti apertamente, se leggendo qui riconoscete qualcosa di vostro ecco che vi do la conferma, questo me l’hai insegnato tu, quest’altro me lo hai registrato anni fa su una TDK, quest’altra cosa l’hai detta senza pensare ma io ho colto un sottosignificato che mi è sembrato fondamentale per interpretare altre cose e ora fa parte del mio asset. Non c’è nulla di sbagliato perché se osservate i passi che fate con le vostre gambe o il modo di accendervi la sigaretta state tranquilli che non è nulla di nuovo, c’è un padre o un fratello o una cugina o un amico nascosto dentro di voi che si muove per conto vostro. Il bello è proprio questo, che ci sia un tritatutto che poi dà in pasto ai nostri vicini del momento tutto il meglio del giorno prima reinterpretato dalla nostra sensibilità, a volte completamente altre per nulla, lo riproponiamo as is, ma che importa. Quando suonavo ero influenzato eccome, scopiazzavo a destra e a manca perché è tutto cibo per la mente quello che ci succede a fianco che poi noi mettiamo giù, tradotto o meno nel nostro linguaggio. Oggi a seconda dell’autore che sto leggendo spero che anche quello mi influenzi quando poi vengo qui a raccontare del più o del meno. Sono certo però che se dovessi scrivere qualcosa di senso compiuto e non questi componimenti da web-sfogatoio non mi farei influenzare sulla trama o su alcuni particolari di essa. Per esempio non metterei mai in un romanzo un figlio unico maschio che gioca da solo a sfidare le onde mentre la mamma legge e fuma sulla sdraio e il papà si fa le sue immersioni altrove, sarebbe un modo meschino per catturare le simpatie dei lettori che cercano le emozioni quelle che commuovono con facilità. Voglio dire, bambini e solitudine sono gli ingredienti chiave per un best seller. Allo stesso modo non credo che farei mai morire qualcuno nei miei libri, non ne sarei capace e poi non lo trovo giusto. In questo non c’è nulla che possa influenzarmi, resto fermo nella mia convinzione che se devo metter su tutto un sistema di invenzioni narrative devo comunque poter muovermi a mio agio, e le tragedie possono rimanerne al di fuori, non mancherò certo di ispirazione.

dovreste fare meno baccano, vi si sente da qui

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Se pensate che la risposta sia davvero quarantadue avete preso una cantonata o siete ingrassati ed è il caso di passare alla taglia successiva. C’è invece un valore tendente allo zero per il quale è tutto riconducibile a una proiezione della nostra chiamiamola immaginazione ma non è proprio questo che intendo, bensì qualcosa di più complesso. Tanto per iniziare, tutti voi là fuori non esistete ma sono io che ho dato il via a questo diversivo per cui scrivo baggianate e migliora il page ranking di questo blog sui motori di ricerca perché mi sono inventato un nutrito gruppo di lettori che recepiscono messaggi più o meno plausibili. Come so benissimo che altrove, non necessariamente più distante da me di questa tastiera qwerty, ci sono altre forme di vita che fanno lo stesso, e spero vivamente in questi mondi individuali così difficili da immaginare da terzi non siano stati predisposti massacri e guerre civili in medio oriente perché davvero non se vede l’utilità. Voglio dire, se occorrono grandi eventi epocali per disinnescare trame di sottomissione, cecità civile e indigenza sociopolitica perché non pensare a cose applicabili alla materia inanimata. Che so, un elettrone impazzito, una canzone di successo in quattro quarti o una palla da tennis che vola fuori da un campo in erba sintetica e va a colpire una scheggia di meteorite diretta su un assembramento di turisti cinesi deviandone la pericolosa traettoria su una Smart parcheggiata perpendicolarmente al marciapiede ma, comunque, vuota. Non si spiegherebbe infatti la continua volontà inconscia di sostare nei pressi di esseri umani che più o meno fanno le stesse cose, magari con diverso e opposto orientamento elettorale ma uniti da un unico destino e con le stesso tipo di scarpe sportive che altrove utilizzano solo quelli che giocano i tornei di calcio a cinque. E io vedo tutto questo da un angolo privilegiato che è anzi è una specie di cornice dalla forma romboidale formata dall’incavo del mio braccio ripiegato sulla mia testa, con una narice che poggia su un telo da mare colorato color telo da mare da cui entra odore di salsedine e iodio in quantità industriale. L’altra narice che vicina al braccio si bea dell’odore della pelle abbronzata che è illusorio quanto un ghiacciolo quando si ha sete. In mezzo i colori che uno si immagina abbia l’estate mediterranea che è diversa da quella sull’Atlantico o sul Mare del Nord anche se non li ho mai visti se non in un paio di romanzi che ho appena terminato, o nell’Egitto di cui parlano tutti e se altrove dicono esserci migliaia di morti e gente che spara non so, ripeto, devo aver introdotto questa variante di terrore ma come una eco, forse addirittura un’interferenza da una trasmissione cerebrale di qualcuno qui nei pressi con tanto di reazione chimica ad aroma di diavolina e Autan.

l’ombrellone, nel senso del film

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Nessuno riconosce subito lo scrittore perché gli scrittori non si riconoscono di faccia, mica come i campioni del pallone e le star della tv che di sicuro, comunque, uno non bazzicano da queste parti battute per lo più dalle persone normali, due non sempre è possibile perché visti da vicino e seminudi, nel senso dei costumi da bagno, vi sfido a riconoscere tizio e caio. Anche chi sei abituato a vedere vestito in ufficio o al bar per il caffé prima di entrare al lavoro, con addosso uno di quei terribili slip da bagno o con un due pezzi fluorescente quanto le vene varicose all’inizio fai un po’ di fatica, a dimostrazione della diceria biblica che poi al giudizio universale siamo tutti senza indumenti e, di conseguenza, praticamente irriconoscibili. Figurati poi uno che già non se lo caga nessuno perché esponente di un’arte inferiore come la scrittura e, di conseguenza la lettura, che ai tempi dei quiz e talent show gode della stessa considerazione dell’opinione pubblica quanto, sul fronte dello studio comparato delle professioni, l’insegnante della scuola. Perché anche un Moccia o un Baricco li riconoscete solo perché fanno le comparsate dalle varie bignardi del caso, presentatrici che un giorno introducono i partecipanti alla casa del Grande Fratello e poi le ritrovi a spendersi per la politica spettacolo di Renzi. Ma quelli un po’ più minori, che magari nemmeno la casa editrice anch’essa minore e fuori dal duopolio gli ha messo la foto in quarta di copertina perché privi della piacioneria di un Veronesi o un De Carlo, quelli proprio non li distingui dal tizio che gioca a racchettoni con il figlio adolescente o quell’altro che si instagramma i piedi sullo sfondo del mare mattutino. Nessuno lo riconosce perché poi non è che ti presenti al prossimo con nome e cognome, in un contesto di vacanza l’etichetta da riunione di lavoro la lasci nel cassetto insieme ai biglietti da visita che poi se o l’una o gli altri ti finiscono in acqua come ci torni a casa. Il nome poi è comune ma la faccia che fa mentre vede una nei pressi con il suo potenziale best seller sotto l’ombrellone che è la moglie di quello con cui sta parlando di pesca sportiva per rompere il ghiaccio mentre i figli insieme si lanciano il frisbee, ecco questo può essere un indizio che ti fa riconoscere uno scrittore. Così lo scrittore fa una battuta sulla possibilità che il libro non possa piacere alla donna, e di fare attenzione alle critiche negative perché poi lui ci rimane male, ma è tale l’emozione di trasmettere qualcosa anche per interposto mezzo come la carta stampata che proprio uno non ci riesce, non è certo per vantarsi ma per dire grazie per il tempo che mi stai dedicando e per quegli spiccioli che pagata la casa editrice, la distribuzione, dire fare baciare lettera e testamento mi consentono di offrire al prossimo che legge i miei libri un caffé al chiosco. E alla fine lo scrittore aggiunge il suo cognome al gruppo incredulo di persone e sotto lo sbigottimento dei più che non si tratta di un caso di omonimia, proprio loro abituati a guadagnarsi il pane con un negozio, un’impresa, uno stipendio fisso, una tassa evasa. La lettrice propone di sancire il momento con un autografo sotto il titolo e lo scrittore si schernisce promettendo che poi lo farà. E la scena, quando me l’hanno raccontata, mi ha ricordato un vecchio film con Enrico Maria Salerno nel ruolo del professionista, Sandra Milo in quello della moglie in vacanza senza il marito e Lelio Luttazzi, un letterato romantico che seduce la Milo con la lettura di poesie. Mica perché poi lo scrittore che è lì con moglie e figli fa breccia nei cuori altrui. Ma solo perché in un contesto così di persone in ferie, e la vita dello scrittore è più o meno quella di uno sempre in ferie, il gap è ancora più evidente. Almeno, se ne conoscessi uno mi troverei molto in imbarazzo per lui.

tutti muti come pesci

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La penalità indotta dai logorroici al cinema seduti nei due posti poco più in là quando la sala è deserta, d’estate è soggetta all’upgrade per i sistemi operativi outdoor e si attiva nella summer version, ovvero i logorroici in spiaggia. Che, inutile dirlo, sono italiani nella maggior parte delle volte, tanto che ciò che potrebbe costituire un rumore di sottofondo acquista valore irritante anche nel contesto. Per una portata dannosa che rientra ampiamente nella casistica delle rotture di cazzo. I logorroici in spiaggia sono italiani ma con una marcata inflessione dialettale che aumenta il fastidio altrui, perché subito ti viene da pensare che oltre a rompere il cazzo questi, a scuola, che gli hanno insegnato. Il livello di istruzione infatti è elevato e chi ama parlare di sé lo specifica già nei primissimi minuti della conversazione soprattutto nel caso di curricula scolastici che hanno portato a lavori molto esclusivi. Italiani che vivono e lavorano all’estero progettando cose stranissime come ventole per motori di aerei a non so che cosa, ma malgrado l’inglese tecnico che è poi la lingua ufficiale delle multinazionali di ogni dove, questi hanno un accento così marcato che sembrano testè usciti dai quartieri spagnoli. Comunque nell’arco delle tematiche che, partendo da sé stessi, tocca tutta la gamma di figli e parenti di primo grado, tutti molto fortunati e anche un po’ invidiabili, non c’è posto per l’interlocutore che rimane steso a terra dalla meraviglia di un case study umano così fortemente connotato nella modernità. Sul lato opposto, i logorroici d’antan invece sono gli ingegneri meccanici di altri tempi che probabilmente si stanno scambiano segreti industriali nei minimi dettagli e con una foga progettuale encomiabile, come se la natura ma anche i corpi nudi femminili stessi di cui questo paradiso del mediterraneo pullula non contassero davvero nulla di fronte a una biella o a robot antropomorfo. Là dove elettronica e ingegneria si incontrano il ferragosto assume i contorni di una giornata di lavoro come le altre, un popolo di mariti che non si cura delle mogli che, lasciate sole, subiscono le angherie di truppe di infanti come transfert dell’assenza di un padre che fa fare i tuffi e costruisce castelli di sabbia. Ma non fatevi distrarre da drammi famigliari che non saprete mai come andranno a finire e, tutto sommato, non sono affari vostri. I logorroici da spiaggia non sono fonte di storytelling personale ma sono causa di odio verso il genere umano, la chiacchiere dovrebbero farsele in privato, in spazi appositi, magari riflettendo sul fatto che parlare di più a casa mette al riparo il casuale vicino di ombrellone. Se in montagna è un buona creanza quella di usare un tono sommesso per non guastare la quiete delle cime, al mare dovrebbe essere un dovere, quello di portarsi un libro e permettere, in silenzio, la lettura al prossimo che il libro ce l’ha davvero.

faccia da cubo

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La prof di Arte è scesa fin nel cortile del comprensorio scolastico quando l’ha vista piangere seduta sul gradino dell’uscita di sicurezza della palestra nuova, costruita proprio perché quella vecchia non era provvista dei portelloni di sicurezza con l’apertura verso l’esterno e le diverse classi, sia del liceo che dell’istituto tecnico che hanno sede lì, non avrebbero più potuto sfruttarla per le lezioni di educazione fisica secondo la nuova normativa vigente. Lei, la prof, sembra uscita da un film della Nouvelle Vague francese ed è quanto più simile a un’insegnante di educazione artistica che si possa immaginare. Vive all’ultimo piano di un edificio in città, l’unico che chi vuole darsi un tono vi trova qualche somiglianza con le tipiche case parigine. In salotto tiene lo stendino con una gran quantità di roba nera ad asciugare grazie all’aria che entra dagli abbaini, e l’arredamento deve fare i conti con la presenza dei ferri del mestiere di una pittrice. Sua figlia è molto particolare, d’altronde con quella madre lì non poteva crescere diversamente, e ha una forma del viso quadrata ma a suo modo graziosa. Lei, l’alunna che invece sta trascorrendo l’intervallo in lacrime, ha sul palato il gusto dolciastro di un bicchiere di latte tiepido che si sta mescolando con il sapore amaro di una delusione sentimentale. Nel mentre fuma una Marlboro e tormenta un foulard stretto al collo con il logo di una nota marca di bevande gassate ripetuto a pattern, in bianco su rosso. La prof d’Arte che ha capito tutto le si avvicina e dice alla ragazza che non deve disperarsi, ma se accetta un consiglio dovrebbe sottoporsi a un’operazione di rinoplastica del setto nasale. Sei una ragazza bellissima, le dice, se non avessi un naso in quel modo, con un profilo così anomalo, sembri uscita da un dipinto di Picasso. La prof è certa, dall’alto del suo senso estetico, che basta un’intervento risolutivo per farla diventare davvero splendida e che, se vuole, può consigliarle un suo amico chirurgo che, data la morfologia stessa delle mucose interne, potrebbe addirittura farla passare per vie ospedaliere e, quindi, a spese del servizio sanitario statale. L’intervallo finisce, la ragazza torna in classe mentre la prof, per oggi, ha terminato le lezioni e torna al suo atelier domestico.

fronte del retro

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Avanti sì, ma da che parte? E anche da parte è il davanti? La direzione per lasciarsi qualcosa alle spalle qual è? Il giro di boa è a 360 gradi? Capita che nella nebbia imbocchi una rotonda a e prendi la stessa strada da cui sei venuto ma te ne accorgi dopo. Quindi andiamoci piano con le facce della medaglia, con giochetti della casistica come l’intramontabile testa o croce, almeno fino a quando sarà in auge il denaro contante. La parte anteriore di certe cose è facile da distiguere dal resto e non ci si può sbagliare. Per esempio ci sono certi automezzi che assomigliano ai loro padroni proprio come i cani. Autoarticolati condotti da montagne umane che scendono dall’abitacolo quando è il caso di imporsi senza discutere e qualcuno a bordo di una city car pretende l’uguaglianza razziale e gli stessi diritti dei giganti della strada. E fateci caso, non è mai il contrario. Ci sono anche certi camper che hanno la stessa faccia di chi li possiede e non solo di chi li guida. Le famiglie sonon fatte quasi sempre con lo stampino e il furgone attrezzato per le vacanze a furia di solcare chilometri nelle code più amene delle nostre strade costiere si modella e si affina per dimostrare la riconoscenza verso chi lo ha scelto come seconda casa. Musi schiacciati o mascelle larghe, fanali con espressioni stupite adatti ad albe mozzafiato nella natura incontaminata, occhiali spessi come fondi di bottiglia, colori sgargianti o il grigiore delle città da portarsi appresso nella speranza che la luce del sole acceleri la mutazione o favorisca il miracolo. Avanti anche per superare le tappe e anche lì, voi siete così sicuri della direzione? Pensate agli obiettivi che si hanno a un certo punto della vita come trovare senza sosta un punto in cui sostare per infrattarsi o guardare le cose con il potere d’acquisto dei propri genitori. Hey papà hai fatto caso a come si somigliano i nostri portafogli? Scegliere con cura tutti i regali per il prossimo e trovare quello che può essere acquistato in stock, uguale per tutti. In fondo un dono è una parte di sé ed è bello avere una fase dell’esisstenza in cui poter pensare che gli altri abbiano il piacere di mettere nelle proprie case qualcosa di noi. Come se non bastasse già il fatto di frequentarsi, d’altronde basterebbe il pensiero. Quindi abbiate a cuore le vostre scelte prese senza un addetto all’orientamento messo a disposizione da una qualsiasi istituzione al neofita, al primino, all’esordiente. Dell’esperienza altrui non sappiamo che farcene se abbiamo fatto indigestione di valutazioni circa la parte più conveniente ove voltarsi per partire. Chi vive sul mare è fortunato perché ha un punto cardinale certo e indiscutibile, gli altri che si arrangino.

sei un personaggio in cerca di autore?

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Per scrivere una storia occorrono personaggi da inventare in condizioni ideali per un racconto di fantasia, con alcune caratteristiche fondamentali per garantire una stesura sufficientemente intrigante al netto dei tempi morti. Voglio dire, la vita di ciascuno di noi non è interessante ventiquattr’ore al giorno, o meglio magari per voi stessi lo è ma se fate un’indagine con chi vi sta appresso potete stare certi che mi darete ragione. Voglio dire, chi se ne frega di quello che fa un protagonista mentre dorme. Cosa farà? Dorme e basta. Magari sogna, si gira e rigira nelle lenzuola, parla o grida nel sonno, emette vapori corporei per non dire che scoreggia. Trascorre così sei sette otto ore allo stesso modo che nell’economia di una trama boh, possono anche essere omesse. E ancora il tempo che ciascuno di noi passa al lavoro. A meno che non stiate scrivendo un libro di narrativa aziendale, che potrebbe anche avere un suo perché, la sintesi da mettere nero su bianco terrà conto delle ore fuori dall’ufficio, e così altri momenti su cui soprassedere. Per questo nei libri ambientati nel nostro mondo contemporaneo, occidentale, industralizzato e due punto zero, ci capita spesso di incontrare gente che non c’ha un cazzo da fare, che in qualche modo trova dei sistemi tutti da verificare per sbarcare il lunario, quasi come se capitasse tutti i giorni di veder lievitare il proprio conto corrente in modi che non siano la routine di otto ore a dannarsi l’anima con sistemi operativi che si incrocchiano o colleghi con i quali non condivideresti nemmeno una cartella con i successi di Sanremo, figuriamoci del tempo libero. Le vicende si dipanano nelle trame letterarie e non c’è traccia di soste in bagno piagati dalla colite, per esempio, o di momenti di cura personale come il taglio delle unghie dei piedi o passarsi lo scovolino tra le insenature artificiali delle arcate dentali causate da interventi di impiantisca su quella skyline irregolare che abbiamo in bocca e che sappiamo tutti quanto ci costa. Ma proviamo a immaginare. Mike si sedette sul bidet accorgendosi troppo tardi che sua moglie aveva messo la salvietta in lavatrice dimenticandosi del cambio, così sgoccialandosi il sapone intimo lungo le cosce fu costretto a raggiungere l’unico elemento di spugna presente in quel momento in bagno, l’accappatoio della figlia. Oppure: Donna e Peter si scontrarono su chi avrebbe dovuto pulire la lettiera dei gatti, il cui stato di abbandono aveva spinto gli animali domestici a scaricare i propri bisogni nel vaso della buganvillea che, data la fascia climatica a dir poco inadatta per quel tipo di vegetazione, sembrava comunque destinata a non superare l’inverno. E ancora: Jane impiegò tutto il weekend per portare a termine il cambio degli armadi spostando gli indumenti pesanti nella parte più facilmente raggiungibile considerando la sua altezza, mentre i vestiti più leggeri furono riposti come ogni autunno nelle scatole in alto, pronti per essere riscoperti al successivo cambio di stagione. Ecco: la letteratura spesso omette questi interstizi esistenziali nei quali si cela molto più che un comportamento standard del genere umano dettato dalle più basilari leggi naturali di sopravvivenza spicciola. Trovarne la sintesi nei grandi gesti che fanno delle storie i capolavori che leggiamo è ingiusto nei confronti di noi poveri mortali e dei comportameti in cui siamo imprigionati dalla notte dei tempi, e costretti a trovare un posto libero ai romanzi sugli scaffali, dopo l’ultima pagina e il sospiro di soddisfazione che accompagna la fine di un best seller.

nel giorno più felice dell’anno

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Ma se siamo persino disposti a pagare, e profumatamente, per una manciata di giorni in questo stato di libertà vigilata spesso con la condizionale in cui ci possiamo liberare finalmente di tutto. A partire dai vestiti, quelli veri, che lasciamo appesi nelle cabine armadio di città, puliti e stirati e pure con lo spray anti-tarme per la stagione successiva mentre ce ne stiamo liberi a girare per le nostre favole in mutande, come diceva quel tipo strano negli anni settanta, e vivere alla grande solo con un sottile strato di tessuto tecnico a elevata impermeabilità che ci separa dalle stelle e dalle cicale che ad alcuni fa senso pure l’idea di trovarsele nel giardino condominiale. Organizziamo con dovizia questo perentorio allontanamento dalla società fatta di fidelity card, di conference call, di centri di illusorio benessere e poi ribaltiamo tutta la nostra scala di valori pronti all’uso per farci camminare addosso dalle formiche, abbattere drasticamente persino il parametro regolamentare di livello standard di igiene intima sorvolando sulla sabbia residua che si attacca alle caviglie mentre realizziamo che c’è tutto un pianeta da scoprire che non conosce il significato del bidet, tanto per fare un esempio. E allora non è vero che siamo così avanzati se risparmiamo per investire in un regresso legalizzato alla barbarie delle convenzioni di vicinanza al prossimo, lo stesso che siamo disposti a raggirare sul turno a una pompa di benzina mentre poi, allo stato brado coperti solo da pareo di dubbia provenienza, siamo tutti un mi scusi qui e mi scusi là mi presta il martello e prenda questo residuo di detersivo che tanto oggi partiamo e ci spiace buttarlo. E non credo che sia rilassatezza ciò che ci spinge a canticchiare melodie che altrove ci indurrebbero a uno spietato zapping radiofonico, canzoni non di altri tempi ma di più, come la rumba delle noccioline – vi ho sorpreso, vero? Quanti di voi conoscono la rumba delle noccioline?- o una gaberiana come è viva la città che tradisce chi la fischietta lavando i piatti, che sotto sotto gli mancano gli agi del campionato sulla tv a pagamento, gli all-you-can-eat con il cibo spazzatura della peggiore cucina cinogiapponese o la sensazione delle scarpe bagnate dal temporale indossate per otto ore in ufficio con colleghi che per lo stesso motivo odorano di quella fragranza che sa un po’ di selvaggio. E anche se sempre più capita di assistere a veri e propri innesti della civiltà grazie a dispositivi elettronici a batteria che ti consentono di controllare le e-mail di lavoro anche in cima alle Dolomiti o giocare a Candy Crush in spiagge raggiungibili solo con fuoristrada – quelli veri, non certo quei cassoni da burino che lasciamo in doppia fila con le quattro frecce per ingollare noccioline zeppe di germi al bar sotto casa -, se è vero che non ci importa se il tetto massimo della nostra carta di credito a un certo punto he bisogno di una bella ristrutturazione perché è solo in vacanza che non ci interessa di separarci dal nostro denaro, ecco che ci chiediamo straniati e ce lo chiediamo perché non è una domanda retorica, è un mistero a cui nessuno è mai riuscito a dare una risposta razionale e dimostrabile, ci guardiamo tra di noi e ci chiediamo perché cazzo non si possa sempre vivere così, seminudi all’aperto e al caldo, a tirare sera come se non ci fosse un domani.

ricorrenze

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Ora poi voi dovete spiegarmi perché mai uno dovrebbe cambiare il suo posto nel mondo che fino a prova contraria è unico. Temporaneo, siamo d’accordo, ma nessuno ci può togliere quel tot di metri cubi di spazio che occupiamo dentro al quale uno fa un po’ quel che vuole. Il mio si trova qui, anzi lasciatemi dare qualche coordinata. Cercate sul vostro navigatore o sul dispositivo GPS che utilizzate quando perdete la bussola – in senso proprio e lato – cercate quel punto tra l’abitudine e la coerenza, molto più sul lato dell’abitudine che qui gli eroi non li trovi nemmeno con Google Street View. Si tratta di un punto che si trova nella zona dell’immobilità compulsiva, quello stato sovrano che da sempre ha inglobato la metodicità bulimica e tutto ciò che vi è di reiterativo a questo mondo. Dal percorso per l’allenamento invernale e quello estivo fino al modo in cui accostare i cibi passando per le costruzioni dei periodi, l’uso della virgola, le parole da mettere in rima quando c’è da perdere tempo e bisogna occupare la mente. Una cosa in cui gli anglosassoni sono di certo molto più agevolati di noi, per esempio da loro crazy fa rima con lazy, da noi con parole come pazzo non c’è molta scelta. Quindi mi arrogo il diritto di stabilirmi per sempre qui, qui dentro di me intendo, e spostarmi sempre con tutti gli orpelli ma in luoghi conosciuti dove posso esercitare il mio controllo sotto la copertura della sicurezza senza bisogno di dovermi sbilanciare con l’antenna perché in qualche punto non prende. E dire che l’abbonamento non è certo a buon mercato, finché esisteva un solo provider era fin troppo facile avere certezze tanto che poi in molti ci hanno mangiato e se ne sono approfittati. Oggi con le liberalizzazioni – cosa che non condivido – ognuno si abbona al tipo di sicurezza che vuole, con lo scatto alla risposta o flat o dati e voce giusto per farsi sentire anche a parole e non solo con i fatti. Io, per esempio, stamattina ho fatto le stesse identiche cose che hanno occupato la mia prima giornata di ferie dell’anno passato e sono certo anche di quello prima. Una sgambata all’alba, c’era il sole che stava nascendo dietro al mare che era uno spettacolo e io che correvo come un deficiente nel nulla della Sardegna. Poi un bagno nell’acqua calda del mattino, una sorta di battesimo della libertà per noi testimoni della semplicità sentimentale che ci emoziona qualunque cosa. E so già persino cosa farò dopo: prenderò il mio laptop e scriverò un post come questo.